Superate le 700 vittime civili in Myanmar ad oltre due mesi dal colpo di stato militare. L'esercito uccide 80 manifestanti in un solo giorno a Bago
Il bilancio dei morti fra i manifestanti in Myanmar si fa sempre più tragico: dal 1° febbraio, quando l'esercito ha preso il controllo del paese, sono almeno 700 le vittime della repressione nell'ex Birmania. Ora la paura è che gli scontri possano sfociare in una vera e propria guerra civile

TRENTO. A più di due mesi dal colpo di stato in Myanmar la brutale repressione della giunta militare non accenna a fermarsi: durante il weekend sono stati superati i 700 morti dall'inizio delle manifestazioni. Secondo diverse fonti, venerdì scorso le vittime nella sola città di Bago, 90 chilometri a nord-est dell'ex capitale del paese Yangon, sarebbero state 82, dopo una giornata intera di scontri tra manifestanti e forze di sicurezza durante la quale i militari avrebbero utilizzato addirittura i lanciagranate contro la folla.
Mentre gli scontri tra i manifestanti e la giunta militare continuano a macchiare di sangue le strade del paese, all'orizzonte sembra farsi sempre più concreta la peggiore delle ipotesi, quella di una vera e propria guerra civile. A preoccupare sarebbe in particolare la possibilità di un'entrata in scena dei gruppi armati delle varie minoranze etniche del paese, che controllano di fatto diverse zone del Myanmar (in particolare quelle di confine) e che da anni si scontrano con la maggioranza buddhista. Come riporta Foreign Policy, queste organizzazioni paramilitari possono arrivare ad includere anche migliaia di combattenti addestrati e ben armati in grado, dovessero decidere di coordinarsi con il governo birmano in esilio, formato da un gruppo di rappresentanti della Lega Nazionale per la Democrazia (il partito guidato dall'ex leader del paese Aung San Suu Kyi) e con i manifestanti, di costituire un esercito capace di minacciare seriamente il potere delle forze armate del Myanmar (chiamate anche 'Tatmadaw' dalla popolazione).

La giunta militare, ben conscia del rischio che rappresenterebbe un'unione d'intenti tra i manifestanti ed i gruppi etnici armati, si è messa all'opera per cercare di evitare il nascere di una qualunque forma d'alleanza. Già la settimana scorsa però, come riportano diverse fonti internazionali, ben 10 organizzazioni etniche paramilitari avrebbero condannato la repressione del Tatmadaw, schierandosi con i manifestanti e supportando le proteste. Tre di questi gruppi sarebbero coinvolti nell'attacco alla stazione di polizia di Naugmon, nell'est del paese, in cui ieri sono morti 10 agenti. Fonti locali riportano anche l'uccisione, avvenuta ieri nella città di Tamu, al confine con l'India, di "almeno 18 soldati" ad opera di "forze di resistenza", tra le quali ci sarebbe anche uno dei gruppi armati anti-regime.
Secondo l'inviata speciale per il Myanmar delle Nazioni Unite Christine Schraner Burgener, il paese starebbe fronteggiando il rischio di una guerra civile "su una scala senza precedenti" ed il Consiglio di Sicurezza dell'Onu dovrebbe "considerare tutti gli strumenti a disposizione per agire collettivamente e fare ciò che è giusto, ciò che la popolazione del Myanmar merita, evitando una catastrofe multi-dimensionale nel cuore dell'Asia".