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Pnrr, rischio flop per le Case di Comunità. I Medici: "Senza personale diventeranno scatole vuote'', Demagri: ''Da Pat e Apss nessun documento sull'organizzazione''

L'obiettivo con i finanziamenti che arriveranno dal Pnrr è quello di rendere concreta l'assistenza di prossimità ma sulle future Case di Comunità sono molti i dubbi. In Trentino dovrebbero essere 10 strutture dislocate sul territorio ma manca personale. Il presidente dell'Ordine dei Medici: "Corriamo il rischio che manchino di organizzazione e di un serio programma strategico"

Pubblicato il - 09 ottobre 2022 - 06:01

TRENTO. Manca l'organizzazione, un visione d'insieme, una scelta sulla dislocazione ragionata per evitare doppioni e soprattutto manca personale. Le Case di Comunità annunciate anche in Trentino negli scorsi mesi, rischiano di trasformarsi in scatole vuote ma non solo. Rischiamo di perdere l'occasione di un importante sviluppo di una parte del sistema sanitario sul territorio che arriverebbe grazie i finanziamenti del Pnrr per la Sanità trentina. Stiamo parlando in totale di oltre 68 milioni di euro, di cui più di 64 milioni dal Pnrr e il resto dal bilancio della Pat. 

 

A livello provinciale è stato stabilito quante Case di Comunità fare e le loro dislocazione. In Trentino, come riportato sul sito della Provincia, sono 10 le strutture di questo genere che verranno attivate. Nel febbraio di quest'anno la stessa Giunta provinciale aveva fatto sapere di aver firmato i primi protocolli di intesa per l'attivazione delle strutture a Predazzo e Cles.

 
La Casa della comunità di Predazzo, era stato specificato, verrà realizzata su terreni di proprietà del Comune che cede il terreno a titolo gratuito all'Azienda provinciale per i servizi sanitari e, di contro, la Provincia restituirà al Comune il Poliambulatorio in Corso Degasperi, al termine del trasferimento delle attuali funzioni che saranno spostate nella costruenda Casa della Comunità.  A Cles, invece, la Casa della comunità troverà collocazione all'interno dell'ex caserma dei vigili del fuoco, edificio di proprietà comunale che verrà ristrutturato. Anche in questo caso il comune cederà in comodato gratuito all'Azienda sanitaria l'edificio.

Nessuno degli addetti ai lavori, però, fino ad oggi sembra avere in testa come queste nuove “Case di Comunità” dovranno funzionare. La strada che è stata scelta sembra essere  quella del riutilizzo di strutture già esistenti che però rischiano di trasformarsi in “scatole vuote riempite dagli stessi contenuti che già c'erano in quello stesso territorio”. Doppioni insomma dove il personale sanitario impegnato rimane un'incognita.

 
Negli scorsi mesi, quando da parte della Provincia era stata presentata la novità, dagli ordini professionali erano arrivate non poche preoccupazioni che, però, sembrano essere ad oggi cadute nel vuoto: “Qui non arrivano mai risposte” dice a il Dolomiti, il presidente Marco Ioppi dell'Ordine dei Medici. 

 

LE CASE DI COMUNITA'
La Case di Comunità rappresentano un modello organizzativo che ha l'obiettivo di rendere concreta l'assistenza di prossimità per la quale ormai si parla da diverso tempo, soprattutto dopo il Covid. Un'assistenza, quindi, per una determinata comunità di riferimento.

 

Le Case, per la cui realizzazione arriveranno i finanziamenti del Pnrr, necessitano di alcune caratteristiche: devono essere raggiungibili, sono pubbliche e devono essere in un luogo fisico facilmente individuabile dalla popolazione. Questo accanto al fatto che al loro interno dovrebbero contenere quei servizi utili per una presa in carico globale socio – sanitaria.

