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Sopravvissuti al suicidio di un familiare, la testimonianza: "Argomento tabù. I sensi di colpa creano una distanza dolorosa con chi non ha sperimentato questa perdita"
A pochi giorni dalla Giornata internazionale dei sopravvissuti, Ama propone una testimonianza di una facilitatrice di un gruppo per persone che hanno perso un loro caro: "Ci sono madri e sorelle che vivono il dolore di un abbandono improvviso, a cui non riescono a dare una spiegazione. Incontro dopo incontro parlano fra loro di sensi di colpa e del dolore, creando loro stesse una piccola comunità in cui il giudizio è inesistente"

TRENTO. "Quando una moltitudine di piccole persone in una moltitudine di piccoli luoghi cambia una moltitudine di piccole cose, tutti questi insieme possono cambiare la faccia del mondo". Questa frase, del filosofo Friedrich Nietzsche, ha colpito molto Anna, una volontaria dell'Associazione A.m.a, facilitatrice in un gruppo di auto mutuo aiuto per sopravvissuti al suicidio di un familiare.
Come ogni terzo sabato di novembre si celebra infatti la Giornata internazionale dei sopravvissuti, persone che rimangono dopo il suicidio di un caro, amico, collega o conoscente, quest'anno caduta il 19 novembre. "È una ricorrenza importante che coinvolge non solo chi ha sperimentato direttamente il dramma - spiega Ama -, ma la società tutta. Attorno al tema del suicidio permane ancora oggi lo stigma che costituisce uno dei problemi principali sia per la prevenzione ma anche per gli interventi successivi di supporto (postvention).Con stigma si intende il pregiudizio che circonda la malattia mentale e i temi connessi alla sofferenza psicologica, che impedisce le persone a chiedere e offrire aiuto".
Per questo a pochi giorni da questa ricorrenza proponiamo questa preziosa testimonianza raccolta da il Dolomiti: "La mia esperienza - racconta Anna - come facilitatrice in un gruppo di auto mutuo aiuto per sopravvissuti è cominciata da poco. Cosa mi ha motivata a entrarci? Piccoli gruppi, reti locali di solidarietà in tutti i campi. Ecco, quest’idea delle 'piccole reti locali' mi conquista, perché la piccola rete può entrare in angoli della società dove per l’organizzazione statale sarebbe difficile o impossibile entrare. Per questo sono convinta che partecipare attivamente alla vita di una comunità, aiutando chi è in difficoltà sia un dovere di chi ha la possibilità di farlo. Quindi, così come la vedo io, un dovere anche mio. Inoltre, ormai è risaputo che fare volontariato produce benessere per chi l’aiuto lo riceve per il contesto sociale in cui opera ma, e tanto, anche per il volontario stesso".
Qual è il ruolo di facilitatrice? "Le priorità e i temi da affrontare in un gruppo per sopravvissuti al suicidio di un familiare - prosegue - sono completamente autodeterminati, il facilitatore interviene solo per moderare e favorire la discussione oltre a verificare quanto riguarda l’organizzazione degli incontri. I sopravvissuti a un suicidio sono persone che hanno necessità di incontrarsi, di parlare del loro dolore per tutta una serie di motivazioni che riguarda questa perdita particolarmente dolorosa di una persona cara".
Perché lo stigma possa essere allentato, è necessario innanzitutto parlare del suicidio, "ma anche parlarne bene", sottolinea Ama. "L’obiettivo sperato - dichiara l'associazione - è quello di permettere alle persone di trovare uno spazio per condividere la propria sofferenza anche quando questa diventa quasi insopportabile. Accanto a tal proposito questa Giornata vuole legittimare i sopravvissuti a parlare liberamente del proprio dolore legato alla perdita di un caro, in un contesto di comprensione e accettazione".
I tabù e i sensi di colpa in primo luogo "creano una distanza dolorosa fra i sopravvissuti e gli altri che quella perdita non hanno sperimentato". "Un gruppo di sostegno - continua la testimonianza di Anna - è in grado di aiutare molto la ripresa di una vita normale, poiché una carenza di comunicazione vera, profonda che spesso i sopravvissuti incontrano, potrebbe perfino ostacolare il loro processo di guarigione".
Nel gruppo che segue Anna "ci sono madri e sorelle che vivono il dolore di un abbandono improvviso, a cui non riescono a dare una spiegazione. Incontro dopo incontro parlano fra loro di sensi di colpa e del dolore, creando loro stesse una piccola comunità che sentono vicina, amica, in cui il giudizio è inesistente. Piano piano si sta facendo strada fra di loro, soprattutto fra chi non si conosceva affatto, la possibilità di parlare anche dei pensieri più nascosti, che magari nascono ascoltando le confidenze degli altri".
Cresce così un affettuoso senso di vicinanza "soprattutto per quei momenti dolorosi - conclude la facilitatrice - che già qualcuno ha vissuto e che altri affrontano per la prima volta. Ricorrenze, ricordi condivisi, smarrimenti, pian piano i partecipanti si scambiano confidenze che non troverebbero spazio in altri contesti. E quando andiamo via e spunta un sorriso anche dopo il dolore del raccontarsi, allora sento la commozione e la gratitudine per aver partecipato anch’io alla vita e alla continuità di quel gruppo".
La commemorazione permette quindi di rendere il proprio dolore comunicabile e perciò conoscibile, per poter trovare una nuova speranza e nuove vie di "guarigione". Ai sopravvissuti Ama offre uno spazio di condivisione e confronto tra pari attraverso il gruppo "Questo dolore non è per sempre" del progetto "Invito alla Vita", aperto a tutte le persone che si trovano a dover elaborare il lutto di un caro morto per suicidio. Per informazioni e per partecipare al gruppo di auto mutuo aiuto contattare: [email protected] o chiamare 0461/239640.