''Chi è Dio?'': quella volta che me lo chiesero in carcere e provai a spiegarglielo (tra le lacrime di Paolo)

Ha pubblicato “Yehoshua ben Yosef detto Gesù – La sua vera storia – la forza delle sue idee”, “Il Vangelo Segreto di Gesù”, “Gesù di Betlemme” e “Il Ritorno alla Casa di Israele (il Noachismo)”
Era il 2015. Andavo ad incontrare settimanalmente i detenuti nel Carcere di Rovereto. Mi affiancava il grande Padre Fabrizio Forti, frate cappuccino, “mitico” cappellano di quella casa Circondariale, che purtroppo ci ha lasciati tre anni fa (era responsabile anche della Mensa dei Poveri di Trento, con la quale anche collaboravo). Su autorizzazione della Direttrice del Carcere e del Giudice di Sorveglianza (e con il consenso ovviamente di Padre Fabrizio), andavo a parlare loro di Gesù storico, della vicenda terrena (non legata alla religione) di quell’ebreo errante, che in realtà si chiamava Yehoshua ben Yiosef (Giosuè figlio di Giuseppe).
Li incontravo nel parlatorio e non importava da dove venivano o cosa avevano fatto per essere lì, per me erano tutti uguali anche perché tutti erano sempre tutti molto gentili. Il loro interesse per la figura di Gesù della storia fu fin dall’inizio molto alto, circostanza che sorprese non poco sia me che Padre Fabrizio. Erano soprattutto fortemente attratti dal messaggio di grande speranza che trasmetteva Gesù, legato alla reale possibilità di potersi redimere. Col passare del tempo ero entrato in grande confidenza con quegli ascoltatori, in pratica di tutte le etnie, al punto tale che mi raccontarono tutti le loro storie. Storie che li avevano condotti in quel luogo, dove riconoscevano con franchezza di essersi meritati di finire, a causa dei reati che avevano commesso.
Circostanza, quella di riconoscere i loro errori, che facilitò la mia entrata in contatto con loro e la possibilità di poter spaziare insieme a loro su tanti temi, a quel punto anche religiosi. Ma ecco che un bel giorno, a bruciapelo, uno di loro, Paolo (nome di fantasia per motivi di privacy), molto colto, che era un ex-professore di storia (finito in cella a causa dell’alcolismo) mi chiese: “Ma per te, chi è Dio?”. Bella domanda! Mi aveva preso alla sprovvista, ma non così tanto da impedirmi di rispondergli che ne avremmo parlato compiutamente la volta dopo, in modo da poter avere il tempo necessario per approfondire con lui l’argomento (gli incontri prevedevano un’ora precisa di inizio e una precisa di fine e generalmente duravano 2 ore ciascuno, alla presenza di una guardia carceraria).
Uscito dal carcere, appena mi trovai per la strada, dopo aver passato la verifica della guardiania, mi prese un sobbalzo. Pensai infatti: ed ora cosa gli dico? Il problema ovviamente non era lui. Il problema ero io. Già, ora mi trovavo a dover stabilire innanzitutto con me stesso chi fosse Dio. E francamente non me l’ero mai chiesto in modo così esplicito. Dovevo peraltro dargli una risposta leale, come erano stati sempre leali i nostri incontri. Ricordo che quella notte fu per me molto agitata. Poi però, al mattino, ingranò il cuore e venne fuori tutto di getto. Ecco qui di seguito cosa dissi, cercando naturalmente di semplificare al massimo i concetti.
Il termine “Dio” deriva dal latino “Deus”, termine collegato con la parola “divus”, cioè "splendente" e con “dies”, cioè "giorno". Termini che a loro volta provengono dall’indoeuropeo “deiwos” , che significa "luminoso”, “splendente”, “brillante”, “accecante". Dio quindi è la “luce che illumina” e consente di vederci chiaro, là dove il buio nasconde la realtà che ci circonda. Ma vediamo, gli dissi, come ci ha spiegato “chi è Dio” proprio quel Gesù del quale andavamo da tempo parlando. Presto detto. Gesù infatti si espresse così: “Dio è spirito e va seguito in spirito e verità”.
