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Coronavirus, Feller: "Durante il lockdown le famiglie dei malati di Alzheimer si sono sentite abbandonate"
Sandro Feller, presidente dell’associazione Aima spiega che in Trentino ci sono circa 8mila persone con Alzheimer: "L’aspettativa di vita è sempre più alta, e siccome il rischio di malattia è legato ad età che vanno dagli 85 anni in su, allora è chiaro che negli ultimi anni ci sia stato un aumento di casi. Bisogna tenere alta l’attenzione di tutta la società e anche della classe politica che deve pensare a delle giuste politiche assistenziali"

TRENTO. Oggi, 21 settembre, è la giornata mondiale dell’Alzheimer. In Italia sono circa 600 mila le persone affette da questa demenza degenerativa, e ogni anno nel mondo si registrano quasi 10 milioni di nuovi casi. Una problematica che merita attenzione e assistenza, e che durante il periodo di lockdown ha messo a durissima prova le persone affette da questa patologia ma soprattutto le loro famiglie. Su questo tema abbiamo intervistato Sandro Feller, presidente dell’associazione Aima.
Che cos’è l’Alzheimer?
Si tratta di una malattia neurodegenerativa. Questo significa che le cellule che compongono il sistema nervoso degenerano e quindi muoiono. Questo avviene nella maggior parte dei casi in maniera lenta ma progressiva, comportando una sintomatologia che nelle prime fasi si presenta come un disturbo delle funzioni cognitive, difficoltà nelle capacità logiche e critiche, e nella maniera di assumere dei comportamenti adeguati nei contesti sociali. Nelle fasi finali invece si va incontro ad un peggioramento, dalla difficoltà nel camminare all’alimentarsi. Si tratta di un decorso che attraversa varie fasi.
Esiste una cura?
Non esiste una cura farmacologica vera e propria, e per questo si è lavorato sempre più, negli ultimi anni, sulla prevenzione. Alcuni accorgimenti come il seguire uno stile di vita adeguato, dal fare attività fisica, al seguire una corretta alimentazione, passando per il mantenere attiva la mente con degli interessi, possono prevenire il presentarsi di questa patologia.
Come hanno vissuto i malati di Alzheimer il lungo e difficile periodo di lockdown dovuto alla pandemia?
Le persone con Alzheimer, così come tutte le altre, hanno vissuto un periodo in cui la socialità si è praticamente azzerata. Questo è stato un grande problema, perché i rapporti sociali sono stimolanti e danno vivacità. Sono venuti a mancare dei pilastri fondamentali. Non c’è più stata la persona che ti veniva a trovare e dare conforto. È mancato tutto questo. Le persone si sono trovate prive di punti di riferimento. Si dice che la solitudine sia di per sé una condizione morbosa: le persone che vivono da sole hanno infatti un’aspettativa di vita ridotta rispetto a chi pratica la socialità.
E le famiglie dei pazienti come hanno vissuto questo periodo?
Quando si parla di Alzheimer, non si ammala solo la persona, ma tutta la famiglia. Durante il lockdown moltissime persone si sono trovate da sole a dover fornire assistenza ai loro familiari in difficoltà. Questo comporta uno sforzo fisico, uno sforzo economico non indifferente, ma soprattutto uno sforzo emotivo. I servizi sono venuti mento, e così le famiglie hanno avuto la sensazione di essere abbandonate a loro stesse.
Quali sono gli aspetti più importanti per una persona con Halzeimer?
Non deve mancare un’ottima assistenza a domicilio con personale qualificato e su cui la famiglia del malato può fare riferimento.
E’ sempre maggiore la necessità di parlare di questa condizione?
Sicuramente. L’aspettativa di vita è sempre più alta, e siccome il rischio di malattia è legato ad età che vanno dagli 85 anni in su, allora è chiaro che negli ultimi anni ci sia stato un aumento di casi. In Trentino si contano circa 8 mila persone con Alzheimer, e l’incidenza nel mondo continua ad aumentare. C’è molto bisogno di tenere alta l’attenzione di tutta la società e anche della classe politica che deve pensare a delle giuste politiche assistenziali.