I Savoia nominano un'erede femmina, rompendo con una tradizione millenaria. Progressismo o opportunismo?
La scelta di porre fine alla legge Salica è stata giudicata necessaria dagli eredi (diseredati) al trono, in quanto anacronistica. Ma in realtà dietro a questa scelta potrebbe nascondersi un inghippo. Il rischio di veder tornare la Corona è certo scongiurato, ma i Savoia ci credono ancora

TRENTO. Che l'Italia non sia un Paese dove le donne ottengano lo stesso riconoscimento degli uomini non è un mistero. I dati sui femminicidi, d'altronde, restituiscono un quadro in cui il maschilismo continua a regnare sovrano, dalle Alpi alla Sicilia. Il Paese del “delitto d'onore” non pare ancora del tutto superato, ma guardando a questioni meno pesanti basti dare una scorsa ai vertici delle istituzioni per rendersi conto dello squilibrio ancora regnante nel Bel Paese.
Raggiunte alcune delle cariche più alte dello Stato, ancora nessun esponente del sesso femminile ha avuto modo di ricoprire i ruoli di Presidente del Consiglio o di Presidente della Repubblica. Il segno, in 74 anni di storia repubblicana, continua ad essere esclusivamente maschile, e per ora pare difficile che in un futuro prossimo la situazione possa cambiare.
Posta la comprensibilissima indifferenza che chiunque potrebbe provare nei confronti della notizia che si sta per dare, fa sorridere – ma amaro – come nella decaduta famiglia reale sabauda si stia assistendo ad una decisione in netta controtendenza con il maschilismo italiano. Dopo mille anni di storia della casata, infatti, il patriarca Vittorio Emanuele, figlio dell'ultimo re d'Italia Umberto II – il “re di maggio”, chiamato così per il brevissimo regno, concluso con il referendum monarchia-repubblica – e suo figlio Emanuele Filiberto hanno comunicato il cambio delle regole di successione designando come erede una donna, la 16enne Vittoria, primogenita del “principe”.
“Io e mia moglie potremmo ancora avere un figlio ma sarebbe anacronistico se in Casa Savoia, in una società che vuole riconoscere la parità di genere, si discriminassero ancora le donne”, ha dichiarato Filiberto al Corriere della Sera. La decisione – seppur inutile – è epocale, perché con un esercizio di fantasia in un'immaginaria Italia monarchica a capo dello Stato ci si ritroverebbe con una donna. Nel più classico dei “What if” - “cosa succederebbe se...” - l'Italia repubblicana sarebbe superata da quella reale.
La cosa è piuttosto spiacevole, se pensiamo che solo la repubblica garantisce una reale uguaglianza, al di là del genere (e non solo). E per vedere una donna sul trono nel nostro Paese – al di là del “non si sa mai” buttato lì dagli eredi della Casata protagonista del processo d'unificazione italiano ma screditata e caduta in disgrazia per l'appoggio dato al regime fascista – il rischio è lungi dall'esistere. Con la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, infatti, “i membri e i discendenti di Casa Savoia non (solo) sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive”, ma pure “a consorti e discendenti maschi sono vietati l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale”.
Ed ecco allora che l'arcano si svela. Seppur ininfluente, la decisione di nominare un'erede femmina eluderebbe le disposizioni costituzionali. Altro che stare al passo coi tempi, con l'eliminazione della legge salica che regolava la vita e la successione anche della casata sabauda – senza sembrare troppo maliziosi – l'ex casa regnante lancia un messaggio alla Repubblica che l'ha succeduta: noi siamo ancora qua e la decisione del 1946 non l'accettiamo.
Le vicende che hanno tenuto legate Repubblica ed ex dinastia regnante, dopo quel lontano referendum del '46, sono episodiche ma alquanto significative dei sentimenti della famiglia Savoia. Se nel 1987 il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di Maria José di fare rientro in Italia in quanto vedova e non più consorte di un ex re, nel 2002 il Parlamento approvava una legge costituzionale che esauriva gli effetti giuridici dei primi commi delle disposizioni transitorie e finali, permettendo agli eredi di rientrare in Italia e dando fine ad un esilio durato 56 anni.
Sull'esilio stesso i Savoia avrebbero cominciato un'annosa battaglia legale per ottenere un considerevole risarcimento dallo Stato italiano, firmatario della Convezione europea dei diritti dell'uomo che vieta questa pena. Peccato che l'Italia avesse stabilito una riserva per rendere inapplicabile questa norma nel caso della famiglia reale. Nel 2017, inoltre, un volo di Stato traslava infine in Italia i corpi di Elena e Vittorio Emanuele III, sepolti in una bara ricoperta dal tricolore nel santuario cuneese di Vicoforte – sul pagamento del trasporto e l'accoglienza delle salme provenienti da Alessandria d'Egitto, dove i due avevano passato in esilio gli ultimi anni della loro vita, poche furono le voci sollevatesi in una protesta, tra cui quella della Comunità ebraica e quella dell'Anpi.
La richiesta da parte degli eredi viventi di seppellire con tutti gli onori del caso il re del fascismo e delle leggi razziali nel Pantheon cadeva nel vuoto. Nessuna istituzione si presentava al momento dell'arrivo e della tumulazione della salma, solo il sindaco del piccolo paese di Vicoforte, sfregandosi le mani, esultava soddisfatto immaginando il ritorno turistico. Da Predappio a Vicoforte, il necroturismo, al di là di chi sia il morto in questione e di quale "servizio" abbia reso al Paese, fa sempre gola.