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"Dieci anni fa la polizia morale mi ha caricata in macchina, insieme ad altre, perché non indossavo correttamente lo hijab. Oggi situazione ancora più violenta"

La testimonianza di Setareh, che da anni vive a Trento, intervistata da Il Dolomiti: "In università sono stata presa con violenza perché non dovevo indossare la mia giacca verde chiaro perché troppo appariscente. Ai tempi non avevamo tutto questo coraggio come le ragazze adesso. Le donne stanno vivendo con grande paura, mi dicono che in città è come essere in guerra"

Di Francesca Cristoforetti - 29 ottobre 2022 - 21:03

TRENTO. "Mi hanno obbligato a salire sul van, eravamo già una decina di donne circa. Stavo tornando dal lavoro, ero stanchissima, ma secondo la polizia morale non stavo indossando correttamente lo hijab, per questo mi hanno prelevata". Questo succedeva 10 anni fa a Teheran, in Iran, racconta a Il Dolomiti la giovane Setareh, che vive a Trento da circa 9 anni. "Se questo vi sembra grave quello che sta succedendo adesso è ancora peggio, ora in giro ci sono poliziotti ovunque, anche senza divisa ma con pistola in mano che molto facilmente usano e sparano anche a persone in auto".

 

Sono passati ormai tanti giorni dall'inizio delle proteste in Iran, che stanno scaldando non solo tutto il paese ma anche il resto del mondo. Ancora oggi giovani ma soprattutto donne stanno chiedendo libertà, ribellandosi contro le autorità del regime e chiedendo giustizia per la morte della 22enne curda Mahsa Amini, morta mentre era sotto la custodia della polizia morale, dopo essere stata accusata di non indossare adeguatamente il velo. Insieme a lei hanno perso la vita anche altre donne, tra cui anche la ventenne Hadis Najafi, uccisa con sei colpi d'arma da fuoco, nella città di Karaj, vicino alla capitale iraniana, dopo essere diventata simbolo delle proteste.

 

La testimonianza di Setareh, 33 anni, (per cui è stato deciso di non rendere noto il cognome) sono riecheggiate al microfono durante la manifestazione organizzata nella giornata del 28 ottobre in piazza d'Arogno, in centro storico, promossa dai sindacati Cgil Cisl e Uil in solidarietà alle sorelle iraniane.

 

"La polizia inizia a guidare, senza sapere dove ci stavano portando - prosegue il suo racconto -. Sento che i poliziotti tra di loro si chiedono quanti posti liberi ci fossero ancora in macchina. 'Uno solo', risponde un agente. Poco dopo fermano una ragazza che stava uscendo da una fioreria e senza motivo la caricano con noi nel van, mentre il marito rincorreva il mezzo disperato, chiedendo dove la stessero portando. Siamo arrivate in centrale con le altre ragazze, ma non sapevo dove fossi. Mi hanno scattato delle foto, come se mi avessero dovuto 'schedare' e poi mi hanno fatto firmare una confessione scritta da me, in cui dichiaravo di portare in modo scorretto lo hijab e che ero troppo truccata, anche se questo non era vero. Poi mi hanno avvisato che mi avrebbero potuto mettere in prigione se fossi stata presa un'altra volta".

 

Soltanto a quel punto Setareh, all'epoca poco più che ventenne, è stata rilasciata. Una storia che lei sente ancora molto vicina e che adesso, a distanza di dieci anni, purtroppo, ancora troppo attuale.

 

"Anche in università al tempo era così - aggiunge - a Mashhad, già dal primo giorno di inizio delle lezioni le autorità ci avevano avvertite che ci trovavamo in  una città santa. Ogni mese ero chiamata da una commissione disciplinare per rilasciare una confessione, per esempio che avevo lasciato un bottone aperto o che avevo troppo trucco. Poi mi hanno minacciato che dovevo mettere lo chador se volevo laurearmi. Una volta sono stata presa con violenza perché non dovevo indossare la mia giacca verde chiaro perché troppo 'appariscente'".

 

Setareh è l'unica della sua famiglia che è riuscita a trasferirsi all'estero, arrivando a Trento, dove attualmente vive con suo marito. "Ora è sempre peggio in Iran, soprattutto a seguito delle proteste. Anche io ho vissuto tutta questa violenza, ma noi ai tempi non avevamo tutto questo coraggio come le ragazze adesso. Le donne stanno vivendo con grande paura, mi dicono che in città è come essere in guerra. La polizia in Iran fa paura, non è sinonimo di sicurezza, è solo una minaccia. Stanno contestando qualsiasi cosa, le donne vengono fermate per esempio perché indossano vestiti che non sono abbastanza lunghi".

 

I sindacati organizzatori del presidio aggiungono: "Dal 16 settembre ad oggi le prime stime parlano di quasi 250 morti e di oltre 12.000 arresti come conseguenza degli scontri tra manifestanti e forze di polizia iraniane. Intanto varie forme di ribellione alle leggi più oscurantiste, in particolare nelle università del paese, proseguono nonostante i tentativi del regime di soffocare le proteste".

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