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Rave party sul Baldo, interrogazione in Regione. Lettera dello scrittore Rota: ''La montagna è di tutti? Sì, di tutti quelli che la rispettano''
Lettera a il Dolomiti dello scrittore lecchese Luca Rota sulla vicenda del concertone con dj set al Rifugio Chierego: ''Che bisogno c’è di fare iniziative così palesemente fuori contesto e così tremendamente ispirate ai più beceri modelli del turismo di massa, che alle montagne da sempre non fanno che apportare danni?''

BRENZONE. ''Cenacchi scrisse che i rifugi sono una via di mezzo tra una casa e una montagna: be’, spiace dirlo ma quelli come il Chierego, quando si svendono a - pur legittime - operazioni meramente commerciali e banalizzanti come quella proposta (perché questo sono, in concreto), perdono qualsiasi idea di “casa” e tanto meno di “montagna”''. Si conclude così la lettera inviata a il Dolomiti dallo scrittore Luca Rota, sulla vicenda del concertone con dj set andato in scena qualche giorno fa sul Baldo. Autore di una decina di libri, blogger molto seguito, speaker radiofonico, Rota ha un legame speciale con la montagna in particolare con quella lecchese e bergamasca dove vive e ''gravita'' per lavoro (ha anche curato le schede informative della carta dei sentieri di Carenno, Costa Valle Imagna e Torre de' Busi) e per passione e da tempo studia il rapporto tra i monti e le genti che le abitano e si occupa di pratiche culturali per la valorizzazione e la rigenerazione dei territori in quota.
La vicenda è ormai nota: clima da discoteca, tutti schiacciati per ballare i pezzi del dj set, ghirlande e mani al cielo, con la nota esotica dei 2.000 metri di quota dove si è svolto l'evento. Il tutto immersi nell'ambiente naturalistico del Monte Baldo che in molti vorrebbero rendere Patrimonio dell'Unesco.
Le immagini fuori luogo (nel vero senso della parola) arrivate nei giorni scorsi dal rifugio Chierego con centinaia di giovani riuniti a ballare (che il Cai Verona ha definito, senza mezzi termini ''rave party ad alta quota'') hanno fatto il giro del Paese e mentre in Regione Veneto è approdata un'interrogazione del Pd per chiedere che tipo di autorizzazioni ci fossero per un evento di questa portata, su il Dolomiti interviene lo scrittore lecchese chiedendo quale sia il senso di riproporre ''in quota - scrive - modelli prettamente metropolitani e del tutto decontestuali all’ambiente montano e alle peculiarità che lo rendono differente, appunto, dalla città''.
Un intervento da leggere tutto d'un fiato che pubblichiamo integralmente qui sotto:
«I rifugi sono degli edifici che non assomigliano a nessun altro tipo di casa. Le abitazioni sono abitazioni proprio perché sono abitate, ma i rifugi restano rifugi anche senza ospiti, anzi sono rifugi proprio in quanto spesso disabitati, ma pur sempre abitabili. Una casa senza abitanti trasgredisce la sua natura, ma un rifugio senza gente rispetta in pieno il suo significato e il suo compito. I rifugi sono dunque indifferenti alla gente, proprio come le montagne: erano lassù prima di noi, saranno lassù dopo di noi e senza di noi. Questa è la loro natura. Ed è forse per questo che sembra non abbiano età e appaiono sempre affascinanti e un po' misteriosi, soprattutto quando sono chiusi: è perché sono una via di mezzo tra una casa e una montagna.»
[Giovanni Cenacchi, Dolomiti cuore d’Europa, Hoepli Editore, 2021, pag.40.]
Ill.ma Redazione,
a leggere il Vostro articolo dello scorso 13 marzo che dà notizia della festa con dj set ai quasi duemila metri di quota del Rifugio Chierego, sul Monte Baldo, sulla quale tra i frequentatori dei monti in questi giorni si dibatte molto con il Cai di Verona in prima fila, mi è tornato in mente il bellissimo brano di Giovanni Cenacchi che ho riportato lì sopra.
Ciò che è stato fatto al Chierego (un evento in sé certamente bello e divertente) può essere legittimo, se osservato dal punto di vista dei gestori i quali sono liberi, salvo obblighi superiori, di condurre come vogliono la loro struttura. Si può certamente credere anche alla loro buona fede, quando sostengono che l’evento «aveva l’intento di includere i giovani e fargli conoscere la montagna e il nostro territorio». Ma – ennesima domanda spontanea, in casi del genere – come si può far conoscere e apprezzare la montagna riproponendo in quota modelli prettamente metropolitani e del tutto decontestuali all’ambiente montano e alle peculiarità che lo rendono differente, appunto, dalla città?
Veramente i «giovani che si sono recati con le proprie gambe presso il Rifugio senza l’uso di mezzi di trasporto» ci sono saliti per conoscere la montagna e il territorio circostante restandovi come fossero in un music club cittadino o di qualsivoglia località adibita al turismo ricreativo di massa? Ma allora che ci sono andati a fare così tanto sforzo e fatica, fin lassù? Forse per fare la stessa cosa che avrebbero potuto fare nelle proprie città ma col gusto dell’"esotico" (in perfetto social media mood) offerto dai quasi duemila metri di quota, mi viene da temere. E, nel caso, questo sarebbe il «pieno rispetto della montagna»? Non si capisce proprio a cosa servano a questo punto le montagne e ogni altro territorio naturale non antropizzato, se vengono trasformati (pervicacemente) in piazze cittadine affollate e rumorose con, unica differenza, l'essere in alta quota!
Ma ecco che, si legge nell’articolo, il gestore del rifugio Chierego, nella lettera con la quale cerca di giustificare la propria condotta inviata alla redazione del Vostro giornale, esprime un concetto ormai abituale nel corso di questioni del genere: «Credo che la montagna sia di tutti». Concetto, mi permetto tuttavia di osservare, che appare monco: la montagna è di tutti quelli che la rispettano. Ecco, così è completo, e d’altro canto non è certamente sostenibile che, siccome la montagna sia di tutti, tutto in montagna possa essere giustificabile al riguardo. I gestori del Chierego, a quanto pare, organizzano altri eventi ben più apprezzabili e consoni al luogo nel quale si trovano: dunque che bisogno c’è di aggiungervi iniziative così palesemente fuori contesto e così tremendamente ispirate ai più beceri modelli del turismo di massa, che alle montagne da sempre non fanno che apportare danni?
Cenacchi scrisse che i rifugi sono una via di mezzo tra una casa e una montagna: be’, spiace dirlo ma quelli come il Chierego, quando si svendono a - pur legittime - operazioni meramente commerciali e banalizzanti come quella proposta (perché questo sono, in concreto), perdono qualsiasi idea di “casa” e tanto meno di “montagna”. Oltre a tutto il loro fascino, che mi auguro non venga intaccato nella considerazione dei tanti escursionisti che una “casa in montagna” e non altro lassù ricercano e, inutile rimarcarlo, nelle forme più “nuove” tanto quanto armoniche al paesaggio montano vorrebbero ancora trovare.