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Baveni, "L'Allenatore" del Trento dei miracoli, ricorda Grigolli: "Un grande presidente. Che festa dopo i rigori di Mantova"
E' stato il più importante mister della storia degli aquilotti. Ha voluto dedicare un ricordo al presidente di quelle annate incredibili: "Ero in garage e mi è capitata per le mani la cassetta sulla quale sono incisi i calci di rigore. E’ tutto ancora nitidissimo: i tre penalty parati da Gunther Mair e il tiro decisivo di Lomanno che ci permise di vincere la partita"

TRENTO. Giorgio Grigolli lo chiamava affettuosamente lo “Zio Bruno”. Per tutti i tifosi gialloblù, invece, Bruno Baveni è da sempre “l’allenatore”, colui il quale fu capace di portare, per due volte, gli aquilotti dalla C2 alla C1, vincendo (in entrambi i casi dopo i calci di rigore) gli spareggi di Verona contro il Padova e di Mantova contro l’Ospitaletto.
L’allenatore ligure è un’icona in via Sanseverino, al pari di Nereo Rocco per i tifosi milanisti, Helenio Herrera per quelli nerazzurri e Giovanni Trapattoni tra i suppoters bianconeri. Oggi Baveni ha 77 anni, gode di perfetta salute, vive nella natìa Sestri Levante e, fino allo scorso anno, ha lavorato sul campo, ricoprendo il ruolo di tecnico “in seconda” degli Esordienti della Virtus Entella. Un amico della città di Trento, dove ha lasciato tante persone che gli vogliono bene e pure un pezzetto di cuore. E il ricordo di Baveni è andato immediatamente al 16 giugno 1985. Ma non solo: perché il tecnico ligure era sulla panchina del Trento anche nel 1980, a Verona, e ha “vissuto” Giorgio Grigolli anche da giocatore, avendo militato in gialloblù all’inizio degli anni ’70, quando il dirigente trentino ricopriva la carica di vicepresidente alle spalle di Ito Del Favero.
“Pensate - racconta al telefono il tecnico ligure - che, proprio qualche giorno fa, ho ripensato allo spareggio di Mantova. Ero in garage e mi è capitata per le mani la cassetta sulla quale sono incisi i calci di rigore. E’ tutto ancora nitidissimo: i tre penalty parati da Gunther Mair e il tiro decisivo di Lomanno che ci permise di vincere la partita. Il presidente festeggiò con noi. Poi, purtroppo, il rapporto tra me e il Trento s’interruppe e, devo dire, io sarei rimasto volentieri: si lavorava bene, mia moglie era contenta, i figli andavano a scuola e si erano ambientati alla perfezione. Il calcio, però, è anche questo, ma ci lasciammo con serenità. Del presidente posso solamente parlare bene: era un un uomo di spessore, grande cultura e con tanta personalità. Se era presente? Moltissimo, ma ha sempre avuto massimo rispetto del mio ruolo: il confronto c’era ma nemmeno una volta si è intromesso nelle scelte tecniche. E’ stata una notizia che mi ha addolorato: colgo l’occasione per fare le mie più sentite condoglianze alla famiglia”.
E quindici anni prima, da giocatore, il rapporto con Grigolli era stato positivo? “Assolutamente sì - conclude -: Del Favero era il “presidentissimo”. Quando c’era un problema si andava da lui e veniva risolto in pochissimo tempo, ma Grigolli era il suo più stretto collaboratore e partecipava attivamente. Ripeto: per lui non posso che spendere parole positive. Per il Trento Calcio ha fatto tanto, tantissimo: si vedeva che amava la società e quei colori”.