E poiché il termine “spirito” corrisponde all’antico significato di “soffio vitale” (Rūăḥ ha-Kōdēš in ebraico), che contraddistingue chi è vivo da chi è morto, “Dio” è sinonimo di “vita”. “Vita” che deve essere vissuta nella verità, alla luce del sole e non al buio, nelle tenebre, nel sotterfugio, nell’inganno. Ma per far ciò Gesù aggiunse: “Dovete rinascere dall’alto perché in alto il vento soffia dove vuole e ne senti la voce. Ma non sai da dove viene e dove va: così è chiunque è nato dallo spirito”. Molto chiaro. Gesù quindi, 2000 anni fa, pensava già ad un ”uomo nuovo”, in grado di elevarsi al pari di una “mongolfiera” e di avvertire “dall’alto” la sua “natura spirituale”, “splendente”, non più legata solo al suo corpo, alle “zavorre” terrena che lo fa viaggiare esclusivamente “rasoterra”. Pensava dunque ad un uomo che è capace di raggiungere la libertà che ha il vento, nel rispetto totale della natura, quindi dell’Universomondo. Vento di cui senti la voce. Quindi esiste, ma non ha una consistenza materiale tale da poterlo toccare o peggio ancora influenzare nelle sue scelte di vita, orientate verso la luce.
Un uomo dunque libero come il vento. Libero dalle passioni, dalle violenze, dai crimini e da tutto ciò che ci allontana dalla luce e dallo splendore che rappresenta il suo “soffio vitale” delle origini, il suo “spirito”. Non a caso Gesù aveva detto: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Ecco perché Gesù ci esorta dunque ad essere: “Cittadini del cielo, figli della luce”. A questo punto chiesi al mio interlocutore: pensi ci sia qualcuno che può confutare il concetto di “Universo” e può negare che sotto il profilo scientifico, per quanto ne sappiamo, è senza tempo e senza spazio, quindi “infinito”? E si può contestare che da sempre e forse per sempre l’Universo ruota e ruoterà, secondo una “legge perfetta”, sia nelle grandi che nelle piccole distanze? E che succede se questa “legge perfetta”, “perfetto algoritmo”, che fa girare da sempre e per sempre tutti i pianeti all’interno dell’Universo infinito, la chiamiamo “Dio” (ovvero “energia luminosa”), piuttosto che in un altro modo, supponiamo “xy”?
E se poi noi tutti veniamo da quell’Universo, vuol dire che siamo stati generati all’interno dello stesso. Quindi siamo parte integrante dello stesso. Ma se siamo parte integrante dell’Universo è davvero così fantasioso pensare di poterci vivere in un perfetto equilibrio, posto che è della nostra stessa natura e noi di quella? E se questo equilibrio, composto di “energia”, la chiamiamo “spirito” piuttosto che in un altro modo, supponiamo “vz”, può qualcuno obiettare qualcosa? E con quali argomentazioni? E poi, se proveniamo da quell’energia, perché con la morte non dovremmo tornarci, per proseguire così il nostro cammino? Non c’è niente da fare: ad oggi, sia pur non essendo credenti (per me non era e non è un problema) e quindi volendo impostare il ragionamento solo sotto il profilo “laico”, non è possibile confutare la correttezza e la consequenzialità di queste argomentazioni.
Ed il vagito di un bambino che nasce o la nascita di un insetto o di un pesce, dunque la “vita”, lo “spirito vitale”, nonostante le teorie sul “brodetto primordiale”, rimane un fitto mistero al di fuori della grande, incommensurabile, possente, indelebile visione universale e celeste di “Dio” e di “Spirito”, oppure di “xy” e “vz” se lo preferiamo o con il nome che ciascuno decide di voler dare, che comunque non cambia il senso di quello che stiamo dicendo.
Ma andiamo avanti: Se “xy” o Dio se preferiamo chiamarlo così, è “uno” per le religioni monoteistiche, quindi per i Cristiani, gli Ebrei e gli Islamici, “uno” rimane, qualunque sia il nome od il titolo che gli si vuol attribuire. E se è “uno”, è ovvio che è esattamente lo stesso per Cristiani, Ebrei ed Islamici. E questo direi che è semplicemente “matematico”. Ma anche Papa Francesco ha sostenuto questa stessa tesi, quando ha detto, nei colloqui con l’ateo Eugenio Scalfari: “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico. Non esiste un Dio cattolico”. E poi: “Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine e di erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può nascere”.
Mi fermai lì. Non volevo complicargli di più il discorso di quanto già non avessi fatto, conscio però che aveva una preparazione tale, da essere perfettamente in grado di seguire il mio ragionamento, che gli avevo trasmesso con il cuore. Ma il tempo a nostra disposizione nel frattempo era scaduto. Ecco allora che Paolo si alzò lentamente e mi abbracciò. Vidi perfettamente che aveva le lacrime agli occhi. La guardia carceraria con molto garbo lo riportò in cella. Ci lasciammo così. E non l’ho più visto, perché la volta dopo era stato trasferito in un altro carcere.