Edificato dalla 'Cooperativa dei Ferrovieri' tra il 1920 e il 1922 il quartiere tra Lungadige Leopardi e Cristo Re è al centro di una 'gentrification'
Le casette sono pittoresche, alte due o tre piani, allineate una accanto all'altra e tutte dotate sul retro di un piano seminterrato affacciato su una piccolo giardino, che una volta era normalmente adibito ad orto. Nate per dare riparo ai lavoratori impegnati nelle Regie Ferrovie oggi si sta "spersonalizzando". Una residente storica, Angela, ci racconta perché

TRENTO. 'Gentrification' è un termine accademico coniato in Inghilterra all'inizio degli anni '60 e utilizzato in sociologia per descrivere un particolare processo spontaneo che porta la ricca classe media ad occupare una particolare zona della città prima abitata da classi a redditto basso.
Questo processo tende a produrre un aumento della domanda degli immobili posti in quella zona particolare e ne alza vertiginosamente i prezzi. Gli affitti diventano quindi insostenibili per la classe lavoratrice e chi possiede case nella zona approfitta per trarne il maggior profitto. Il tessuto sociale muta: si assiste a un consistente e veloce ricambio e alla sostituzione accelerata della popolazione, avviene la cosiddetta 'gentrificazione' appunto, che coincide anche con una riqualificazione degli immobili atti ora ad accogliere una classe sociale più ricca.
Trento sicuramente non è immune da questi processi. Uno dei quartieri dove negli ultimi anni si è realizzata con documentabile velocità una rapida gentrificazione è quello dei Ferrovieri. Destino alquanto particolare visto che questo quartiere fu edificato a spese della 'Cooperativa dei Ferrovieri' tra il 1920 e il 1922, lavoratori e impiegati delle Regie Ferrovie che subentrarono agli austroungarici nella gestione della tratta ferroviaria verso il Brennero a conclusione della Grande Guerra.
I Ferrovieri si unirono allora in cooperativa vista la necessità di avere alloggi decorosi a prezzo accessibile e dopo la concessione del terreno da parte del Comune di Trento, in due soli anni costruirono questo quartiere, esempio di edilizia popolare decisamente pregevole e ancora oggi attuale.
Il quartiere che si trova tra il lungadige Leopardi e Cristo Re è attraversato da due vie private, via dei Ferrovieri, appunto, e via De Amicis. Le casette sono pittoresche, alte due o tre piani, allineate una accanto all'altra e tutte dotate sul retro di un piano seminterrato affacciato su una piccolo giardino, che una volta era normalmente adibito ad orto, posto circa un metro e mezzo sotto il piano stradale.
Via De Amicis, quella più interna, è ancora sterrata e frequentata da qualche laborioso gatto semi-randagio che la tiene pulita dai ratti e dai conigli provenienti dal fiume. Passeggiandovi si ha la sensazione di stare in un borgo nella campagna meridionale della Francia. A differenza della via dei Ferrovieri ormai asfaltata e le cui abitazioni sono state quasi tutte acquistate e ristrutturate meticolosamente per accogliere i nuovi abitanti, proprio qui, a due passi di distanza, si può ancora tentare di immaginare un passato prossimo ormai scomparso.

Passeggiando lungo questa via incontriamo Angela, abitante storica del quartiere e ben disposta a raccontarci un po' di storia. Il nonno di Angela era stato ferroviere e aveva partecipato con la cooperativa alla costruzione di queste abitazioni. Angela ricorda “che durante l'ampia ricostruzione - dice - avvenuta nel dopoguerra in seguito ai bombardamenti che causarono ingenti danni a molte case, si scoprì che le putrelle a sostegno dei piani erano dei solidissimi binari dei treni e per questo molte case avevano ben resistito alle esplosioni”.
