Il Trentino fra le tre Regioni con l’Rt peggiore. Fbk: “Ipotesi che virus circolasse ben prima del 20 febbraio”
L’epidemiologo di Fbk: “È probabile che ci fossero dei focolai sostenuti da tantissima trasmissione asintomatica ben prima del 20 febbraio e questo lo si capisce anche guardando la distribuzione geografica delle aree più colpite come la Valle d’Aosta, la Lombardia e il Trentino, tutte zone di turismo invernale”

TRENTO. Il quadro complessivo per quanto riguarda l’andamento dell’emergenza sanitaria durante la Fase 2 è sicuramente positivo: in quasi tutte le regioni l’indice che mostra la potenziale trasmissibilità del coronavirus, il valore Rt (che tiene conto anche delle misure restrittive adottate) rimane inferiore a 1. Eccetto che in Valle d’Aosta, dove si attesta all’1,06 nelle altre regioni il parametro Rt rimane sotto controllo, questo quanto emerge dal Report redatto dall’Istituto superiore di sanità, realizzato anche in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler.
Se il parametro R0 esprime la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva, l’Rt rappresenta un valore che tiene conto del tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure restrittive emanate per contenere il diffondersi dell’epidemia. Sostanzialmente quando se questo dato è inferiore a 1 significa che una persona contagiata non riesce a trasmettere il virus a un’altra. “L’indice di contagio Rt oscilla molto – ha osservato il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro – ma bisogna tener presente che non si tratta di una pagella ma uno strumento dinamico che, incrociato con altri dati, ci aiuta a capire cosa succede”. Rammentando che i dati del Report sono aggiornati al 19 maggio ma che quelli successivi alla data del 3 maggio sono parziali, nella classifica dell’indice Rt stimato il Trentino è al terzo posto fra le regioni italiane con un valore di 0,77 preceduto, oltre che dalla Valle d’Aosta (1,06), anche dall’Abruzzo con 0,86. Veneto e Lombardia mostrano rispettivamente un parametro Rt stimato di 0,56 e 0,51.
Il Trentino rimane al primo posto per quanto riguarda l’incidenza settimanale ogni 100mila abitanti, seppur con un valore quasi dimezzato rispetto alla scorsa settimana rimane in zona “alta” con 24,95, superiore anche alla Lombardia che si attesta a 23,75. Al terzo posto di questa classifica che nessuno vorrebbe vincere c’è il Piemonte con 19,69. Il Veneto è sceso a un valore di 3,85. “La curva è in calo in tutte le Regioni – ha detto Brusaferro – con i casi di coronavirus che sono in decremento, ma il virus continua a circolare e bisogna mantenere l’attenzione alta”. Tanto che nelle prossime settimane potremmo assistere a un ritorno dei contagi.

“L’incidenza è un indicatore che dipende dal punto di partenza dell’epidemia – ha affermato Stefano Merler epidemiologo Fbk – anche se l’epidemia sta calando dappertutto alcuni territori continuano ad avere incidenza più alta. In secondo luogo – ha proseguito – l’incidenza dipende anche dalla capacità di individuare i casi facendo tamponi e identificando i contagi”. Anche se va ricordato come Veneto e Lombardia (fra le zone più colpite) siano molto attive nella ricerca dei positivi e, nonostante questo, abbiano comunque valori d’incidenza ogni 100mila abitanti più bassi rispetto al Trentino".
Per indagare i fattori che hanno portato la provincia di Trento ad avere valori così alti, secondo Merler, bisognerebbe tornare indietro almeno di 4 o 5 mesi: “Il coronavirus circolava in Lombardia e altre ragioni ben prima del 20 febbraio, alcune evidenze parlano sia per il Veneto che per la regione lombarda di gennaio, ma personalmente non scarterei l’ipotesi che possa essere avvenuta qualche introduzione ancora prima del 2020 anche se non ho dati a supporto. È molto probabile – ha aggiunto – che ci fossero dei focolai sostenuti da tantissima trasmissione asintomatica ben prima del 20 febbraio e questo lo si capisce anche guardando la distribuzione geografica delle aree più colpite come la Valle d’Aosta, la Lombardia e il Trentino, tutte zone di turismo invernale”.
Coincidenza questa non casuale ma per l’epidemiologo difficile da rilevare, tuttavia i dati dimostrano che il “boom” dei contagi trentini è avvenuto nella seconda metà di marzo quando i vertici della Provincia avrebbero dovuto, e probabilmente potuto, comprendere i rischi connessi all’arrivo di centinaia di veneti e lombardi sulle piste da sci. Circostanza confermata settimane addietro dallo stesso direttore generale di Apss Paolo Bordon quando, riferendosi alla tardiva chiusura degli impianti, sottolineò: “In particolar modo il turismo di gente che proviene da zone a noi vicine come quelle lombarde di cui molti hanno seconde case e frequentano abitualmente gli splendidi luoghi di vacanza delle località turistiche trentine, sono diventate la ‘minaccia’ perché in quella fase di grande frequentazioni delle piste e delle località sciistiche trentine si è manifestato un contagio diffuso in particolar modo partendo dagli operatori turistici, maestri di sci, personale degli impianti di risalita e lavoratori della ristorazione, questo è stato sicuramente un problema che ha avuto delle ricadute importanti”.
Ad ogni modo, questi valori sono importanti perché serviranno al Governo per valutare l’impatto dei contagi dopo la fine del lockdown, sarà su questi dati infatti che si deciderà se concedere o meno il via libera per gli spostamenti interregionali. L’ultima valutazione prima della decisione sull’eventuale apertura dei confini regionali arriverà con l’aggiornamento del report settimanale del 29 maggio: solo se i dati saranno in linea con le aspettative del ministero della salute il 3 giugno si potrà tornare a viaggiare fra le varie regioni, almeno tra quelle che rientrano nei parametri.