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Arriva il Festival TrentoDoc 2023 per celebrare le bollicine dei record ma che rischia di trasformarsi in una passerella per Fugatti & co.

Il festival è l’occasione per rileggere la storia stessa dello spumante, lanciare proposte nuove, affrontare questioni legate al ruolo dei mutamenti climatici e le esigenze del consumatore più attento. Tra storia e futuro. La speranza è che non si trasformi in una passerella considerato anche il periodo (è stato anticipato perché tra poche settimane si vota) che molti ritengono improprio per i lavori vendemmiali

Di Nereo Pederzolli - 21 settembre 2023 - 12:53

TRENTO. Una tre giorni briosa, decisamente frizzante o meglio: spumeggiante. E’ il Festival TrentoDoc 2023 al via in questo fine settimana. Quasi 80 cantine aderenti all’Istituto di Tutela TrentoDoc, una parola, una definizione che suggella il legame tra il territorio trentino e le blasonate bollicine, vini spumanti ottenuti con la lenta rifermentazione in bottiglia ( il cosiddetto ‘metodo classico’, in pieno stile champagne) di speciali cuvèe a base di uve Chardonnay e Pinot nero. Una produzione che sfiora i 13 milioni di bottiglie, TrentoDoc protagonista di un mercato in grande sviluppo, scandito dalle zone più vocate, Trentino assieme a Franciacorta, Oltrepò e Alta Langa. Con il Trentino che punta a incrementare notevolmente la produzione, per giungere tra qualche anno alla ‘sboccatura’ - parola che indica la tecnica della rifermentazione in bottiglia del vino spumante - di quasi 20 milioni di esemplari.

 

Un Festival scaturito da precise scelte promozionali, Trentino Marketing e i vertici della Provincia Autonoma, in sinergia con un quotidiano nazionale (Corsera) coinvolgendo schiere di comunicatori decisi a trasformare la kermesse in una sorta di apoteosi spumantistica. Con le aziende del settore rese (forzatamente??) protagoniste di una strategia promozionale certamente importante, imbastita in un periodo che molti ritengono improprio per i lavori vendemmiali, per un Festival che sembra pure uno spot pre-elettorale, in vista delle elezioni d’ottobre prossimo (non per niente è stato anticipato: si teneva ad ottobre in passato). E ancora: la tre giorni ostenta solo le cantine dell’Istituto di tutela, quelle del TrentoDoc, tralasciando molte altre aziende che in Trentino fanno spumante classico rispettando solo le norme della specifica DOC, vale a dire ‘ Trento - Denominazione di origine controllata’. Accentuando le divergenze operative e promozionali tra gli spumanti di blasonate cantine e le ‘bollicine’ di qualificati vignaioli, autonomi e indipendenti (il distinguo nasce dal fatto che solo le cantine TrentoDoc pagano quota per la promozione, le altre no).

 

Insomma: spumanti di serie A e altri ingiustamente ritenuti minoritari, anche se entrambi sono autentici rappresentanti della medesima Doc Trento. Il legame con la città e lo spumante non è però fortuito o basato su strategie promozionali. Trento è un pilastro per la storia della spumantistica italiana. Con un pioniere: Giulio Ferrari. Enologo trentino che già nel 1902 vinificava in perfetto stile francese alcune migliaia di bottiglie. Intraprendente, deciso a coinvolgere schiere di suoi amici enologi, creando la ‘via trentina al vino vivace’. Operosità e innovazione. Giulio Ferrari nel 1952 vende la sua piccola cantina a Bruno Lunelli, enotecaro che trasferirà la passione spumantistica ai suoi figli e nipoti, la dinastia ora proprietaria e produttrice dei blasonati spumanti Ferrari.