La signora Angela continua il suo racconto mentre cura i fiori del giardinetto: “Una volta - ricorda - il soprannome del quartiere era Katzenau. Questo vi può dire già molto se non tutto: Katzenau era infatti una località vicino a Linz dove durante la Prima guerra mondiale si trovava un campo di internamento nel quale vennero rinchiusi migliaia di italiani, soprattutto trentini, sospettati di essere irredentisti”.
Le condizioni di vita nel campo erano infatti precarie, le abitazioni sovrappopolate, ma quel luogo di stenti era pervaso comunque da una grande confusa vitalità, da una sorta partecipazione trasversale alle difficoltà comuni vista la presenza anche di anziani, donne e bambini. E questo era il clima che si è respirato per decenni nel quartiere prima che l'esplosione urbana della città ne spazzasse via l'anima. Angela infatti ricorda come: “Qui una volta - spiega - le case erano popolate da dodici, quindici persone, la vita sociale fino qualche decennio fa si faceva nelle strade, nei mesi più caldi dalle otto di mattina fino alle dieci sera donne, bambini, anziani, tutti stavano sulla strada. Sulla strada si giocava, si curavano a vicenda i bambini, si lavorava, si stendeva, e non mancava mai l'occasione nelle serate estive di festeggiare un santo o un compleanno per poter bere e cantare assieme.”
Oggi le uniche discussioni che si hanno tra vicini dice Angela “sono quelle sui parcheggi - ammette - e il quartiere è piano piano diventato un luogo popolato da estranei, un po' come un qualunque condominio della città, nulla di strano dopo tutto”. Normalità si potrebbe dire, dimenticando però la socialità che aveva una volta garantito al quartiere una dimensione particolare. La normalità appare dunque una parola che molto deve all'oblio per poter essere effettiva.
Infine Angela riassumendo con precisione il presente descrive come “purtroppo ci si ritrova tra vicini quasi solo per le riunioni condominiali, non sono situazioni mai troppo simpatiche le riunioni condominiali e i bambini ormai non possono più giocare a palla per strada per paura che danneggino le i automobili”. Passeggiando infine si nota come gli orti una volta necessari e che occupavano quasi tutti i giardinetti dietro le abitazioni sono sempre meno, alcuni appaiono abbandonati o trasformati in piccoli quadretti kitsch, spesso progettati in modo da non necessitare alcuna cura impegnativa.
Alcune grandi piante di magnolia resistono ai cambiamenti e fioriscono dando un tono all'intero caseggiato. Negli orti abbandonati i tulipani hanno trovato un terreno dove prosperare e sbocciano numerosissimi. Il traffico è inesistente, basterebbe poco perché oltre ad essere un rifugio ideale alla vita cittadina il quartiere torni ad essere un esempio pratico per definire una dimensione più umana alle possibilità di sviluppo urbano, una possibilità che grazie alla sua architettura particolare rimane è attualissima. Non è un caso infatti che molti nuovi discutibili progetti residenziali, condomini anonimi costosi e ripetitivi, non trovino acquirenti provocando la disperazione stupita dei costruttori, mentre queste abitazioni centenarie abbiano avuto una enorme rivalutazione proprio in anni di crisi profonda del mercato immobiliare: la buona architettura non è un opinione, ma un fatto e facilmente definibile. Gli acquirenti acquistano più volentieri ciò che riconoscono come migliore, nuovo o vecchio che sia, e le cose che non hanno valore particolare giustamente restano invendute: questo non dovrebbe stupire, ma far riflettere.
Per chi vuole avere un esempio di come alcuni progetti per nuovi caseggiati, popolari o meno, sono oggi stati sviluppati tra Olanda e Cile può seguire questi link, per poi trovare le analogie con il nostro 'quartiere dei Ferrovieri' e riflettere sui i motivi della loro rivalutazione immobiliare e sugli insuccessi di altri spazi.
https://www.mvrdv.nl/en/projects/leyden
https://www.tetrarc.fr/projet-all-21-0
https://www.mvrdv.nl/en/projects/hagen