Il ministro Fraccaro contro la riforma bancaria: ''Da abolire''. Ma sembra tardi per tornare indietro
Il gruppo con la testa a Trento dovrebbe partire all'inizio del prossimo anno, ma i gruppi nazionali uniti intorno ai tre assi, Cassa centrale banca, Iccrea e Raffeisen, finiscono nel mirino del Movimento 5 stelle. Non è un fulmine a ciel sereno, criticità sollevate da Di Maio e Fraccaro anche nell'incontro pre-elettorale in Federazione

TRENTO. La riforma del credito cooperativo è da abolire oppure riscrivere a fondo, questa l'ipotesi lanciata da Riccardo Fraccaro, neo-ministro per i rapporti con il parlamento e la democrazia diretta.
Nel mirino i gruppi nazionali uniti intorno ai tre assi, cioè Cassa centrale banca, Iccrea e Raffeisen. L'obiettivo della Ccb è entrare in funzione all'inizio del prossimo anno.
Il traguardo è in dirittura d'arrivo, ma prima il gruppo con la testa a Trento deve finire gli ultimi "compiti a casa" in accordo con Bce e Bankitalia tra vigilanza e piano di riduzione dei crediti deteriorati non performing loans (si prevede un taglio di 6,5 miliardi in tre anni per arrivare a un rapporto di crediti malati inferiore al 10%), redditività, governance, piano industriale e riacquisto delle quote del gruppo nella stessa Iccrea per un valore di 250 milioni.
La data del via ufficiale dovrebbe essere quella dell'1 gennaio prossimo e la Ccb si dovrebbe collocare tra i primi dieci d'Italia con 98 banche (90 dopo le fusioni), 77 miliardi di euro di attivo, 7 miliardi di patrimonio, circa 1.600 sportelli e circa 11 mila dipendenti.
Il condizionale a questo punto è d'obbligo dopo il documento presentato da Fraccaro e dal consigliere provinciale del Movimento 5 stelle di Bolzano, Paul Köllensperger.
"Il decreto - affermano i pentastellati - ha costretto le banche di credito cooperativo a trasformarsi in spa o sottomettersi a una capogruppo - sempre società per azioni - che esercita invasivi poteri di controllo su tutte le aderenti. È una riforma che impatterebbe significativamente sulle numerose piccole banche del nostro Paese e di conseguenza sui loro tipici clienti, le famiglie e le piccole e medie imprese".
Non sono gli unici punti finiti sotto la lente d'ingrandimento del Movimento 5 stelle. "L'accesso al credito per le pmi e le famiglie - proseguono - diverrebbe verosimilmente più difficile. La concentrazione e la conseguente chiusura di molte filiali farà perdere posti di lavoro. Il controllo sul credito cooperativo passa da Bankitalia alla Bce".
Non è un fulmine a ciel sereno. Questi dubbi sarebbero stati sollevati da Luigi Di Maio e Riccardo Fraccaro anche nel corso dell'incontro pre-elettorale in marzo alla sede della Federazione. Perplessità che però sembravano rientrate: la linea è stata tracciata ormai tre anni, tante risorse e fatiche già spese per mettere insieme il maxi-gruppo.
Insomma, i leader politici sarebbero stati rassicurati sulla bontà dell'operazione, già in fase evidentemente troppo avanzata per tornare indietro. Semmai perfettibile nella forma, come l'idea di abbandonare la visione Credit-Agricole per una formula ibrida, qualcosa di più adattabile e funzionale al sistema italiano, ma sicuramente è stato negato l'intenzione di intervenire nello spirito della riforma.
Un piano ritenuto dagli istituti di credito comunque innovativo, le banche perdono un po' di sovranità, ma trovano benefici, costi inferiori dei servizi e garanzie incrociate importanti. A questo si aggiunge una maggior razionalizzazione e forza del comparto.
Vero che in questo contesto qualche posto di lavoro viene a mancare, ma per ora nessuno è rimasto a casa oppure è stato licenziato. Il mondo bancario in questo periodo si è organizzato tra fondi occupazionali, incentivi e accompagnamenti al pre-pensionamento. Insomma, il Movimento 5 stelle torna alla carica, ma sembra fuori tempo massimo. Il dado ormai è tratto, tornare indietro comporterebbe più danni che guardare avanti.