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Dopo la valanga che ha distrutto il rifugio Pian dei Fiacconi, la lettera del gestore: "Non posso nascondere rabbia e tristezza"
Dopo la distruzione del suo rifugio Pian dei Fiacconi, il gestore Guido Trevisan aveva un'idea precisa: ricostruire in armonia con la natura e l'ambiente circostante. Purtroppo c'è chi sta cercando di portargli via quel sogno. Le parole di Trevisan: "Non considero giusto sfruttare una catastrofe per perseguire interessi personali, molti pensano che sia ora di cambiare direzione e io penso che l'unica via sia quella di adattare le nostre abitudini all'ambiente"

CANAZEI. Lo scorso 14 dicembre una valanga distruggeva lo storico rifugio Pian dei Fiacconi. Un fronte nevoso di 600 metri colpiva in pieno il rifugio, abbattendo i muri, distruggendo le finestre e mandando all’aria tutto il lavoro che il gestore, Guido Trevisan, aveva portato avanti nel corso degli anni.
''Lo ha preso in pieno - raccontava Trevisan dopo la tragedia - ha scoperchiato le camere e le ha girate sopra il tetto della sala sfondandola. Quindi metà è distrutto e l'altra metà è da demolire. Muri spostati 10 centimetri a valle. Vent'anni di vita”.
Subito la comunità si era stretta attorno a Guido, avviando una campagna di donazioni volta a finanziare i lavori di ricostruzione. C’è però chi si è avvicinato pensando solamente ai propri interessi. Infatti poco tempo dopo lo sfortunato incidente è stata portata avanti l’idea di “sfruttare l’occasione” per ricostruire rifugio e impianti di risalita ancora più in grande. Una proposta con cui Trevisan non è assolutamente d’accordo.
Fin da subito il gestore aveva infatti presentato quella che era la sua idea. Ricostruire sì, ma in armonia con la natura, evitando di imporre sul paesaggio e l’ambiente circostante mastodontiche opere artificiali, che sarebbero solamente dannose, oltre che non sostenibili economicamente.
Per questo motivo il gestore scrive le seguenti parole, raccontando le sue vicissitudini e i suoi pensieri riguardo a quest’ultimo mese:
La prima sensazione che provai, quando arrivai al rifugio la prima volta dopo la valanga fu il vuoto, mi son sentito svuotato da un pezzo di vita, non avevo parole, emozioni, quasi neanche dolore, ed è stato così per qualche giorno. Poi il 24 dicembre lessi l'articolo sul quotidiano Trentino (e ieri 19 gennaio sul gazzettino.it) e non posso nascondere che i sentimenti che provai e ancora provo, son rabbia e tristezza.
Rabbia di vedere come la macchina potente dell'imprenditoria non si fermi e neppure rallenti di fronte ad un evento catastrofico ma tutt'altro e rilanci più di prima, tristezza per come cavalchi l'onda della sciagura per rilanciare la costruzione di un nuovo impianto di risalita più grande di prima e con più cemento armato per proteggerlo meglio da valanghe più grandi.
Trovo tutto ciò oltraggioso verso tutti noi, ricordiamoci che se la valanga fosse scesa in un altro momento avrebbero potuto esserci decine se non centinaia di morti, e non solo al rifugio, visto che la slavina è scesa fino a quota 2200m invadendo la pista da sci in più punti. Non scordiamoci poi, che slavine in pista da sci, scendono regolarmente da anni, l'ultima significativa risale a soli 5 anni fa, nel 2015, in cui le protezioni della pista sono state distrutte come fossero fil di ferro.
Incredibile la lucidità e la rapidità con cui i proprietari dell'impianto, i fratelli Mahlknecht, siano riusciti ad organizzare per loro iniziativa la “visita” al luogo del disastro, di una serie di persone interessate all'evento. A partire dal sindaco di Canazei, che era il loro commercialista fino a prima di diventare sindaco e attualmente ignoro se lo sia ancora, successivamente portando su i tecnici valanghe propri dipendenti e della Provincia Autonoma di Trento e infine i giornalisti che anziché soffermarsi a descrivere la distruzione hanno promosso un impianto di risalita offrendo all'opinione pubblica una versione dei fatti solo parziale.