 

Trento che ha forgiato schiere di tecnici d’assoluto prestigio spumantistico. Da Nereo Cavazzani e Leonello Letrari, Riccardo Zanetti, poi Luciano Lunelli dell’Abate Nero - per citare personaggi del recente passato - per giungere alla schiera di enologi diplomati a San Michele all’Adige. Qualcuno di questi al Festival condurrà degustazioni e conferenze, altri purtroppo non compaiono sulla vivace cartellonistica sparpagliata su tutte le vie del ‘Trentino da bere’. Forse si potevano sentire le opinioni o i suggerimenti di cantinieri che hanno davvero elaborato le miglior spumantistica nazionale, impegnati per anni in confronti internazionali, testimoni e fautori del successo trentino in questa sfida enologica. Conquistando sperticati giudizi di prestigiose giurie internazionali. Enologi del calibro di Ruben Larentis, Chef de Cave della famiglia Lunelli, uno dei pochi in Italia a vantare la ‘sboccatura’ di quasi 150 milioni di bottiglie, tutte di Ferrari TrentoDoc.

 

Il festival però è anche l’occasione per rileggere la storia stessa dello spumante, lanciare proposte nuove, affrontare questioni legate al ruolo dei mutamenti climatici e le esigenze del consumatore più attento. Tra storia e futuro. Fino al XVII secolo i vini della Champagne - zona francese non a caso legata alla tipologia dei vini ‘mossi’ - erano praticamente di colore rosso. Solo una lenta evoluzione della tecnica enologica - la pressatura e la separazione delle bucce - porterà a sfruttare i vini bianchi o qualche rosato, da uve rosse. Una lenta evoluzione, che inizia con la prima citazione di ‘Vin de Champagne’, registrata addirittura nel 1493. Per far rifermentare il vino in bottiglia… bisognerà però giungere al 1668, quando viene prodotta la prima bottiglia di vetro pesante, in grado di sopportare la pressione della rifermentazione, per avere un ‘vino mosso’, termine (Mousseux) che nel 1694 entra ufficialmente nel dizionario dell’Accademia di Francia.

 

Trent’anni dopo, la vendita dei primi spumanti. Con la citazione dello champagne, servito nel 1759 alla corte di Luigi XV, versato in coppe di vetro modellate sul seno di Jeanne-Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour. Vino dolce, amabile, lo zucchero che mitigava difetti e favoriva la fermentazione, il ‘perlage’, le caratteristiche bollicine.

 

Un vino dolce, quasi stucchevole, servito a fine pasto. Ci pensarono alcuni cantinieri inglesi e tedeschi a renderlo più intrigante: mosso, secco, quel tanto che basta per poterlo bere a tutto pasto o in occasioni festose. Imprenditori e proprietari terrieri lungimiranti che fondarono le prime ‘maison’, quelle ancora protagoniste del mercato internazionale degli Champagne. Alcune citazioni temporali: Moet & Chandon nel 1743 seguita via via da Roger, Roderer. Mumm e Pommery - solo per citare le più rinomate - che sfruttano il ruolo politico e militare della Francia di Napoleone III, l’innovazione scientifica e industriale, la tecnologia germanica, l’avvento dell’elettricità (1880) che rivoluziona gran parte delle tecniche di cantina, il controllo delle temperature, la produzione di ghiaccio, indispensabile per ‘sboccare’, ovvero togliere i residui dei lieviti depositati sul collo delle bottiglie senza alterare il vino fatto pazientemente rifermentare in vetro.

 

Nell’evoluzione dello spumante classico citazione doverosa proprio per l’opera del Trentino, dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, fondato nel 1874. Una data che sarà al centro di una delle tante conferenze, degustazioni e ‘masterclass’ proprio dell’imminente Festival TrentoDoc.

 

Non mancheranno momenti conviviali e immancabili ‘passerelle’ di politici, ministro della sovranità alimentare compreso. Ma ci saranno pure occasioni di svago, festose, riservate pure ai bambini. Tra i vigneti di Castel Madruzzo i bmbini- accompagnati dai genitori - potranno vendemmiare qualche grappolo d’uva e intuire come nasce il vino. Non solo quello vivace del Trento Doc. Quello con bollicine suadenti quanto corroboranti. Che fanno ricordare alcuni aforismi, citazioni letterarie legate al fascino del ‘perlagè’. Ne citiamo solo due. Per Francis Scott Fitzgerald lo Champagne era una sanatoria etica: “Eccedere con tutto è sbagliato, eccedere con lo Champagne è semplicemente giusto”. Orson Welles ne fa una questione di temperatura: “Ci sono tre cose intollerabili nella vita – il caffè freddo, lo champagne tiepido e le donne troppo eccitate.”

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