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La maledizione del carbone, OltrEconomia Festival tra le multinazionali italiane e la Colombia

All’OltrEconomia festival di Trento si parla di economia maledetta, quella che in Italia e in Colombia basa i suoi profitti sull’estrazione del carbone. Da Brindisi a Civitavecchia, fino alla miniera a cielo aperto più grande del mondo, il Cerrejon de La Gaujira, i legami ci portano fino all’italiana Enel

Di A cura di OltrEconomia Festival - 31 maggio 2019 - 13:45

TRENTO. "L’attuale fase del capitalismo si mostra in tutta la sua forza in territori, che pur diversi e geograficamente lontani hanno caratteristiche comuni, che sono la conflittualità, la marginalizzazione delle comunità colpite, le modalità repressive che gli Stati mettono in campo”. Lo dice Giulia Franchi, dell’associazione ReCommon, ospite ieri all’OltrEconomia Festival nella conferenza dedicata a “La maledizione del carbone”, insieme ad una rappresentante della comunità indigena Wayuu della Colombia, Angelica Ortiz. Presente al festival con la sua toccante testimonianza sulle conseguenze deleterie vissute dal suo popolo a cause della presenza di imponenti miniere di carbone nel loro territorio ancestrale, ha intrecciato la sua narrazione con il racconto del lavoro che ReCommon ha portato avanti negli ultimi anni di raccolta dati e denuncia delle principali multinazionali energetiche italiane: Enel ed Eni.

 

All’OltrEconomia festival di Trento si parla di economia maledetta, quella che in Italia e in Colombia basa i suoi profitti sull’estrazione del carbone. Da Brindisi a Civitavecchia, fino alla miniera a cielo aperto più grande del mondo, il Cerrejon de La Gaujira, i legami ci portano fino all’italiana Enel.

 

Le nostre responsabilità verso il modello energetico che scegliamo passano dalle testimonianze delle popolazioni che subiscono il nostro sistema. Ieri, giovedì 30 maggio, l’associazione ReCommon e Yaku hanno proposto la testimonianza della donna indigena dell’etnia Wayuu, dalla Colombia per raccontare resistenza e estrattivismo tra Italia e America latina: "E di aziende che con il green washing si rifanno il profilo diventando improvvisamente ecologiche".

 

Questo pomeriggio all’OltrEconomia festival alle 18 il protagonismo sarà in mano alle donne, ma anche alle lotte per l’acqua e per un’economia compatibile con la vita (Qui info e programma completo).

 

"Con la parola estrattivismo si è portati a pensare all’estrazione dal sottosuolo, ma questa è solo una parte: estrattivismo è anche un congiunto di estrazioni di ricchezze sociali e culturali che vedono le comunità colpite lasciate sole di fronte a governi che attuano sostanzialmente la privatizzazione della legge". Un esempio chiaro è la Colombia, che vede territori interi in mano a forme di criminalità organizzata o paramilitarismo, dove lo Stato piega la propria legislazione a favore delle imprese, danneggiando gravemente le persone.

 

Angelica Ortiz fa parte dell’associazione di donne di etnia wayuu Fuerza de Mujeres Wauu. Racconta come la vita della sua gente sia cambiata radicalmente da quando alla fine degli anni Ottanta nei loro territori si stabilisce la Drummond Company Inc., una multinazionale di carbone.

 

In parallelo con gli introiti della società si acuisce la violenza paramilitare a discapito della popolazione: "Siamo comunità wayuu, ma anche afrodiscendenti e contadine, che nella regione de La Guajira soffriamo quotidianamente le conseguenze dell’attività estrattiva del carbone. Ha cominciato a dilagare la povertà, molte comunità sono state sfollate e la gente è stata costretta a radunarsi nelle zone periferiche delle città. Questo per noi donne wayuu ha significato una forma di perdita di identità e di dignità, stigmatizzate perché donne, povere, indigene e sfollate, lontane dai propri usi e costumi, perdendo la lingua madre mano a mano che passavano le generazioni".

 

Angelica con altre donne si è però organizzata per difendere i propri diritti: "Abbiamo fondato la nostra associazione Fuerza de Mujeres Wayuu, e da anni facciamo formazione e informazione. Per questo siamo state anche minacciate più volte".

 

Le foto delle zone del territorio devastato dalla miniera del carbone più grande del mondo - consuma 17 milioni di metri cubi d’acqua al giorno, mentre i wayuu non hanno acqua per sopravvivere - scorrono sul megaschermo mentre Angelica parla, e mostrano immagini impattanti di camion immensi ed enormi crateri vicini alle povere abitazioni delle comunità. "I percorsi di formazione che con la nostra associazione proponiamo sono stati seguiti già da 2.500 donne. Puntiamo anche a recuperare gli spazi politica sia dentro che fuori le nostre comunità: alle prossime elezioni vogliamo puntare al consiglio comunale, e magari a proporci come sindache".

 

Ma i problemi sono gravi e rimane una forte impunità: "L’aria è molto contaminata e ben 14 corsi d’acqua sono stati deviati e poi prosciugati dallo sfruttamento della miniera. La Guajira è una zona semi-desertica, per cui l’emergenza idrica è molto forte. Inoltre la presenza di unità paramilitari è massiccia, tanto che le stessa Fuerza de Mujeres Wayúu è stata oggetto di pesanti minacce".

 

Ci sono poi i capitoli dolenti delle compensazioni e del cosiddetto green washing: "Le multinazionali vendono come progetti risolutivi ad esempio la protezione di porzioni di boschi contaminati, di fatto levano ettari di foreste dalle mani delle comunità originarie, che non sanno più come provvedere alla propria sussistenza”, racconta Filippo Taglieri di ReCommon, che aggiunge: "Eclatante il caso dell'’italiana Eni, che dopo aver distrutto il delta del Niger con danni ambientali e sociali gravissimi, ha ottenuto il premio come azienda internazionale più ecologica grazie a non meglio identificate riforestazione in altre parti del mondo. Un dato che deve far riflettere quando parliamo di inserire il profit nella cooperazione internazionale per fare progetti di solidarietà nel mondo, visto che le aziende sono proprio sceme in base alle caratteristiche di adeguatezza, così come è stato per l’Eni".

 

In Italia le cose non sembrano andare meglio: “I comitati No Carbone Brindisi hanno appreso che Enel non brucerà più carbone ma si dedicherà al gas liquido - continua Taglieri - dopo percorsi lunghi anni per difendere i propri diritti e la propria salute, si vedono davanti l’ennesimo gasdotto in una regione come la Puglia, che con il gas sta subendo enormi devastazioni (per questo, la lotta dei Comitati No Tap". "Noi comunque non ci arrendiamo - chiosa la Ortiz - la nostra lotta va vanti, anche grazie all’appoggio delle associazioni internazionali che da molte parti del mondo ci stanno appoggiando per che noi possiamo denunciare la violazione costante dei nostri diritti ed avere finalmente la dignità di tornare a vivere nelle nostre terre".

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