La montagna triste degli Stati Generali di Fugatti e quella dei dati: unica in Italia dove non c'è spopolamento, c'è lavoro e ci sono giovani
Mentre Fugatti e la sua giunta dopo due mesi di incontri con i territori hanno elaborato un programma costruito su lamentele e proteste che andrebbe bene per qualsiasi parte d'Italia uno studio di tre anni fa della Tsm e del Cer mostrava come la montagna trentina fosse in totale controtendenza con il resto del Paese, l'unica (con Alto Adige e Valle d'Aosta) dove la popolazione cresceva anche in quota ed aumentavano i giovani

TRENTO. Sono valli e montagna ''sfigate'' quelle emerse dagli Stati Generali della Montagna che, da come sono state descritte, paiono in preda allo spopolamento, sull'orlo dell'abbandono, territori fragili e inospitali dove per fare impresa servono finanziamenti, per fare turismo servono finanziamenti, addirittura per fare figli servono finanziamenti. E pensare che solo tre anni uno studio dal titolo ''La montagna perduta'' diceva il contrario, che lo spopolamento delle aree montane è un processo che riguarda tutta Italia ma non due regioni, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, dove la popolazione è aumentata. E, udite udite, si specificava che in montagna c’è una popolazione giovanile percentualmente molto più alta della media nazionale (ovviamente nessuno sottovaluta il problema della denatalità del nostro Paese, vero grande tema da affrontare ad ogni livello e con tutte le forze possibile QUI ARTICOLO ma non in modo strumentale e demagogico).
Insomma da un lato i dati, dall'altra la percezione che in quest'epoca pare essere quel che conta davvero. E a questa a fatto fede il percorso lanciato due mesi fa da Fugatti e la sua giunta. Un percorso teso a raccogliere le lamentele di ogni territorio, ''liste della spesa'' di opere e interventi da recepire passivamente senza controproporre un progetto politico forte, chiaro, alternativo. Bene l'operazione di ascolto dei territori ma fondamentale sarebbe stato presentarsi già con le idee chiare per spiegare ai vari rappresentanti di zona, categoria, amministrazione il proprio progetto da arricchire, semmai, con istanza e proposta locali, perfezionarlo, renderlo concreto ed efficace.
Si è fatto viceversa e così ci si è ritrovati con una summa di luoghi comuni e banalità (QUI ARTICOLO SUI RISULTATI DEGLI STATI GENERALI) che potrebbero andare bene ed essere riproposti in qualsiasi altro territorio d'Italia. Insomma il Trentino della giunta leghista pare sempre più confuso, caotico, assillato da problemi e disagi, ostaggio nelle città di criminali e spacciatori e nei boschi di fiere feroci, lupi e orsi famelici. D'altronde la paura fa 90 ed evidentemente fa voti e così anche a livello di narrazione, il Trentino è sempre meno ''speciale'', sia nei problemi da risolvere che nelle soluzioni che vengono proposte per affrontarli e così l'autonomia diventa un ricordo e il Trentino modello ammirato in ogni campo finisce per essere dimenticato.
Come sembra ci si sia già dimenticati della ricerca promossa da CER (Centro Europa Ricerche) e tsm-Trentino School of Management e realizzata, nel 2016, da un gruppo di lavoro composto da figure di primo piano come Gianfranco Cerea, Stefano Fantacone, Petya Garalova, Mauro Marcantoni e Antonio Preiti. Uno studio che raccontava del lento declino della montagna in tutta Italia, dello spopolamento e dei problemi legati all'invecchiamento della popolazione di montagna ma che segnalava come proprio il Trentino grazie alle politiche di questi ultimi decenni aveva rappresentato un modello in controtendenza.
''La popolazione italiana - si legge nello studio - negli ultimi 60 anni è cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse circa 900 mila. Tutta la crescita, in pratica, si è concentrata in pianura (8,8 milioni di residenti) e collina (circa 4 milioni). (...) Dal report emerge che lo spopolamento delle aree montane è un processo non uniforme, perché in due regioni, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, la popolazione è aumentata. La dotazione di infrastrutture, un’accessibilità maggiore ai servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione, trasporti), una qualità della vita civile elevata ne hanno determinato la crescita. I comuni montani non si sono spopolati, anzi hanno accresciuto la loro popolazione, laddove i servizi sono efficienti e l’agricoltura ha saputo trasformarsi seguendo criteri di grande modernità''.
