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Le imprese italiane fra nuove competenze e invecchiamento demografico. L'esperto della Luiss: “La risposta si trovi nel sostegno al ricambio generazionale”

“Le nuove forze non sostengono solo il presente ma anche il futuro della produttività” sono le parole del professor Mario Benedetto. Oggi il tema del ricambio generazionale all'interno delle aziende è di fondamentale importanza e va di pari passo con il tema della richiesta di manodopera sentita in Trentino e in tutta Italia 

Di Giuseppe Fin - 31 maggio 2023 - 18:05

TRENTO. Serve favorire l'arrivo dei giovani nelle imprese italiane ma serve prima di tutto sostenerne l'entrata nelle Università per fare in modo che possano apprendere quelle competenze che sono fondamentali per il futuro del lavoro in Italia.

 

“Le nuove forze non sostengono solo il presente ma anche il futuro della produttività” sono le parole del professor Mario Benedetto che insegna Teorie e tecniche della comunicazione integrata e dell’audiovisivo alla Luiss Guido Carli ed è Adjunct Professor della Luiss Business School. Fra i suoi ruoli anche quello di membro di The Aspen Institute.

 

Il professor Benedetto al Festival dell'Economia è stato relatore nel panel “La staffetta. Il ricambio generazionale nelle imprese italiane” assieme a Riccardo Di Stefano, presidente dei Giovani di Confindustria e Marcello Lunelli, vice presidente Cantine Ferrari.

 

Nel periodo dopo la pandemia per le imprese italiane è scoppiato un grosso problema: non riescono a trovare lavoratori qualificati. Nella stessa situazione si trovano anche bar, ristoranti e negozi. Cosa sta accadendo? Per quale motivo? Quali sono secondo lei le azioni da mettere in campo nell'immediato per evitare che si allarghi la forbice del mismatch, il disequilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro?

Il fenomeno del mismatch fa parte della rapida trasformazione dei processi in corso, che richiede necessariamente nuove competenze, a partire da quelle tecnologiche. Rispetto a questo quadro, la formazione deve tenere il passo e alcune realtà d’eccellenza ci dimostrano già come fare. Spesso è il mix tra fattori economici e “geografici” a determinare, o meno per l’appunto, l’incontro tra domanda e offerta. Il passaggio generazionale può esserne effetto, ma anche causa se attuato e favorito in azienda dagli assetti proprietari ai vertici. L’ascolto dell’impresa, preso come punto di partenza, può farsi ottimo punto di arrivo per politiche del lavoro che premino le nuove generazioni.

 

Nei giorni scorsi la Cisl Belluno Treviso ha analizzato i flussi demografici sull'Alto Veneto. Il quadro è chiarissimo: in 40 anni gli over 65 sono raddoppiati mentre negli ultimi 10 anni i lavoratori tra i 25 e i 44 anni sono calati dell'11%. Nei prossimi anni in Italia mancheranno tantissimi lavoratori? Come pensa si possa affrontare un'emergenza del genere?

Anche qui, la risposta è il ricambio generazionale. Si stimano 2 milioni di posti di lavoro a rischio entro il 2030. Le nuove forze sono quelle che possono sostenere non solo il presente, ma anche il futuro della produttività. Dunque, turnover, sgravi fiscali per le assunzioni dei giovani (under 30) e abbattimento del cuneo e della pressione fiscale. E, non secondariamente, fare cultura, sensibilizzare e informare su questi temi.

 

Il progressivo invecchiamento demografico del nostro Paese è un problema. Quanto è importante il ricambio generazionale nelle aziende e cosa accadrà?

Fondamentale. Deve essere sostenuto, intanto, l’ingresso dei nostri ragazzi nelle Università e poi, come detto sopra, nel mondo del lavoro. Nel libro “La staffetta. Il ricambio generazionale nelle imprese italiane”, edito da Luiss University Press, spiego, concretamente, come favorire l’ingresso dei giovani nei cda e nel management delle imprese abbia impatti misurabili su fatturati, investimenti in innovazione ed “economia verde”. Solo un dato della nostra ricerca: oltre il 51% delle imprese che puntano su queste linee strategiche è guidato da giovani under 40.

 

La cultura gioca un ruolo fondamentale. Sia per quanto riguarda valori e principi, sia in termini di organizzazione. Si parla di modalità ibrida nel lavoro. È questo il futuro?

Necessariamente. Se c’è un insegnamento determinante permesso dalla crisi pandemica è quello della dematerializzazione dei processi, senza alterare, anzi a tratti potenziando, la qualità del prodotto. L’esperienza umana e relazionale nel lavoro resta centrale, ma la misurabilità dei risultati dimostra come spesso conti più “cosa” si fa e non tanto “da dove”.

 

Se lei dovesse rivolgersi a dei giovani che a breve entreranno nel mondo del lavoro cosa consiglierebbe? Quali sono, secondo lei, i settori che maggiormente prevedono nei prossimi anni un'espansione nel nostro Paese?

Ce lo dice chiaramente Confindustria. In particolare, il gruppo dei Giovani imprenditori ha recentemente elaborato un quadro delle imprese che, con il loro lavoro, contribuiscono a quel + 0.5% del Pil che, in queste ore vede, l’Italia in cima alle performance europee. I settori ad alto impatto tecnologico hanno sempre più bisogno di nuove competenze, motivo per cui hanno un ruolo importante le cosiddette materie “Stem”. Ma non dimentichiamo il nostro patrimonio culturale e il suo grande valore economico: il nostro Paese non potrà mai fare a meno dei comparti dell’arte e dei beni culturali, anzi dovrà valorizzarli nel tempo. Senza contare industrie trainanti come agroalimentare e turismo: circa 40.000 dei nuovi 100.000 occupati degli ultimi due mesi, a titolo indicativo, viene dal comparto delle attività turistiche.

 

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