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Da prodotto di sussistenza a simbolo d'identità che incuriosisce i gastronomi: oltre 30 mila presenze alla sagra della Ciuiga

Nel Banale sono venuti dal Giappone, dal Canada, dall’America. Questo prodotto è tra i salumi più originali del nostro Bel Paese. Dall'origine del nome alla sua produzione, ecco la storia della Ciuiga

Di Nereo Pederzolli - 01 novembre 2022 - 22:17

SAN LORENZO DORSINO. La sagra forse più "strana" del Trentino è stata appena archiviata con oltre 30 mila presenze in quattro giorni. E’ quella della Ciuiga che da oltre 20 anni viene imbastita (ma forse sarebbe meglio dire "impastata") a San Lorenzo Dorsino nel Banale. Salume tutt’altro che banale, vanto di una comunità Banale nel nome, non di fatto.

 

Si chiama così dall’atavico termine celtico ‘bànal’ che significa pressappoco "territorio fertile". Secoli di fatiche contadine l’hanno davvero mantenuto tale. Anche se le moderne coltivazioni non riescono a trovare spazio per impianti estensivi. E pensare che per secoli il Banale era zona da vite, paesi ritenuti i ‘"cellari" del Principe vescovo di Trento, grazie a cantine collinari, riparate dal freddo del nord e situate in una vallata lontana da incursioni o scorrerie dei tanti eserciti che transitavano per le valli Giudicarie, come viene chiamato il comprensorio che comprende anche il Banale.

 

Sette piccole frazioni – chiamate le Sette Ville - compongono il comune più importante: San Lorenzo Dorsino. Paesini strani, anche nel nome. Berghi, Dolaso, Glolo, Pergnano, Prato, Prusa, Senàso. Centri periferici che in inverno diventano però mèta di tanti buongustai. Da quando le ciuighe hanno suscitato curiosità gastronomica e sono diventati simbolo del territorio. E viceversa, grazie anche al toponimo d’origine celtica.

 

Le ciuighe sono sicuramente tra i salumi più originali del nostro Bel Paese. Insaccato povero, anzi, poverissimo. Talmente miserrimo – specialmente negli anni di fine Ottocento e tra le due grandi guerre, quando perseverava la fame – che veniva fatto quasi esclusivamente con le rape dell’orto di casa impastate con frattaglie o scarti della macellazione del maiale. Proprio così, rape bianche, tagliuzzate e cotte nel medesimo paiuolo dove si preparava il parco pasto del porco.

 

Anzi, rape sottratte al pasto del maiale. Dell’unico suino ("rugànt") che la famiglia contadina poteva permettersi. Due bestie avrebbero minato irreparabilmente la sussistenza alimentare. Non avrebbero resistito: né gli uomini, né i porci. Salume preparato per soddisfare il fabbisogno domestico, usando i tranci meno pregiati del maiale, le carni avanzate dopo la vendita ai mediatori, al bottegaio, per pagare altri generi alimentari. Ciuighe insaccate nel budello del maiale, infarcite con rape e salume subito affumicato, con il fumo di rami di ginepro, pigne o frasche di larice. Fumo da fuochi soffocati, accesi direttamente negli avvolti delle case in muratura, vicino la stalla, sotto le stanze dove si dormiva.

 

Ciuiga, termine non ben definito. Secondo i vecchi di San Lorenzo il nome sarebbe legato all’esclamazione di un viandante, ospitato ad un pranzo invernale. Alla vista dello strano salume – servito cotto, ancora fumante, in una scodella con patate lesse e una sorta di brodo – il commensale avrebbe esclamato: "me pàr ‘na ciuiga". Vale a dire: mi sembra una pigna. Quelle affusolate, scure, che nel tardo autunno cadono dalle conifere che circondano i caratteristici paesi alpini.

 

Per altri, ciuiga altro non é che la sintesi dell’identità del salume in questione: fatto con quanto si ha. "Ciò ghai". Interpretazione a parte, la ciuiga dei nostri giorni è decisamente più gustosa e ben fatta di quanto tramandano i ricordi della fame. Ma non ha minimamente perso il suo significato antropologico, il suo valore culturale. Segno d’appartenenza, salume orgogliosamente tutelato da tutta questa comunità montana.

 

La diceria locale vuole che il primo a impastare con le rape questo stranissimo salume, a metterlo nel budello e successivamente affumicarlo – proprio per avere qualcosa di diverso dal solito, che avesse consistenza e sapore nonostante l’esiguità degli ingredienti - sia stato tal Palmo Donati, istrionico contadino di Glolo, vissuto qualche decennio prima del Novecento. A lui - sempre secondo una sorta di leggenda – si deve anche l’intuizione di "caricare" l’impasto con dosi abbondanti di spezie, pimento e pepe.

 

Probabilmente per "coprire" i poco gradevoli odori e sapori della carne (ricordiamo: un tempo si usavano prevalentemente carni dello scarto) ma uso di spezie per la conservazione. In un successivo mix con l’affumicatura. Tutto, insomma, contribuiva a rendere "mangiabile" un prodotto per la sussistenza, tutt’altro che un peccato di gola.

 

Decenni di fame, seguiti da una lenta, giusta ripresa economica. Ecco che le ciuighe incominciano ad essere più elaborate, "conciate" con criterio, scartando le frattaglie, usando pure qualche trancio di carne bovina. Senza mai tralasciare l’originaria identità: l’uso delle rape.

Salume strano che ha incuriosito schiere di gastronomi e "cacciatori del gusto" di numerose riviste e emittenti. Nel Banale sono venuti dal Giappone, dal Canada, dall’America. Ciuighe in Tv, come star. Certamente poco belle da vedersi – sono anche impallidite, nel colore, perché é stato tolto del sangue dall’impasto base, quello che originariamente usava anche le frattaglie, vale a dire parti di cuore fegato e polmone – ma ciuighe da fascino basato sull’originalità. Su quella sapienzialità contadina che ha saputo trasformare un prodotto della fame in un simbolo d’identità territoriale. La banalità, mai come in questo caso, ha davvero un significato totalmente diverso.

 

LA CIUIGA

È un piatto tipicamente invernale dalla forte personalità: la carica aromatica è dominata dalle sensazioni affumicate, a in bocca lascia percepire una buona sensazione di carne stagionata, non coperta dalla nota acidula delle rape. Si possono consumare dopo tre o quattro giorni, mentre è ancora fresca: si fanno bollire in acqua per circa venti minuti e si possono abbinare poi con patate lesse, purè, cavoli tagliati fini o polenta e crauti. Se invece si fanno maturare per una decina di giorni, le ciuighe assumono una consistenza maggiore e si possono tranquillamente mangiare a fette, come un salame.
Ingrediente principale, carni di maiale; oggi si usano le parti migliori del maiale (spalla, coppa, pancetta, gola) e una percentuale inferiore di rape (35-40%).

Le rape sono cotte in un grande paiolo e poi "strizzate" per togliere la maggior quantità possibile di acqua (da 100 kg di rape se ne ottengono circa 25). Si aggiungono quindi alle carni macinate (le proporzioni sono circa 40 kg di rape ogni 60 di carne), si aromatizza l'impasto con sale fino, pepe nero e aglio tritato e si insacca in budello gentile. Si passa quindi all'affumicatura, che dura otto giorni. La produzione inizia a ottobre e continua fino ad aprile ed è strettamente legata alla stagionalità delle rape: oggi è comunque molto contenuta, insomma una rarità.

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