 

All'interno dovrebbero trovare spazio una moltitudine di servizi che vanno dal Punto unico di accesso, lo Spazio argento, il punto prelievi, gli ambulatori di screening per le cronicità fino alla telemedicina. Ma dovrebbe essere consentita anche la partecipazione della comunità attraverso le associazioni che si occupano  di prevenzione e di determinate patologie. Per quanto riguarda il personale il paziente dovrebbe trovare infermieri di famiglia con la possibilità di gestire in maniera integrata le patologie. Medici di base, assistenti sociali, psicologi e tante altre professionalità per garantire competenze multidisciplinari. 

Insomma una pianificazione non di poco conto e per la quale è fondamentale il coinvolgimento dei cosiddetti addetti ai lavori, dagli ordini professionali alle associazioni che si occupano di assistenza sanitaria. Fino ad ora, però, si è parlato tanto delle strutture murarie ma poco di personale. 

 

IL RISCHIO DI AVERE CONTENITORI SENZA CONTENUTI

“Sono state stabilite delle opere murare ma le risorse per il personale rimangono insufficienti in una situazione già molto critica” dice a il Dolomiti il presidente dell'Ordine dei Medici, Marco Ioppi. Ordine che già negli scorsi mesi aveva sollevato diverse criticità presentate in un documento alla Provincia.  

 

“Abbiamo messo nero su bianco che con queste Case di Comunità – spiega - corriamo il rischio che manchino di organizzazione e di un serio programma strategico. Non possiamo avere contenitori senza contenuto. Da tempo continuiamo a sottolineare come le risorse messe in campo per l'assunzione e la formazione del personale siano insufficienti”. 

 

Quello che dovrebbe essere un luogo fisico di prossimità, per patologie non acute e dove trovare durante tutta la giornata personale medico rimarrebbe, quindi, solo sulla carta. “Ai nostri rilievi non è arrivata alcuna risposta” conclude Ioppi.

 

Risposte che anche i professionisti sul territorio stanno attendendo. I medici di base sono già impegnati a seguire i propri ambulatori, negli ospedali e nei distretti il personale manca. Nessuno al momento ha ben chiaro quali siano i contenuti che andranno in queste nuove Case di Comunità e quindi, è difficile anche stabilirne il personale necessario.  

 

Ci deve essere una pianificazione perché sono davvero un'occasione importante per il nostro territorio ma ad oggi non la stiamo vedendo” spiega la consigliera provinciale del Patt, Paola Demagri che da sempre segue i temi legati alla Sanità in provincia e da mesi sta cercando di capire come evolverà questo progetto delle Case di Comunità. 

 

“L'idea di costruire delle Case di Comunità – ci spiega – è quella di evitare che il cittadino debba spostarsi in più luoghi per completare il proprio percorso di cura. Il Trentino ha sul proprio territorio già una serie di servizi. Ma un ragionamento su questi aspetti anche nelle dislocazioni l'Azienda Sanitaria l'ha fatto? Non abbiamo uno straccio di documento che indichi cosa queste strutture andranno a contenere”. 

 

Il rischio, come già detto, è che si creino dei doppioni con dei travasi di personale. “Perché decidere di attivare una Casa di Comunità in luoghi dove sono già presenti ospedali o poliambulatori?” si chiede la consigliera Demagri. “Non serve ai cittadini e si creano doppioni”. Occorre poi considerare che ci devono essere delle differenziazioni da un territorio e l'altro e nell'attivazione delle nuove strutture questo è un elemento da non trascurare

 

E sul personale? Con la sempre maggiore fuga di risorse che si sta registrando diventa difficile capire come riuscire a trovare professionisti per le nuove strutture.  “Rischiamo di dare ancora risposte frammentate – spiega Paola Demagri – e così perdiamo una grandissima opportunità che ci viene fornita dal Pnrr come indicazione, come idea e anche come parte economica. Purtroppo rischiamo anche di non riuscire ad ottenere una medicina di iniziativa con un ruolo proattivo capace quindi di coinvolgere la comunità nella cura della propria salute. Le Case della Comunità dovranno diventare modelli organizzativi  dove unire le attuali prestazioni per restituire percorsi per l'utente”. 

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