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Emanuele Filiberto scrive agli ebrei italiani: "Le leggi razziali un'ombra indelebile. Chiedo perdono per la mia famiglia"

A oltre 80 anni dalla firma apposta da suo bisnonno Vittorio Emanuele III alle leggi razziali, l'erede di casa Savoia Vittorio Emanuele III ha voluto inviare una lettera di scuse alla comunità ebraica italiana. "E' arrivato il momento di fare i conti con la Storia". Ma perché questo gesto? 

Di Davide Leveghi - 23 gennaio 2021 - 12:41

TRENTO. Meglio tardi che mai, recita un vecchio adagio. Eppure le scuse annunciate in mondovisione da parte di Emanuele Filiberto, erede della casata Savoia, alla comunità ebraica italiana per il ruolo svolto da suo bisnonno Vittorio Emanuele III e dalla “Real Casa Savoia” nella persecuzione hanno il sapore di un'ammissione tardiva e un po' strumentale.

 

Il gesto del rampollo Savoia di scrivere una lettera aperta in cui “esprimere una sincera amicizia e trasmettere tutto il mio affetto nel solenne 'Giorno della Memoria'”, infatti, si caratterizza certo per il buon animo, ma non fuga i dubbi né sulle motivazioni né sui contenuti. Perché a 83 anni di distanza dalla firma delle leggi razziali da parte del re, e da 78 dall'inizio dello sterminio, l'erede sabaudo ha deciso di fare questo gesto pubblico?

 

“Vi scrivo a cuore aperto una lettera certamente non facile, una lettera che può stupirvi e che forse non vi aspettavate – ha proseguito - eppure sappiate che per me è molto importante e necessaria, perché reputo giunto, una volta per tutte, il momento di fare i conti con la Storia e con il passato della Famiglia che oggi sono qui a rappresentare, nel nome millenario di quella Casa Reale che ha contribuito in maniera determinante all'unità d'Italia, nome che orgogliosamente porto”.

 

Scrivo a voi, Fratelli Ebrei, nell'anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, data simbolo scelta nel 2000 dal Parlamento della Repubblica Italiana, a memoria perpetua di una tragedia che ha visto perire per mano della follia nazi-fascista 6 milioni di ebrei europei, di cui 7500 nostri fratelli italiani. È nel ricordo di quelle sacre vittime italiane che desidero oggi chiedere ufficialmente e solennemente perdono a nome di tutta la mia Famiglia. Ho deciso di fare questo passo, per me doveroso, perché la memoria di quanto accaduto resti viva, perché il ricordo sia sempre presente”.

 

Condanno le leggi razziali del 1938, di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle e con me tutta la Real Casa di Savoia e dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un'ombra indelebile per la mia Famiglia, una ferita ancor aperta per l'Italia intera”.

 

Dopo aver elencato altri gesti compiuti dai suoi antenati, favorevoli agli ebrei italiani (un passaggio è dedicato anche ai parenti che soffrirono “sebbene per motivi politici” la deportazione), Emanuele Filiberto ha poi aggiunto: “Desidero che la Storia non si cancelli, che la Storia non si dimentichi e che la Storia abbia sempre la possibilità di raccontare quanto accaduto a tutti coloro che hanno fame e sete di verità”. La lettera si conclude così: “Scrivo a voi questa mia lettera, sinceramente sentita e voluta, che indirizzo a tutta la Comunità italiana, per riannodare quei fili malauguratamente spezzati, perché sia un primo passo verso quel dialogo che oggi desidero riprendere e seguire personalmente”.

 

Il riferimento alla “Storia” con la “S” maiuscola, nondimeno, esaurisce in sé i limiti stessi del gesto. Se infatti la vicinanza dimostrata alle vittime può risultare nobile, al tempo stesso presta il fianco ad essere vista come un'operazione funzionale a ingraziarsi l'opinione pubblica. Le responsabilità della Casa Savoia non si limitano certo alla firma delle leggi razziali da parte dell'allora monarca Vittorio Emanuele III ma affondano le radici nello stesso appoggio del fascismo (QUI un approfondimento).

 

Non è dunque una lettera, seppur forte nei toni, a cancellare l'onta della famiglia, né “l'operazione simpatia” lanciata tra apparizioni televisive e canzoni a Sanremo a ripulire l'immagine di una casata che si è macchiata di corresponsabilità gravissime nell'oppressione dell'intera popolazione italiana, e non solo della sua piccola e integrata comunità ebraica. Vittorio Emanuele III fu inoltre a capo di un effimero ma sanguinario impero, costruito con la violenza criminale e la barbarie ammantata di “opera di civilizzazione”.

 

Dove sono le scuse al popolo italiano, dunque? Dove l'assunzione di responsabilità per l'altrettanto infamante sostegno, convinto e non “sofferto” (come si dice rispetto alla firma delle leggi razziali del 1938), al regime che ha condannato milioni di persone al silenzio e all'abuso quotidiano delle libertà?

 

Con la legge costituzionale dell'ottobre 2002, la disposizione transitoria e finale della Costituzione con cui si proibiva agli eredi maschi della famiglia Savoia di entrare e soggiornare in Italia veniva abrogata. Da quel momento cominciava un percorso di avvicinamento di Emanuele Filiberto - in vece del nome che porta - all'opinione pubblica nazionale, un'operazione parsa come un tentativo di ripulire l'immagine della monarchia agli occhi degli italiani. Tra scandali giudiziari, avventure politiche e tante comparsate in televisione, la strada, però, è ancora lunga.

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