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In Provincia passa la mozione per l'origine controllata e garantita delle uve, poche idee e pure confuse. Il Trento Docg Trentodoc rischia di diventare uno scioglilingua

Nessuna presa di posizione (ancora) da parte dei vertici del Trentodoc, l’istituto di tutela del marchio, neanche dal Consorzio Vini, l’organo ufficiale di controllo. Men che meno dai vignaioli trentini, da sempre poco inclini ad apporre sulle loro etichette dei loro vini la dicitura Doc

Di Nereo Pederzolli - 08 febbraio 2021 - 21:27

TRENTO. Poche idee progettuali, piuttosto confuse. Suggerire una Docg – denominazione origine controllata e garantita - alla Doc – l’origine solo controllata - Trento che come alfiere ha il Trentodoc (marchio di tutela e promozione) diventa uno scioglilingua. Ridicolo. Trento Docg Trentodoc.

 

Eppure il consiglio provinciale di Trento ha approvato senza batter ciglio una mozione in tal senso. Presentata dalla leghista Alessia Ambrosi, legami in val dei Laghi, dove si vendemmiano gran parte delle uve per la spumanistica trentina. "Rafforzare il settore delle bollicine trentine – dice la mozione – privilegiando le componenti autoctone. Identitarie e di territorio". Dimenticando che di "stanziale" o di autenticamente trentino, le uve per lo spumante hanno ben poco, se non nulla: sono prevalentemente a base di Chardonnay e Pinot nero, varietà prettamente internazionali. Confusione e scettiscismo.

 

Nessuna presa di posizione (ancora) da parte dei vertici del Trentodoc, l’istituto di tutela del marchio, neanche dal Consorzio Vini, l’organo ufficiale di controllo. Men che meno dai vignaioli trentini, da sempre poco inclini ad apporre sulle loro etichette dei loro vini la dicitura Doc.

 

Proposta strampalata – commenta qualche spumantista da noi interpellato, senza entrare nel merito, in attesa pure di un prossimo incontro delle categorie enoiche locali – che rischia di creare confusione nella comunicazione di un vino – appunto lo spumante classico trentino – in netta espansione e precisa collocazione sul mercato.

 

Una sessantina le aziende che aderiscono al Trentodoc, altre (una ventina) hanno scelto solo di apporre sulla etichetta dei loro vini vivaci la semplice indicazione Trento Doc, due parole distinte, separate. Che difficilmente valorizzerebbero ulteriormente il prodotto con l’aggiunta di una "G" a "garanzia" del legame territoriale prettamente trentino.

 

La questione delle semplici Doc è da oltre mezzo secolo al centro di disquisizioni e controversie. Cantine che sfruttano la Doc per ostentare identità, altre che rifiutano le tre lettere per trovare spazio nell’Igt – indicazione geografica tipica – tralasciando la simbiosi territoriale con Trento o Trentino, ripiegando sull’ampia indicazione Dolomiti.

 

E pensare che proprio la Provincia di Trento è stata tra le prime assolute nel panorama vitivinicolo italiano a legare all’ambito locale la denominazione del vino e del vitigno che lo genera. Esattamente nel 1971 sono state attuate le Trentino Doc e quella del Teroldego rotaliano. Due azioni fondamentali nella promozione e tutela del comparto vitivinicolo locale, Doc non sempre onorate con orgoglio da qualche cantina, per scelta commerciale, per miopia (?) o intraprendere altre tipologie vinarie.

 

Adesso ecco l’idea – unanime stando alla votazione in consiglio provinciale – di una possibile Docg per il brioso Trento. Dimenticando che l’iter per una simile importante tutela era già stata a suo tempo avanzata – ma finita nel dimenticatoio – per il Vino Santo Trentino, usando pure il rafforzativo Arèle come marchio ulteriore per una Docg. Progetto, questo sì, che avrebbe una sua logica: per la simbologia legata ala Vino Santo, per la sua limitata e preziosa – in tutti i sensi – produzione, per l’esiguo numero delle cantine che lo vinificano con assoluta passione ed esclusivamente in valle dei Laghi. Vino Santo, un passito dei passiti, un nettare, davvero da garantire. Ben diverso è lo spumante classico elaborato in Trentino, dove si registrano quasi 200 etichette diverse di "bollicine".

 

Introdurre la Docg tra le "pupitre" (caratteristiche strutture in legno traforato che sorreggono le bottiglie in affinamento) del Trento Doc comporta una radicale revisione del disciplinare di produzione, iter burocratico complesso, applicare poi ad ogni bottiglia l’apposita fascetta di garanzia, per tracciare ogni fase di vinificazione.

 

La Franciacorta attua questa procedura del 1995, per garantire la tracciabilità della Docg tra le sue quasi 18 milioni di bottiglie di spumante classico. Impegnando i produttori in azioni certosine di registro, con aggravio dei costi. In pratica per la fascetta si paga una tassa allo Stato. Tutto questo senza dimenticare che al dettaglio finale poco importa della "G" stampata sulla fascia che chiude il collo della bottiglia.

 

Il consumatore chiede chiarezza e semplicità, ma soprattutto riscontri qualitativi, appaganti, in funzione alla tipologia di vino che sceglie o che brama. Indipendentemente dalle Doc, dalla Docg, neppure dal rafforzativo "Superiore" (altro appellativo che si usa per certi vini Doc) o l’immediato legame territoriale – per il vino trentino - con le Dolomiti.

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