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Un vino da uve resistenti, una nuova frontiera nel bellunese, che arriva in Trentino e Alto Adige

Vini da vitigni insoliti, per certi versi "strambi", ancora incompresi, ma decisi a mettere radici in ambiti altrettanto inconsueti. Non solo tra le Dolomiti – Alto Adige e Trentino stanno intensificando questa pratica viticola – ma anche nelle campagne attorno Feltre e verso l’Alpago

Di Nereo Pederzolli - 24 maggio 2018 - 13:16

COLDERU’Vini da vitigni insoliti, per certi versi "strambi", ancora incompresi, ma decisi a mettere radici in ambiti altrettanto inconsueti. Feltrino e provincia di Belluno in primis. Una degustazione a Colderù, per spronare nuove colture e modi alternativi per capire il vino "Made in Dolomiti".

 

Stimolare la sperimentazione vitivinicola più rispettosa dell’habitat, ponendo le basi per avere tra qualche vendemmia vini autenticamente "delle Dolomiti". E farlo sfruttando le varietà di viti interspecifiche, quelle siglate con PIWI, quattro lettere che certificano piante in grado di resistere alle principali malattie fungine. E quindi in grado di produrre uve sane senza alcun trattamento chimico.

 

Iniziativa dell’Associazione italiana sommelier del Feltrino, spronata da PIWI del Veneto, che nell’Osteria Colderù ha meticolosamente proposto il confronto tra sei vini bianchi ottenuti rigorosamente da uve di varietà "resistenti", cioè piante cresciute e curate senza alcun trattamento di sintesi.

 

Una nuova frontiera? Non solo tra le Dolomiti – Alto Adige e Trentino stanno intensificando questa pratica viticola – ma pure nelle campagne attorno Feltre e verso l’Alpago.

 

Ne sono convinti alcuni imprenditori vitivinicoli del Veneto, decisi a mettere a dimora "barbatelle" di Solaris, Johanniter, Prior, Regent e altre ancora, tutte a bacca bianca, ritenute più consone ai terreni e alle condizioni pedoclimatiche del bellunese, rispetto a altre analoghe "resistenti" mirate a vini rossi da Bronner, Carbon o Cortis.

 

I riscontri – più che convincenti – non si sono fatti attendere. Assaggi e discussioni, aneddoti e strategie, con la convivialità tipica degli incontri dove il vino aiuta a capire, a stimolare buoni pensieri oltre che appagare le papille gustative.

 

Nei bicchieri sei interpretazioni da uve PIWI. Da uno spumante di pronta beva come il Derù della Tenuta Crodarossa -  azienda davvero "vicina" a Colderù, al pari del vino bianco Principe di Mel dell’omonima cantina – ad alcune chicche di prestigio, proposte da un produttore altoatesino, Lieselhof, e  l’esclusivo Vin de la Neu, pregiatissimo bianco ottenuto nei vigneti di Coredo, alta val di Non, solitamente sommersi dalla neve (neu, nella parlata nonesa). Con altri due validissimi interpreti, il Limine e il Terre di Cerealto, il primo curato dall’azienda Terre di Ger in Friuli, l’altro sulle colline di Valdagno, nel vicentino.


Degustazione alquanto variegata, decisamente appagante. Che ha dimostrato tutto il potenziale di queste "strambe" varietà, ottenute dopo anni d’incroci viticoli, senza alcuna forzatura Ogm: solo sfruttando le potenzialità naturali di viti selvatiche "innestate" in altre tipologie viticole, solo per ottenere piante che producono uva senza dover ricorrere a trattamenti chimici.

 

Vini da scoprire, viti da impiantare per nuove opportunità. Anche imprenditoriali. Non a caso alcuni imprenditori veneti stanno progettando la messa a dimora di viti PIWI in una quindicina di ettari, opportunamente acquistati vicino Feltre. Operazione  per ridare slancio alla viticoltura bellunese, pure per ridiscutere il modo di valorizzare le "terre di mezzo", per avere vini originali legati alle Dolomiti.

 

Lo hanno ribadito alcuni esponenti del Comitato Coste Feltrine e dell’Associazione viticoltori Alpago. "Recuperare terreni per colture che devono fare cultura, insistere sul ruolo prioritario dell’agricoltura mirata e di qualità – ha sostenuto Enzo Guernieri, mentre si disquisiva sul carattere e le fragranze di un vino "Made in Feltre".

 

E ancora. Osare fare bene e meglio anche in zone come l’Alpago. "Perché bisogna dare valore alle cose buone, buone come questi vini" – ha sottolineato Sheila De Battisti.

 

Ecco allora una stimolante opportunità di valorizzare ambiti per certi versi poco inclini alla viticoltura. Per dare futuro a micro imprese agricole, coinvolgendo magari anche aziende  già solidamente operative in altre attività (tra questi Robert e Gianni Spinazzè, azienda leader  nella produzione di pali in cemento per l’agricoltura, imprenditori presenti alla degustazione) con enologi altrettanto esperti, specialisti in questa tipologia di vinificazione (come Nicola Biasi, wine maker trentino, operativo in molte regioni europee, tra i primi a puntare sulle PIWI) destinata a mercati ancora di nicchia, ma con una crescente domanda di vini decisamente ecosostenibili.

 

Una garanzia che i PIWI garantiscono ai massimi livelli. Per vini in grado di coinvolgere nella loro schietta semplicità, con sfumature aromatiche gentili, un carattere versatile, gusto sapido, buona amalgama e assolutamente in sintonia con le peculiarità ambientali dove maturano queste "resistenti": vini complessi, mai complicati.

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