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"Diversi da chi?". Applauso in anticipo a Gabriele Biancardi
Martedì 22 al teatro Cuminetti debutta lo spettacolo di parole, musica live, disegni, video e volteggi aerei scritto da Gabriele Biancardi. L'obesa e il gay, loro, gli altri e noi per un testo che va nel profondo ma non sprofonda nel didascalico e nell'intellettualismo grazie ad una bombola piena di ironia. Generalmente non si fa, ma qui è il caso di fare "pubblicità progresso"

TRENTO. Si può applaudire uno spettacolo prima di averlo visto? Boh, dicono che non si fa. Che non sta bene. Che “dove sta la correttezza, la deontologia?”. Spallucce. Io applaudo in anticipo. E a dirla tutta mi sbraco nel far pubblicità a “Diversi da chi?”, che debutterà al Cuminetti il 22 maggio. Debutterà “di martedì” evitandoci, volendo, di soffocare di fronte ad uno dei più famosi “talk” in cui si straparla di tutto senza far capire nulla.
Faccio pubblicità a “Diversi da chi?”. Convinto che si tratti di “pubblicità progresso”. La pubblicità, cioè, al coraggio di trattare con allegra ma serissima leggerezza la pesantezza opprimente delle inculture. Quelle inculture che sono – ahinoi - drammaticamente intergenerazionali e “tempo resistenti”. L’obesità, l’omosessualità: la grassa e il gay, la cicciona e il frocio. Gabriele Biancardi – per i più è “Gabrielone” anche se ha disintegrato nella volontà una quarantina di chili – ha scritto di se stesso. Del prima e del durante perché il dopo è nuova vita.
Ha virato la sua propria storia al femminile: i problemi di fisico e di psiche sono asessuati. Ma Biancardi ha scritto anche di altro e di altri: i diritti negati accomunano il basso, il cieco, il brutto, il sordo, il nero. Eccetera.
Eccolo qui “Diversi da chi”. Un testo, due attori, (Anna Dalla Fontana e Laurenty Gjeici), un gruppo musicale, (Punto Gezz), che essendo praticamente una famiglia non può che suonare roba famigliare. E ancora un vignettista, (Patauner), che tutto d’un tratto materializza situazioni e caratteri. E ancora un cercatore di video, (Tombini), che fa lo scenografo cliccando contesti e ambienti su un Pc. E una regista, (Laura Novembre) che si sdoppia: dirigendo e cantando. Se dirige come canta siamo a cavallo. Eppoi un produttore, (Fiabane), che non fa il miscredente di fronte ad una buona idea. Infine l’acrobata, (Refatti), che porta i messaggi in aria.
La storia? Non c’è una storia. Perché? Perché per dirla con De Gregori “la storia siamo noi”. Nella fattispecie “noi pubblico”. Purché dai monologhi e dai dialoghi musicati di uno spettacolo ci portiamo a casa almeno un poco d’attenzione. Almeno un po’ di coscienza e di autocoscienza.
La pubblicità progresso a “Diversi da chi?” nasce dalla sorpresa per la fluidità di un testo. Parlando leggermente di cose serie, anzi serissime, Biancardi va in profondità ma non brucia l’ossigeno nella presunzione. Va in profondità respirando da una bombola piena di ironia. D’altronde Biancardi, “Gabrielone”, non è zavorrato dai luoghi comuni e dall’intellettualismo un tanto al chilo quando usa il microfono da decano dei conduttori radio.
Lì, in radio e nei seguitissimi post al seguito, toglie spesso quintali di prosciutto dagli occhi senza mai rischiare sermoni. Il Biancardi scrittore – due libri e uno spettacolo di ormai decennale durata all’attivo – svela prima l’anima della tecnica. Forse lo fanno in tanti. Ma in pochi sanno rendere trasparenti i sentimenti senza incollarli alla retorica e all’eccesso d’ego.
Insomma, si sarà capito, ma per Gabrielone chi scrive nutre una certa invidia ed un bel po’ d’ammirazione. Leggendo il copione di “Diversi da chi?” aumentano sia l’invidia che l’ammirazione. Per obbligo e giuramento non si può dire più di tanto. Ma in fondo basta l’inizio.
“Quando una ha fortuna fin dalla nascita... Mia nonna era secca secca. Mangiava come un branco di licaoni a digiuno da sei mesi e non metteva su un etto. Io cosa ho preso da lei? Il nome…che culo eh!”. Parola di Abbondia, un copione in un nome. Così si chiama in scena Anna Dalla Fontana, la debuttante di peso che Biancardi ha scelto per rinvangare, ridendoci su ma mica troppo, gli anni della sua obesità.

Dall’altra parte – l'altra parte della scena - c’è Laurent, al secolo Laurent Gjeci, l’omosessuale in bilico tra il prima e il dopo coming out. “Sono omosessuale o gay, ma per tanti sono finocchio, checca, busone, ricchione, sodomita, culattone, invertito, zia, pederasta, bardascia, lumino o buzzarone....ma il mio preferito è: Frocio! Sì,sì, sì! FROCIO… questa parola mi fa ridere, eh si, perché non vuol dire NULLA, se cercate l’etimologia di frocio, non troverete nulla... niente, è un termine che non ha nessun senso. E come se io dicessi a qualcuno: Sparroloso... non ha senso, Eppure, frocio, si usa e pure tanto”.
E via così. Narrando la diversità. Giocando con la diversità. La diversità, però, dei sedicenti “normali” che sguazzano nell’anacronismo tra rifiuti e pietismi che sono ancor peggio dei rifiuti. Biancardi ironizza. Altra chiave non ci può essere.
Ma “Diversi da chi?” non ha una chiave sola: la musica dal vivo, ad esempio, non è una colonna sonora. Concato, De Gregori, Cat Stevens e l’inarrivabile Gaber sintetizzano ore ed ore di convegni sui diritti nel verso di una canzone. “Diversi da chi?” scherza con Morandi quando scambia “Banane e Lamponi” con “Lasagne e Cappone”.
Ma “Diversi da chi?” non scherza con chi deciderà di stare al gioco di Biancardi e compagnia affiatata. La pubblicità progresso – quella vera – inizierà dopo la fine dello spettacolo. Quando, cioè, il pubblico farà pubblicità al tema, al messaggio, alla speranza e all’urgenza che la parola “diverso” sparisca dal vocabolario di un miserando quotidiano.