Lo studio mostra la crucialità delle infrastrutture come elemento per mantenere le persone in quota e si aggiunge che ''lo spopolamento della montagna non è inesorabile, insomma non dipende semplicemente dall’orografia, ma dipende dalle politiche, e precisamente dalle politiche pubbliche''. E queste politiche pubbliche in Trentino ci sono state, senza Stati Generali della Montagna ma con delle visioni, dei progetti, degli investimenti mirati. ''Mentre la popolazione del Trentino-Alto Adige cresceva del 41% in 60 anni, e della Valle d’Aosta del 36% - prosegue il report - la popolazione montana della Puglia addirittura crollava del 67%. I dati evidenziano che l’aumento della popolazione nel Trentino-Alto Adige oltre a essere stata sostenuta dalla crescita naturale, è stata in buona parte rafforzata dalla migrazione di persone provenienti dal resto del paese. Una caratteristica del Trentino-Alto Adige, soprattutto in questo caso della provincia di Trento, è di essere il maggiore attrattore delle migrazioni interne''.
E la visione che ne esce è tutt'altro che quella di una montagna ''sfigata'' che necessita di finanziamenti provinciali in tutto e per tutto. ''Per le due province di Trento e di Bolzano - vi si legge - in montagna c’è una popolazione giovanile percentualmente molto più alta della media nazionale; l’agricoltura è praticata, ma non lo è solo dalle popolazioni anziane, ma anche dai più giovani e la montagna perciò non coincide né con l’età avanzata, né con funzioni economiche arretrate. Ovviamente siamo quanto di più lontano si possa immaginare rispetto all’immagine di un territorio montano non solo spopolato, ma povero e in disarmo. Tutt’altro. La ricchezza della provincia di Bolzano, calcolata pro-capite è di quasi 40mila euro l’anno e quella del Trentino supera i 30mila''.
E se da un lato le industrie finiscono inevitabilmente per concentrarsi vicino alle città e in pianura c'è un turismo moderno e al passo con i tempi che permette di anticipare le mode e che si trasforma nella vera industria della montagna. ''Un terzo fattore discriminante - spiega ancora il report - che agisce questa volta anche all’interno delle stesse aree montane, è lo sviluppo del turismo: solo nelle province di Trento e di Bolzano e in qualche comune della provincia di Belluno e della Toscana vi è stato uno sviluppo turistico in montagna. In tutto il resto del territorio nazionale, l’offerta alberghiera in montagna è rimasta stabile, in molti casi insufficiente o inesistente. Eppure, proprio lo sviluppo del turismo rappresenta uno dei fattori fondamentali di sviluppo dei territori montani. Il turismo in qualche modo ha supplito alla mancanza di uno sviluppo industriale''.
Non una montagna che si piange addosso ma una montagna che pensa al domani, guarda al futuro, condivide con la politica idee e strategie e le attua facendo uno sforzo di sistema per restare modello. ''Quando la montagna assume su di sé la consapevolezza e la necessità di politiche all’altezza delle sue maggiori difficoltà, ecco allora che ciò che è problematico costituisce una spinta maggiore allo sviluppo. La montagna - concludeva il report - raggiunge una qualità della vita civile elevata, le imprese non hanno penalizzazioni logistiche supplementari, la vita delle famiglie è comoda abbastanza quanto quella di chi vive in pianura e questo insieme di cose, invece di essere motivo di emigrare, insomma di spopolamento, diventa una ragione d’attrazione; di qui la crescita demografica''.
Un esempio per tutti, il tema grandi carnivori: continuare a gridare al lupo al lupo o all'orso all'orso senza fare nulla di nulla non può che indebolire la comunità e l'immagine del Trentino scontentando tutti, da quelli che stanno con il grande carnivoro a quelli che ne hanno paura. E' l'unica strategia clamorosamente sbagliata alla quale affidarsi per il Trentino (ha un solo risultato: far crescere i voti in campagna elettorale ma prima o dopo la campagna elettorale finisce, speriamo). Si pensi al contrario alle soluzioni, che esistono, si torni a fare fatica, a informare la popolazione a spiegare ai residenti come comportarsi, agli allevatori come difendersi e come convivere con questi animali e li si metta nelle condizioni di farlo. C'è da rimboccarsi le maniche, tutti. Fare gli ''sfigati'' è molto più facile, piangersi addosso, poi, va incredibilmente di moda. Ma la gente di montagna è di un'altra pasta e può esigere dalla politica molto di più.