''Ora ho un futuro'', profugo da quando aveva 12 anni Nico ha una nuova vita in una famiglia di Rovereto. La sua storia dall'Afghanistan al campo di Moria
A 12 anni ha lasciato la sua casa in Afghanistan, passando per Iran e Turchia è arrivato in Grecia dopo un viaggio durato anni, lì è rimasto coinvolto nell’incendio che lo scorso settembre ha devastato il campo profughi di Moria: ora grazie alla Comunità Papa Giovanni XXIII l'incredibile storia di N.A. (che chiameremo Nico) ha trovato a Rovereto il suo lieto fine

ROVERETO. A prima vista Nico potrebbe passare per un ragazzo come tanti: uno sguardo intelligente, occhi scuri e capelli dello stesso colore, un sorriso gentile ed una stretta di mano – igienizzata, ovviamente – ferma e decisa.
Poi però il suo telefono squilla. In un attimo sul suo viso traspare una maturità che stona con il volto giovanile di pochi istanti prima. “È la mia famiglia – dice – loro sono ancora in Afghanistan, sono ancora in pericolo”. Nico l'Afghanistan lo lascia quando aveva 12 anni, dando inizio ad un’Odissea di oltre 5mila chilometri che dalla provincia di Ghazni (nei dintorni della capitale del Paese, Kabul) lo porta, attraverso l'Iran e la Turchia, sull'isola greca di Lesbo, dove per mesi vive all'interno del campo profughi di Moria.
Dopo anni passati a spostarsi di paese in paese, grazie alla Comunità Papa Giovanni XXIII oggi Nico è al sicuro in una casa famiglia a Rovereto, dove potrà finalmente vivere in pace. “Quando sono arrivato in Iran – racconta il ragazzo – la situazione è stata dura fin da subito, lì la vita per i rifugiati non è semplice. Non avevo alcuna libertà, non potevo studiare, non potevo lavorare per costruirmi una vita. Più di tutto mi mancava la mia casa, la mia famiglia”.
Per Nico, l'Iran è una prigione a cielo aperto da cui fuggire al più presto. L'occasione si presenta dopo diversi anni nella Repubblica Islamica quando, pagando profumatamente alcuni contrabbandieri (insieme ad un gruppo di altri rifugiati afghani), Nico riesce ad arrivare in Turchia. “Il tragitto dall'Iran alla Turchia – dice il ragazzo – è stato traumatico. A quella gente (i contrabbandieri ndr) non importa nulla della vita degli altri, a loro interessano esclusivamente i soldi”.
Il gruppo di rifugiati è costretto a vivere per giorni sulle montagne al confine turco-iraniano in condizioni terribili, senza “acqua, cibo o vestiti caldi per passare la notte”. “Inizialmente in Turchia la situazione era sicuramente migliore che in Iran – ricorda Nico – ma ero costretto a lavorare tutto il giorno per mantenermi. Vivevo in una casa presa in affitto con un gruppo di amici in situazioni simili alla mia. Lavorare voleva dire poter pagare le spese, mangiare ed avere un tetto sopra la testa. Ero terrorizzato che la mia vita sarebbe finita in quel modo, che ancora ragazzo avrei dovuto rinunciare ai miei sogni ed accontentarmi di tirare avanti”.

