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Covid, come la pandemia ha modificato le abitudini delle persone: “Contatti sociali ridotti all’esterno ma nelle abitazioni sono calate le precauzioni”
I ricercatori hanno analizzato i dati di ricercatori 837mila cellulari per tracciare gli spostamenti delle persone e analizzarne i comportamenti: “Con il protrarsi della pandemia le persone hanno iniziato a prestare meno attenzione ai dati sul numero di casi e di morti provocati dalla pandemia e in qualche modo sia cambiata la loro percezione del rischio”

TRENTO. Quale impatto ha avuto sul comportamento umano il primo anno di pandemia? Come sono cambiate le nostre routine, la nostra capacità di rispettare le restrizioni e di rinunciare, almeno in parte, alle attività sociali? Sono queste le domande alle quali si è cercato di dare risposta attraverso uno studio realizzato dalla Fondazione Bruno Kessler assieme all’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isti) e in collaborazione con l’azienda Cuebiq Inc di New York. La ricerca ha analizzato in particolare i cambiamenti nelle abitudini quotidiane e la capacità di adattamento alle misure di precauzione in seguito all’insorgenza della Covid-19 .
“La cosa che è subito saltata all’occhio – commenta Lorenzo Lucchini ricercatore della Fondazione Kessler – è che nonostante la pandemia sia arrivata in momenti diversi, questo vale in particolar modo per gli Stati Uniti dove abbiamo raccolto più dati, le persone si sono adattate rapidamente modificando il loro comportamento”.
Infatti il lavoro dei ricercatori si è basato sui dati Gps di 837mila cellulari, trattati in maniera completamente anonima, negli Stati Uniti, da gennaio a settembre 2020. È emerso che nel periodo dello studio, il numero di visite nei negozi e in altri luoghi che non venivano considerati essenziali è notevolmente diminuito. Stando ai dati raccolti le “visite” a questi luoghi sono calate del 28% rispetto al periodo pre-pandemico nello Stato di New York. Non solo, perché allo stesso modo è diminuita la durata della permanenza nei luoghi visitati del 23%. Dallo studio, è inoltre risultato che le persone hanno mantenuto un comportamento protettivo anche nella fase di riapertura, proseguendo la tendenza a frequentare meno luoghi e soprattutto a passarvi meno tempo.
“Abbiamo analizzato sia l’ordine con cui venivano effettuati gli spostamenti – prosegue Lucchini – che le tipologie dei luoghi visitati, questo è molto importante per valutare possibili rischi di sovraffollamento. In quest’ottica abbiamo anche cercato di stimare direttamente il numero di contatti che avvenivano fra i dispositivi e per quanto tempo rimanevano in prossimità di un altro device per un determinato periodo di tempo e in quali luoghi.
“Le analisi – interviene Luca Pappalardo ricercatore di Cnr-Isti – hanno inoltre mostrato che mentre le persone hanno in genere ridotto i contatti sociali per diminuire le probabilità di contagio nei luoghi di interesse, le stesse precauzioni non sono state mantenute all’interno delle abitazioni. Fra le mura domestiche poi non si è stati altrettanto attenti a ridurre i contatti sociali con persone non conviventi, e questo nonostante sia risaputo che i contatti in quel tipo di ambiente contribuiscano significativamente alla diffusione dei contagi”.
Detto questo, i ricercatori si sono accorti che con il passare del tempo la percezione del pericolo è diminuita. “Con il protrarsi della pandemia – commenta Lucchini – le persone hanno iniziato a prestare meno attenzione ai dati sul numero di casi e di morti provocati dalla pandemia e in qualche modo sia cambiata la loro percezione del rischio. Questo ha modificato il loro comportamento di conseguenza. Un’altra ipotesi è che ragioni economiche abbiano spinto comunque a riprendere a frequentare più luoghi e a rimanervi più a lungo”.