No al consumo al banco, si ribellano i bar: "Interpretazione giuridicamente incomprensibile e immotivata sotto il profilo sanitario"
Col decreto "Riaperture" si può tornare a consumare caffè e aperitivi al tavolo, ma solo all'aperto. Il consumo al banco rimane vietato, una misura innecessaria secondo i gestori. Fabia Roman: "È un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco"

TRENTO. Col decreto “Riaperture” le attività economiche tornano ad avere un po’ di respiro. Tra queste spiccano i bar, a cui è stato permesso di riprendere il servizio ai tavoli purché all’esterno. Resta però vietata la consumazione al banco, almeno fino al primo luglio, una restrizione spiazzante per i gestori, che la definiscono “incomprensibile e immotivata sotto il profilo sanitario”.
La comunicazione del divieto di consumazione al banco è arrivata il 24 aprile, tramite una circolare in cui si fornivano interpretazioni del decreto. Confcommercio Trentino si dichiara contraria a questa interpretazione, affermando che si tratta di un’incoerenza rispetto alle direttive precedenti. “In zona gialla – scrivono – i bar hanno sempre avuto la possibilità di effettuare la somministrazione al banco anche in virtù del fatto che si tratta di un consumo veloce, che non implica una lunga permanenza all’interno degli esercizi”.
Inoltre, stando alla circolare del Ministero, mentre il servizio al banco sarà possibile al più presto il primo luglio, dai primi di giugno si potrà consumare al chiuso, ma al tavolo. “Un paradosso giuridico e sanitario”, secondo Confcommercio.
“È un attacco al modello di offerta del bar italiano - dichiara Fabia Roman, presidente dell’Associazione pubblici esercizi del Trentino - che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco. Un provvedimento punitivo ingiustificato anche sotto il profilo scientifico sui rischi sanitari che si corrono. Anzi la scienza continua a sostenere che il rischio di contagio cresce con l’aumento del tempo di contatto”.
L’Associazione, d’accordo col Presidente di Fipe-Confcommercio, chiede un rapido intervento del Mise, in quanto “il tema della salute pubblica al momento non può essere separato da quello della tenuta di un intero settore produttivo”. Secondo gli ultimi dati di Fipe infatti i bar avrebbero già perso 8 miliardi e 90 mila posti di lavoro.