Pietro e Paolo, per la Chiesa sempre insieme ma in realtà si disprezzavano

Ha pubblicato “Yehoshua ben Yosef detto Gesù – La sua vera storia – la forza delle sue idee”, “Il Vangelo Segreto di Gesù”, “Gesù di Betlemme” e “Il Ritorno alla Casa di Israele (il Noachismo)”
L’iconografia, la tradizione e la Chiesa ci rappresentano Pietro e Paolo sempre insieme ed anche la recente festa del 29 giugno (istituita nel IV secolo) li accomuna. Ma le cose non andarono così. Partiamo innanzitutto dal fatto che gli episodi riportati dalle Sacre Scritture, nei quali Pietro e Paolo sono insieme, sono solo tre e l’ultimo fu uno scontro molto duro che interruppe i rapporti fra i due.
Un primo breve incontro fu a Gerusalemme intorno al 36 d.C., dopo tre anni dalla conversione di Paolo sulla via di Damasco. Ce lo dice lo stesso Paolo: “Dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Pietro e rimasi presso di lui quindici giorni”. In pratica, Paolo, dopo aver perseguitato i seguaci di Gesù e dopo essersi convertito, iniziò le sue predicazioni “motu proprio” (dicendo di essere stato incaricato da Gesù risorto), senza prendere alcun contatto con gli Apostoli, che erano stati accanto a Gesù in tutta la sua vicenda terrena (Paolo non incontrò mai Gesù).
Il secondo fu per il Concilio di Gerusalemme, nel 46 d.C. (Gesù era morto da circa 16 anni), al quale parteciparono Giacomo il Giusto (fratello di Gesù e vero successore di Pietro: ma ne riparleremo), Pietro, Paolo e Barnaba (allievo e seguace di Paolo) oltre ad altri Apostoli ed anziani. In quell’occasione l’establishment di Gerusalemme, gli ebrei che credevano che Yehoshua (Gesù) fosse il Messia atteso, quindi i cosiddetti “giudeo-messianici”, decisero di accettare i “pagani”, nelle comunità fondate da Paolo al di fuori della Palestina (ad Antiochia, in Siria ed in Cilicia).
Il terzo avvenne ad Antiochia, allorché Paolo si scagliò in modo molto duro nei confronti di Pietro (Lettera ai galati), perché non voleva sedere a tavola con i pagani: “Ma quando Pietro venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto”. Dopo questo grave diverbio i due non si incontrarono mai più.
Ma le evidenti diversità di idee fra Paolo e Pietro si rilevano in modo molto evidente, soprattutto in questo passo tratto dalla “Prima Lettera ai Corinzi”, nella quale Paolo si lamenta del fatto che “Ciascuno di voi dice: io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, ed io di Pietro”. Emergono così in modo molto chiaro tre distinte “scuole di pensiero”, alle quali aderivano i seguaci dell’uno o dell’altro (di Apollo pareremo in uno specifico articolo futuro). Ma è sempre nella stessa lettera, che Paolo denuncia apertamente il fatto che a lui venga negato di portare con sé una donna, cosa che invece è concessa agli altri Apostoli ed anche a Pietro: “Noi non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri Apostoli, i fratelli del Signore e Pietro“.
E Paolo si lamenta anche del fatto che viene negato, solo a lui ed a Barnaba, di potersi far sostenere economicamente dagli evangelizzati, evitando così di dover lavorare: “Solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare. E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano: è la Legge che dice così. Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo con me. Preferirei piuttosto morire”. E la conseguente assenza di risorse economiche porta Paolo anche a vergognarsi “pubblicamente” del fatto di aver “spogliato” delle Chiese, per proseguire la sua predicazione, di aver dovuto chiedere la carità a comunità povere quanto lui, diversamente da Piero e dagli altri, che potevano effettuare la loro opera di evangelizzazione con adeguate disponibilità “finanziarie”: “Ho spogliato altre Chiese accettando da loro il necessario per vivere, allo scopo di servire voi”. Infine Paolo si lamenta – e questo è molto grave - di essere stato snobbato, rispetto a Pietro ed a Giacomo, nientemeno che dallo stesso Gesù: “Cristo è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture ed apparve a Pietro e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me, come ad un aborto”.
Ma il suo astio nei confronti degli “altri” Apostoli, posto che lui non lo era stato, Paolo lo dimostra pienamente allorché, non sentendosi inferiore a loro, li sbeffeggia definendoli: “Superapostoli”. “Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno Spirito diverso da quello che avete ricevuto od un altro Vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi “Superapostoli”.
Ma anche Pietro vedeva molto male Paolo, che andava a predicare una “sua dottrina” in nome di un Gesù che non aveva mai conosciuto, e che sempre più si stava allontanando dall’ebraismo, religione del Maestro, a favore dei pagani.
E tanto male lo vedeva da definirlo “un nemico”: “Qualcuno fra i gentili (i pagani) ha rifiutato il mio legittimo insegnamento, attaccandosi a certe predicazioni futili e senza legge da parte dell’uomo che è mio nemico”. Ed invita a non credere: “Ad alcun maestro, a meno che non giunga da Gerusalemme con la parola di Giacomo il Giusto, il Fratello del Signore, o chiunque venga dopo di lui”. E Paolo, come abbiamo visto, non veniva da Gerusalemme.
In merito alle lettere di Paolo, poi, Pietro si era così espresso: “In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, per loro propria rovina”. Pietro dunque, che ricordiamoci bene era un illetterato pescatore, dice: Paolo è una persona molto colta e sapiente. Ma scrive in modo così complicato e difficile che le sue lettere vengono facilmente equivocate dalle persone meno acculturate e - di conseguenza – producono su di loro vere e proprie rovine. Evidentemente polemizzava sul fatto che il messaggio cristiano doveva essere rivolto proprio ai più umili e semplici, cosa che Paolo – incurante - disattendeva completamente.
Così scrive Jose’ Miguel Garcia (Direttore della Cattedra di Teologia nell’Università Complutense di Madrid e Professore di Sacra Scrittura presso la Facoltà di Teologia San Damaso e presso l’Istituto di Scienze Religiose, ambedue di Madrid), in merito ai rapporti fra Pietro e Paolo: “Il gruppo di Pietro considerava Paolo un falso apostolo, in quanto non aveva vissuto con Gesù”. Va poi detto non vi è alcun documento che attesti che Pietro sia mai stato a Roma e tantomeno che lì abbia edificato la Chiesa. E non c’è alcuna certezza che le ossa che si trovano nella scatola di plexiglas esattamente a perpendicolo rispetto alla Cupola di San Pietro, lì posizionate nel giugno del 1968, dopo rocambolesche vicende, siano realmente dell’Apostolo Pietro. Da notare che fu Papa Pio XII ad ordinare per primo, nel 1940, di fare degli scavi nelle Grotte Vaticane da un gruppo di archeologi.