"L'Amazzonia mi ha insegnato che dipendiamo gli uni dagli altri", la biologa e attivista Emanuela Evangelista racconta la sua vita nel cuore della foresta
Arrivata in Amazzonia 25 anni fa, oggi Emanuela vive a Xixuaù, un villaggio di caboclos a 400 chilometri a nord di Manaus. Attraverso le storie delle persone che ha incontrato, parla di deforestazione, lotta per la tutela della foresta, commercio di legname, bracconaggio, sfruttamento delle miniere d'oro, diritti degli indigeni

AMAZZONIA. “Se si potesse dividere la terra in luoghi maschili e femminili, l'Amazzonia sarebbe la più femminile di tutte. Inoltrarsi in una foresta primaria ha qualcosa di viscerale, è un cammino interiore. Più lungo è il percorso, più profonda è l'esperienza, che a tratti sembra un tragitto a ritroso nell'utero materno. Un abbraccio di madre fu esattamente quello che sentii la notte in cui naufragammo in mezzo al fiume....”. Emanuela Evangelista ha scelto l'immensità di quell'abbraccio materno, un'immensità di sfumature di verde (sono 27 quelle che distinguono i popoli indigeni), dove l'acqua e il silenzio sono protagonisti: acqua che è vita, silenzio che è mosaico di suoni naturali, “non assenza di suono ma assenza di frastuono”.
Lei, biologa della conservazione e attivista ambientale, da oltre vent'anni ha fatto di una palafitta nell'entroterra amazzonico, a 400 chilometri e due giorni di navigazione dalla capitale dello stato brasiliano di Amazonas, Manaus, la sua casa. Impegnata nella tutela della foresta amazzonica, della biodiversità e delle popolazioni tradizionali, nominata per questo Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica (qui articolo), ha raccontato nel suo primo libro “Amazzonia”, edito da Laterza, la sua vita nel cuore della foresta. “Vivere in quel luogo è un privilegio – ha raccontato Emanuela, che nei giorni scorsi ha presentato il libro anche in Trentino - e i privilegi vanno condivisi. Inoltre, sogno che questo libro diventi uno strumento di protezione di questa foresta”.
Emanuela oggi vive a Xixuaù, a 400 chilometri a nord di Manaus, l'ultima comunità prima della terra indigena dei Waimiri-Atroari, il popolo con cui condivide il Rio Jauaperi, che fa da confine tra gli stati brasiliani di Amazonas e Roraima. Condivide la vita con 15 famiglie di caboclos, discendenti di indios, europei e neri, per lo più cacciatori e raccoglitori, all'interno di un'area che, dopo 17 anni di lotte, è stata riconosciuta Parco nazionale dello Jauaperi. “Da noi – racconta – c'è un chilometro quadrato ogni 0,00045 abitanti. Praticamente siamo soli al mondo”.
Arrivata in Amazzonia 25 anni fa per seguire un progetto di ricerca sulla lontra gigante, vittima di bracconaggio per il commercio della pelliccia, Emanuela si è inoltrata nel cuore della foresta, in un viaggio che l'ha portata a conoscere i popoli che la abitano ma anche i pericoli che minacciano la loro sopravvivenza. “Ho scoperto che nella foresta non c'è solo biodiversità, ma anche diversità culturale. Volevo una visione più olistica. Vivere con loro mi ha fatto capire di cosa ho bisogno” racconta. Dopo anni di pendolarismo tra Italia e Brasile, ha scelto, quindi, di restare a Xixuaù.

E da lì, dalla sua palafitta di 40 metri quadrati, da dove al mattino si sveglia con il canto dell'uirapuru (un timido uccellino con la voce più bella dell'Amazzonia), ha voluto raccontare le Amazzonie che ha conosciuto. “Le Amazzonie, proprio così – dice Emanuela. - L'Amazzonia è immensa e molto eterogenea; esistono vari ecosistemi: c'è l'Amazzonia profonda con la foresta vergine, l'Amazzonia con la foresta frammentata, quella degli incendi, quella urbana. Tra i due estremi della foresta, considerando la lunghezza dell'intero Rio delle Amazzoni, ci sono 7mila chilometri”.
9 nazioni, 47 milioni di persone, più di 300 lingue, 2,2 milioni di indigeni, più di 400 gruppi etnici, di cui almeno 80 in isolamento volontario. L'Amazzonia è un mosaico di popoli, di lingue, di suoni, di colori e di strategie di sopravvivenza. “Uno spazio che sembra non avere confini. L'immensità è un concetto familiare per chi nasce in Amazzonia” racconta ancora Emanuela. E' talmente immensa che “le prime volte in cui mi capitava di parlare di deforestazione agli abitanti delle comunità remote, isolate per distanza e per accesso alle informazioni, commentavano 'Non possono distruggerla, lei è infinita'.
In questo mosaico composto di milioni di frammenti di umanità, Emanuela nel suo libro ne racconta la storia di alcuni. C'è Joao, il “mitico cantastorie del fiume, che compone, canta e racconta storie, sempre esagerandole, come la volta in cui ha domato un anaconda di 9 metri, o che è tornato dalla caccia con 4 latte di noci più un cinghiale sulle spalle”; lui ha fatto da trait d'union tra i due mondi, quello dei caboclos e quello dei Waimiri-Atroari. C'è il pescatore Carlos Alberto, il più antico abitante dello Xixuaú. Sfogliando le pagine del libro incontriamo Tarzan, il cercatore d'oro che ha fatto la fortuna in un garimpo (una miniera illegale) ma a cui l'oro non basta mai, Zuilla, una delle madri di Xixuaù, la più mattiniera del villaggio, Chico Libanha, curandero e conoscitore della medicina tradizionale, Carolina Cardoso che vive in quel che resta di Fordlandia, la città prefabbricata costruita nella foresta a cavallo degli anni Venti e Trenta da Henry Ford, esempio del fallimento americano che puntava sull'industria della gomma.
Attraverso i loro racconti, Emanuela ripercorre le storie dei rivieraschi che si battono per preservare le terre in cui vivono dalla deforestazione, ma anche di coloro che hanno cercato la fortuna con l'industria del legname, dei bracconieri che barattano le specie protette con la droga e di chi nelle favelas di Manaus affoga nell'alcol e nella violenza il sogno di una vita migliore.

