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Dal genocidio alla prosperità economica, luci e ombre del Ruanda raccontati con gli occhi di un trentino

Fabio Pipinato ci spiega le origini della lotta tra Hutu e Tutsi e le dinamiche internazionali che hanno portato prima alla violentissima guerra civile e quindi a questo sviluppo senza precedenti: "Una ricchezza direttamente proporzionale al caos che regna in Congo"

Di Tiberio Chiari - 21 maggio 2017 - 18:04

TRENTO. La storia del Ruanda è tristemente connessa con la storia del suo genocidio. Questo stato centroafricano, il più piccolo per estensione, è indipendente dal 1962 e, dopo decenni di faide fratricide, vive un momento storico di pace.

 

Questa stabilità raggiunta negli ultimi quindici anni ha permesso al parlamento, guidato dal presidente Paul Kagame, di pianificare una serie di politiche economiche e sociali che stanno accompagnando il Ruanda attraverso una delle più repentine trasformazioni della sua finora drammatica storia repubblicana: da stato emblema della povertà più assoluta a modello di sviluppo per l'intero continente.


La sua capitale Kigali è oggi il fulcro di uno dei più ambiziosi progetti di pianificazione urbana a medio-lungo termine del continente africano e non solo: il Kigali Master Plan 2040. Un piano avveniristico di urbanistica sostenibile che ha ricevuto ampi riconoscimenti internazionali grazie all'idea di sviluppare attraverso città satelliti il centro urbano mantenendo ampie zone verdi.

 

 

Entro il 2040 la capitale, che oggi conta un milione e mezzo di abitanti, triplicherà la popolazione e questo progetto candida il Ruanda a diventare leader africano come modello di sviluppo, mediante il controllo e la promozione dello sviluppo attraverso vari obiettivi, pianificati minuziosamente per vedere la luce in un piano pluriennale.

 

Dietro a queste conquiste si nasconde però una lotta infinita dettata da enormi interessi internazionali, molto più ampi dei confini del piccolo Ruanda. A raccontarci quali dinamiche hanno contribuito alla nascita dell'attuale Stato ruandese è Fabio Pipinato, attuale presidente dell'Istituto Pace Sviluppo  Innovazione Acli del Trentino, che grazie ad una pluriennale esperienza diretta conosce approfonditamente le dinamiche politiche che interessano il Ruanda e le confinanti repubbliche centroafricane.

 

Iniziamo dal genocidio del 1994, a tutti tristemente noto, lei era presente, ma cosa ha portato a quella escalation? Durante quei giorni terrificanti quasi un milione di persone furono uccise all'arma bianca. È stato l'atto apicale del conflitto tra quelle che vengono definite le etnie Tutsi e Hutu.

E' necessario premettere che in realtà la rivalità tra queste etnie è un falso storico, attribuibile ad una distorsione operata dalle nazioni colonizzatrici, prima Germania e poi Belgio, per dividere e governare più  agevolmente questi popoli sotto il loro controllo.


La distinzione tra Tutsi e Hutu era di tipo sociale: quella degli Hutu, la classe popolare dedita storicamente all'agricoltura, e quella dei Tutsi, la classe dirigente che possedeva il bestiame e che ha governato il territorio con la propria monarchia fino all'avvento del dominio coloniale.

 

La strumentalizzazione etnica è avvenuta in seguito. Storicamente, dopo l'indipendenza dal Belgio, gli Hutu sono stati supportati dai francofoni (Belgio e Francia) nel controllo dello Stato.

 

Il genocidio del 1994, perpetrato dagli Hutu, che rappresentano per circa l'85% la popolazione, ai danni dei Tutsi, il restante 15%, è stato l'ultimo atto del dominio francofono su queste zone. Da quell'ultimo colpo di coda il potere sul Ruanda, strategico per il commercio di molti minerali, tra cui l'indispensabile coltan, ricercatissimo dall'industria informatica, è passato in qualche modo nelle mani degli anglofoni.