La domanda che mi faccio ancora è: non abbiamo imparato nulla dalla storia? Non siamo in grado di capire i segnali della natura? Tanto più che non è la prima volta ma l'ennesima di una lunga serie. In generale non considero giusto sfruttare una catastrofe per perseguire interessi personali, molte persone mi dicono di condividere questo pensiero, molti pensano che sia ora di cambiare direzione e io penso che l'unica via sia quella di adattare le nostre abitudini all'ambiente in cui viviamo anziché cercare di adattare la natura a nostro piacimento.
Il Comune è il primo organo politico che decide la sorte del nostro territorio e i progetti da sviluppare. L'opinione pubblica di una cittadinanza consapevole ha il compito di manifestare la propria posizione riguardo all'utilizzo del proprio territorio e risulta essere strumento democratico ed utile anche all'amministrazione comunale per far conoscere la volontà dei propri elettori.
Spetta poi alla Provincia Autonoma di Trento autorizzare eventuali progetti compatibilmente a sostenibilità ambientale, sostenibilità economica e sicurezza.
Per quel che riguarda la sostenibilità ambientale, posso affermare in quanto ingegnere per l'ambiente e il territorio, che una stazione di un impianto di risalita “pesante” con un mastodontico vomere di cemento armato di protezione dalle valanghe, posizionato su una sommità piuttosto che in un avvallamento o sotto una linea di cresta, creino indubbiamente un impatto ambientale paesaggistico importante, senza considerare inoltre che siamo in territorio Unesco.
Per la sostenibilità economica e di sicurezza è sufficiente leggere il documento: “Verso un turismo sostenibile per l'area della Marmolada” Executive Summary giugno 2006 scritto dal Museo Tridentino di Scienze Naturali in collaborazione con l'università degli studi di Trento. In tal documento tra le varie cose si trova: “Per risultare economicamente conveniente quindi, il nuovo impianto dovrebbe essere frequentato ogni giorno dell'intera stagione (dicembre-aprile) da 300-450 sciatori, ipotesi che non sembra essere realistica”.
E' poi curioso come, al punto 4.4.2.3 e sottoparagrafi, “Analisi della sciabilità della zona” affidata all'ing. Andrea Boghetto, che partecipa all'attuale progettazione del nuovo impianto della ditta Funivia Fedaia Marmolada dei fratelli Mahlkencht, al fine di stilare una relazione tecnica su possibili scenari di sviluppo sciistico e impiantistico dell'area in oggetto, si legga tra le varie cose: “Ipotizzando per il futuro un ottimistico raddoppiamento dei passaggi a seguito del progetto di sviluppo e che il passaggio degli sciatori si distribuisca in ugual modo su tutti gli impianti, si trova un valore medio di 200.000 passaggi per impianto, valore sostanzialmente inferiore al limite di sopravvivenza e sostenibilità economica dell'iniziativa di realizzazione di impianti 'pesanti' e ancora: “d'altra parte i vincoli tecnici, normativi e le attuali preferenze della clientela escludono a priori il ricorso ad impianti 'leggeri'”.
Tra le varie problematiche evidenziate in questa analisi si leggono perplessità in particolare per lo sviluppo dell'area del Fedaia versante Trentino derivanti dal pericolo valanghe e le necessarie opere paravalanghe, dalla difficoltà di accesso per sicurezza (valanghe) delle strade che molto frequentemente rende incerto il passaggio e quindi l'affluenza della clientela, dagli elevati costi di costruzione e manutenzione di impianti “pesanti”, dalla necessità di riconsiderare tutte le piste e i sistemi di innevamento artificiale, dall'insufficienza dei parcheggi e delle aree disponibili.

Da ingegnere mi chiedo poi come un tecnico possa firmare la sicurezza di un impianto e ancor di più una pista in un sito dove basta sfogliare l'archivio provinciale delle valanghe per rabbrividire, è sufficiente visionare le carte della pericolosità e la carta di sintesi della pericolosità di tutto il territorio provinciale approvate il 4 settembre 2020 e in vigore dal 2 ottobre 2020, per vedere come tutta la zona del Pian dei Fiacconi sia considerata zona rossa ossia zona a pericolosità P4- Elevata- che nella scala di valutazione è la pericolosità massima.