E poi ci sono gli spiriti “che sono ovunque in Amazzonia – racconta Emanuela. - C'è Curupira, protettore degli alberi e degli animali, vendicativo, che punisce i cacciatori scorretti disorientandoli nella foresta, oppure il delfino rosa, che ti fa perdere il senno e ti ruba l'anima se non rispetti il creato”. Nelle scorse settimane, di questa creatura mitologica abbiamo visto le immagini in tv e sui giornali, vittime del cambiamento climatico, simbolo di morte sulle rive dei fiumi amazzonici prosciugati dalla siccità.
L'immensità può avere, infatti, una fine. Cambiamento climatico, aumento delle temperature, siccità, incendi, deforestazione, inquinamento...“l'Amazzonia ha i giorni contati, se non si cambia rotta – spiega. - Dagli anni 70 è stato disboscato un milione di metri quadrati di foresta, pari al 18% della copertura: si tratta di una superficie pari a quella di Francia e Italia). Il punto fondamentale è che la foresta genera le proprie piogge; se, tuttavia, non produce più la propria umidità arriverà al collasso e si trasformerà in un ecosistema da savana. Se non si porrà un freno al cambiamento climatico, gli esperti valutano che il punto di non ritorno, quindi di collasso, arrivi tra 15-20 anni”.
Ma Emanuela si dice ottimista: “Credo che l'essere umano sia intelligente e capisca che non può distruggere se stesso. C'è più consapevolezza dell'importanza della tutela dell'Amazzonia e dei popoli che la abitano. Oggi, con il governo Lula, il Brasile vive momenti di grandi speranze. E' cambiata anche la considerazione e la tutela dei popoli indigeni: è stato creato per la prima volta un ministero, attraverso cui battersi per ottenere quel riscatto che spetta loro dopo secoli di soprusi”. Metà delle persone in Amazzonia vive sotto la soglia di povertà, “ha problemi di sicurezza alimentare e non ha accesso ad acqua di qualità, non ha servizi igienici o strutture sanitarie adeguate. I popoli della foresta chiedono diritti, ma non a scapito dell'ambiente”.
Dare reddito e creare opportunità per le popolazioni per permettere loro di continuare a vivere nella foresta è lo scopo del progetto CoopXixuaù, messo a punto nella comunità dove vive Emanuela e che si basa sull'ecoturismo comunitario: in sostanza ogni anno il villaggio accoglie turisti e turiste (massimo 300 all'anno) che vogliano vivere alcuni giorni assieme alla popolazione rivierasca dei caboclos, scoprendo assieme a loro la foresta e il parco dello Juauaperi. “E' un modo per contribuire a tutelare questo ambiente e i popoli che vivono qui”, conclude Emanuela che ha seguito da vicino gli anni di lotta per creare il parco nazionale dello Jauaperi: oggi conta 14 comunità con circa 1500 persone e si estende su quasi 600 mila ettari di foresta sulle sponde di tre fiumi, il Rio Branco, il Rio Negro e il Rio Jauaperi.
Emanuela, dal canto suo, ha imparato – non senza difficoltà – a vivere nella foresta, dove non ci sono intermediari nel rapporto con la natura. “Non c'è quasi niente che io possa fare con leggerezza, non un bagno nel fiume, non una passeggiata. I pericoli sono ovunque e sempre mimetizzati” racconta nel suo libro. Ha conosciuto “il timore dei fulmini (ne cadono 30 milioni all'anno in Amazzonia), del vento, degli incendi, dei giaguari, delle vespe”.
Ma ha anche imparato che “non farcela da sola è la prima lezione che l'Amazzonia mi ha offerto”.