 

Le etnie sono state ancora una volta strumentalizzate e utilizzate per rendere possibile questo sanguinoso passaggio di consegne e per giungere al controllo delle industrie estrattive presenti principalmente in Congo. Queste miniere esportano attraverso il Ruanda enormi quantità di minerali estratti illegalmente.

 

Oggi praticamente tutti i contratti commerciali per l'esportazione dei preziosi minerali sono stipulati in inglese, mentre fino agli anni novanta gli stessi erano in lingua francese. Questo fatto mi sembra una prova lampante del peso di certi interessi sulle rivoluzioni avvenute negli ultimi decenni in Ruanda e non solo, anche in Uganda e Burundi, Stati che sono veri hub internazionali per l'export delle materie prime estratte nel martoriato Congo.

 

Analizzando meglio questa situazione, come hanno modellato le 'fazioni' francofona e anglofona,  il destino politico del Ruanda?

Juvenal Habyarimana, amico di Francois Mitterrand, presidente appoggiato da belgi e francesi e in carica dal 1973 al 1994, rappresentava gli interessi francofoni. Dall'altra parte invece il Fronte patriottico ruandese, composto principalmente da Tutsi rifugiati nei paesi limitrofi, è stato fin dall'inizio degli anni novanta appoggiato dagli anglofoni, che avevano enormi interessi soprattutto verso l'industria estrattiva del Congo, visto il boom planetario dell'industria tecnologica iniziato in quell'ormai lontano decennio.

 

Nel 1993 l'invasione del Runada da parte del Fronte patriottico ruandese fallisce e nel 1994 il presidente Juvenal Habyarimana muore in un attentato aereo: gli Hutu attribuiscono la responsabilità, ad oggi mai verificata, di questo atto alla minoranza Tutsi e inizia così il tremendo genocidio.

 

In seguito si registra la fallimentare operazione di pace UNAMIR, guidata da militari belgi. Questa missione, a posteriori, si può dire che sia stata più un' operazione di dismissione e estradizione dei propri collaboratori da parte di belgi e francesi e salvataggio dei loro beni: nel frattempo infatti gli equilibri di forza nelle repubbliche centroafricane stavano mutando a loro sfavore.

 

Dunque seguendo questo percorso, conclusa la controversa operazione dell'UNAMIR, il Fronte patriottico ruandese può finalmente prendere il controllo della nazione. Questa fazione, forte inoltre dell'appoggio degli anglofoni per i rifornimenti di armi attraverso l'Uganda, non ha problemi a ristabilire l'ordine nella nazione.

Gli Hutu, che per decenni hanno governato il Ruanda con l'appoggio di Belgio e Francia, si vedono chiudere l'approvvigionamento di armi dall'ex Zaire e non possono resistere al crescente potere del  Fronte patriottico ruandese, guidato da quindici anni dall'indiscusso leader e padrone del Paese: Paul Kagame. Eletto nel 2000 e ancora in carica dopo due mandati settennali.

 

Si potrebbe definire Kagame un leader 'illuminato', osservando da fuori quanto accade oggi in Ruanda: questo Stato è infatti in pieno sviluppo economico e sociale, pacificato e sicuro, pronto ad attrarre investimenti internazionali.

Il Pil del Ruanda è cresciuto in media dell'8,3% tra il 2002 e il 2009, tra il 2013 e il 2018 il governo cerca di alzare la media all'11,5%. Il reddito pro capite in questi anni è passato dai 250 dollari del 2000 ai  697 dollari del 2012. Nel 2000 l'acqua potabile era accessibile al 47% della popolazione, mentre oggi questa percentuale supera il 70%. L'aspettativa media di vita nei primi anni '90 era di circa 27 anni mentre oggi si parla di 63,8 anni.


Quale è dunque la sua impressione conoscendo direttamente il Paese e la sua attualità?

I dati rendono l'idea di uno sviluppo che è veramente tangibile e concreto. Per fare un esempio: il territorio è pacificato, nel parlamento è composto per il 60% da donne, una percentuale che supera quella svedese e l'intera capitale è coperta dal servizio wi-fi.