Ed è proprio da quel terrore che, nel giro di pochi anni, nasce in Nico il desiderio di arrivare in Europa. “Da quando ho lasciato la mia casa – spiega il ragazzo – il mio unico obiettivo è sempre stato di trovare un posto in cui poter vivere liberamente. Non avevo mai preso seriamente in considerazione l'idea di arrivare in Europa. Dopo il mio soggiorno in Turchia però, ho capito che era l'unica speranza”. Nel 2019 Nico riesce ad arrivare in Grecia, sull'isola di Lesbo. Ci arriva, ancora una volta, grazie ad un gruppo di contrabbandieri, a cui consegna oltre 1000 euro – frutto dei risparmi messi da parte in Turchia e del sostegno di alcuni amici – per salire “insieme ad almeno altre 50 persone su una minuscola barca, dopo aver aspettato per giorni a riva che le condizioni del mare permettessero la traversata”.
Quando finalmente mette piede nella “terra promessa” però, in quel sogno che l'Unione Europea rappresenta per milioni di persone, Nico si rende presto conto che il sogno è diverso dalla realtà. “Non conoscevo la situazione all'interno dei campi profughi – dice il ragazzo – una volta arrivato nel campo di Moria mi sono reso conto che anche in Grecia a pochi importa della vita dei rifugiati”. I problemi per lui iniziano da subito, quando la fotografia dei suoi documenti (“l’unica cosa che provasse la mia identità”) non viene accettata dalle autorità del campo.
“Nonostante all'epoca fossi ancora minorenne – racconta Nico – sono stato registrato come adulto, non potendo quindi accedere alla zona del campo riservata ai minori”. Così il ragazzo finisce a vivere in un piccolo container insieme ad altre otto persone, in quello che definisce un “vero e proprio inferno, un ‘hellcamp’, come veniva chiamato da chi lo abitava. La paura era costante, come le violenze che ogni giorno bande di uomini ubriachi perpetravano nei confronti dei più deboli. Il concetto di sicurezza era estraneo a Moria, nessuno si interessava delle nostre condizioni”.
Dopo vari mesi di permanenza Nico, spaventato per la sua incolumità, decide di fuggire e riesce (dopo molte peripezie) ad arrivare ad Atene. Ed è proprio nella capitale greca che, finalmente, trova la speranza: Fabiola e Filippo, della Comunità Papa Giovanni XXIII, lo accolgono nella loro casa, dove (come ha raccontato l’Avvenire, che sulle sue pagine ha più volte riportato la storia di Nico) si prendono cura di un gruppo di altri ragazzi in difficoltà.
Per quasi un anno Nico vive con la sua nuova famiglia, ricevendo una ‘international protection applicant card’. “Ho raccontato a Fabiola e Filippo la mia storia – dice il ragazzo – e loro hanno deciso di accogliermi: mi hanno letteralmente salvato”. Dopo il felice periodo passato nella casa famiglia però, le autorità greche gli ordinano di fare ritorno a Lesbo, per sbrigare quella che doveva essere una semplice pratica burocratica. “Mi avevano assicurato sarebbe stata questione di un giorno al massimo – ricorda Nico – ma al mio arrivo a Moria mi hanno ritirato la card, sostituendola con un documento che mi proibiva nuovamente di lasciare il campo”.
È l'ennesimo ostacolo nel cammino del giovane verso una vita migliore. “Quando ho capito cosa sarebbe successo ho perso la speranza. Ho cercato di spiegare che ad Atene avevo una casa, una famiglia che mi aspettava, ma non è servito a nulla. Per mesi ho aspettato di ricevere l'esito della procedura aperta sul mio caso, finché a settembre (2020 ndr) il campo è stato devastato da un incendio”. (QUI L'ARTICOLO)

Il fuoco, divampato nella notte tra l'8 ed il 9 settembre, brucia tutte le pratiche relative alle richieste d’asilo, compresa quella di Nico. “Quello dopo l'incendio è stato un periodo durissimo – racconta il ragazzo – in cui non avevo idea di cosa sarebbe successo. La paura più grande era di essere deportato, di dover ricominciare tutto d’accapo”.
Ma è proprio a quel punto che grazie ad un protocollo sottoscritto dal ministero dell’Interno e da un'organizzazione non governativa nasce un corridoio umanitario, attraverso il quale si organizza l'arrivo di circa 300 richiedenti asilo nel nostro paese. E così, lunedì scorso Nico è arrivato a Roma, da dove Antonio Caproni e Sonia Zonini (due roveretani che gestiscono una delle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII) lo hanno accompagnato fino alla sua nuova dimora, a Rovereto.
“Ora sono qui – conclude il suo racconto Nico – con una nuova e bellissima famiglia, davanti a me ora vedo un futuro. Come prima cosa voglio imparare l'italiano, poi vorrei giocare a calcio, suonare la chitarra, studiare. Il mio obiettivo per il momento è fare tutto il possibile per aiutare le persone, sperando che un giorno la pace possa arrivare anche nel mio paese”.