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Giro d'Italia in Israele? L'associazione "Pace per Gerusalemme-il Trentino e la Palestina" dice ''no'': "Implicita approvazione delle politiche di occupazione"
Nel maggio del 2018 la Corsa Rosa partirà da Gerusalemme ma l'onlus trentina, assieme ad altri 160 soggetti europei tra cui Noam Chomski e Moni Ovadia, Sergio Cofferati e Curzio Maltese, Fiom-Cgil, Usb, Pax Christi e Rete Ebrei si oppongono fermamente

TRENTO. C'è anche l'associazione "Pace per Gerusalemme - il Trentino e la Palestina" tra i circa 160 soggetti che in questi giorni da tutta Italia stanno dicendo "no" alla partenza del Giro d'Italia da Gerusalemme. Perché? "Rischia di essere una iniziativa che pecca di retorica e di falsa coscienza - spiegano dall'associazione trentina da 17 anni si occupa di Palestina e Israele - vista la grande responsabilità dell'Europa sia nel dramma della Shoah, sia nella rimozione dell'ingiustizia patita dai palestinesi, i quali hanno pagato con l'esilio a partire dal 1948 e pagano tuttora con l’occupazione delle terre da loro sempre abitate, che li priva di uno stato autonomo".
Il tema è ormai sulla bocca di tutti, appassionati e non: il Giro d'Italia 2018, per la prima volta nella storia di una grande corsa a tappe, partirà fuori dai confini del Vecchio Continente (mentre è la 13esima volta che fa tappa all'estero). Il via sarà dato proprio a Gerusalemme con una cronometro individuale e poi ci saranno altre due tappe in terra israeliana. Tra le ragioni ci sono i 70 anni dalla nascita dello Stato d'Israele e, più in piccolo, i 5 dell'inserimento della figura di Gino Bartali tra i "Giusti" del muro d'onore di Gerusalemme: il nome del grande ciclista italiano, infatti, dal 2013 è impresso nel muro del Giardino dei Giusti nel Mausoleo della Memoria Yad Vashem.
E la bici, se vogliamo, è proprio un simbolo di libertà, di fatica e di impegno. Forse anche per questo (oltre gli importantissimi motivi economici, inutile negarlo) si è scelto di portare il Giro in Israele, con un intento distensivo e inclusivo. La cosa, però, non è piaciuta a molti e tra questi c'è anche l'associazione trentina "Pace per Gerusalemme": "In occasione della Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (29 novembre) proponiamo una riflessione a proposito della 'Grande partenza' del Giro d'Italia da Israele, programmata per maggio 2018. L’intenzione - scrivono dall'associazione - degli organizzatori è soprattutto quella di celebrare i 70 anni dalla nascita dello Stato di Israele. Senza nulla togliere alla rilevanza storica di quella data, va detto che essa ha comportato conseguenze drammatiche e conflittualità mai risolte e, anzi, più che mai attuali, anche se taciute e rimosse dalla coscienza collettiva dell'Occidente".
"Appare - proseguono - a questo proposito, tanto più scorretta la rappresentazione di Gerusalemme Est come capitale unificata di Israele (vedi sito ufficiale del Giro), cosa che né l’Onu, né i principali paesi occidentali, né alcuna legge internazionale ha mai riconosciuto. Riteniamo quindi che l'iniziativa non solo manchi dei presupposti per richiamare un'utile attenzione verso il Vicino Oriente e i suoi conflitti, ma possa anzi essere un'implicita approvazione delle politiche di occupazione di Israele e del loro disconoscimento dei diritti palestinesi, nonostante le numerose condanne a livello internazionale e il riconoscimento formale dello Stato Palestinese da parte di moltissimi Paesi e anche di recente da papa Francesco. E riteniamo possa infine, nel concreto, contribuire invece ad un inasprimento di interventi repressivi preventivi in nome della ‘sicurezza’".
Per questo l'Associazione Pace per Gerusalemme onlus ha aderito alla Campagna Internazionale #CambiaGiro insieme ad altri 160 soggetti, tra cui europarlamentari (come Eleonora Forenza, Sergio Cofferati e Curzio Maltese), organizzazioni sindacali e cattoliche (come Fiom-Cgil, Usb, Pax Christi e Rete Ebrei contro l’occupazione), intellettuali ebrei come Noam Chomski e Moni Ovadia, nella convinzione che siano piuttosto necessarie riflessioni pacate sulle ragioni dei due popoli, proposte che aiutino la negoziazione di una soluzione politica pacifica, pressioni affinché i decisori politici non possano chiamarsi fuori dalla necessaria assunzione di responsabilità. Queste le loro intenzioni. Nei fatti si vedrà. C'è tanto da pedalare.