 

Ovviamente ci sono dei problemi. La forma di governo dovrebbe essere democratica, una repubblica semipresidenziale che però è di fatto una dittatura: chi si oppone a Kagame viene 'gentilmente' accompagnato in carcere. Questo è palese. Un dato da rimarcare è però che Kgame  non ha messo nessun famigliare in posizioni di governo e non si è mai attorniato di parenti nel suo percorso politico. Questo è un fatto inusuale.

 

Il suo successo a livello di politiche economiche e sociali è l'altro lato della medaglia rispetto all'autoritarismo del suo governo. A testimonianza della stima che Kagame nutre davanti agli altri capi di Stato africani : è necessario ricordare che ogni volta che entra all'assemblea dell'Unione degli Stati africani tutti gli tributano un lungo applauso, alzandosi in piedi.

 

Oggi il Ruanda vive sicuramente un periodo di prosperità sotto un governo autoritario che tiene in pugno l'intera nazione, ma che sta raggiungendo enormi obiettivi di sviluppo.

 

Giudicare questa situazione è molto complesso e difficile, soprattutto alla luce del tragico passato di questo Paese, ma resta il fatto che oltre ad iniziative di mera propaganda, come per esempio il giorno a settimana, nel quale tutti devono si devono dedicare alla pulizia delle strade e dei parchi, molti obiettivi sono stati raggiunti in questi ultimi venti anni dal governo di Kagane e che le prospettive di crescita sono indiscutibilmente positive.

 

Oggi passeggiando per Kigali di giorno si incontra un militare ogni 100 metri, la sera uno ogni 50 e la notte uno ogni 25, ma sullo sfondo ci sono moderni grattacieli che rappresentano un progresso effettivo e non solo propagandato.

 

Il benessere sembra indiscutibile, ma da dove provengono tutti questi investimenti?

Se dobbiamo analizzare la provenienza dei grossi flussi finanziari che inondano un paese, povero di risorse naturali, dedito principalmente e per tradizione all'agricoltura, bisogna allargare la prospettiva all'immenso vicino: il Congo. E' necessario ricordare che il benessere attuale di questa nazione ha il suo lato oscuro proprio nelle miniere del Congo orientale.

 

Questa parte del Paese, mantenuta in uno stato perpetuo di guerra civile e diviso tra bande armate, è sfruttato per l'estrazione di minerali essenziali all'industria tecnologica. Nelle miniere 'senza legge' del Congo, nazione in molte sue regioni priva di un effettivo stato di diritto, la manodopera è quasi a costo zero, visti i milioni di profughi che si spostano a causa dei conflitti armati interni.

 

Dunque chi sfrutta queste miniere 'illegali', in quanto il Congo viene volutamente lasciato senza legge, utilizza poi il mercato libero e pulito di Kigali, capitale del Ruanda, per mettere in commercio le tonnellate di minerale estratto. Le multinazionali del settore con i loro interessi globali, sono in prima linea in queste operazione di 'pulizia' e a Kigali ogni giorno si adoperano per riciclare il minerale sporco che arriva con poche ore di camion dalla vicina Goma, città mineraria del Congo affollata di profughi. Da Goma senza sosta partone furgoni e pick-up colmi di coltan che superano senza problemi la frontiera con il Ruanda per giungere fino a Kagali.  

 

Goma in pochissimo tempo è infatti passata da 100.000 a 1.100.000 abitanti.

Questo numero rende l'idea del dramma in Congo: questo stato di instabilità e sfruttamento scellerato è connesso direttamente al benessere indotto dal traffico di minerali verso il Ruanda.  A Kigali i minerali di contrabbando trovano un legale riposizionamento sul mercato internazionale delle materie prime. Quanto questa situazione di instabilità possa ripercuotersi in futuro in senso negativo sul Ruanda di Kagane è sicuramente un tema di politica internazionale da non sottovalutare.


La storia del Ruanda in pieno boom economico è oggi quindi una storia che non può essere narrata senza citare quella del Congo e dunque direttamente anche la storia che riguarda la lunga scia di grandi e piccole guerre causate dagli interessi post-coloniali che i cosiddetti  gruppi di interesse francofono e anglofono hanno alimentato e ancora alimentano armando i loro attori e referenti locali.

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