Corridoi umanitari, un'altra famiglia di profughi siriani ospitata a Trento. ''Scappano dalla guerra, hanno bisogno di aiuto''
Fanno parte del primo gruppo arrivato in Italia legalmente attraverso le associazioni umanitarie. Civico: "Queste persone si sentono accolte ancora prima di partire,modello che funziona e che permette viaggi sicuri"

TRENTO. "Benvenuti in Italia". C'era scritto questo sullo striscione appeso all'interno dell'aeroporto di Fiumicino. I profughi siriani arrivati a Roma dal Libano, dal Paese dove per troppo tempo hanno abitato nelle baraccopoli degli sfollati della guerra, erano veramente i benvenuti.
La loro storia inizia tra le macerie delle loro case e arriva fino in Trentino. Passa attraverso un corridoio umanitario aperto dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Tavola Valdese, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche.
Un salvacondotto legale, un percorso sicuro che evita a coloro che scappano dalla guerra la tragedia dell'attraversamento del mare che uccide, o di confini e fili spinati che di cui è disseminata, purtroppo, anche la civile Europa.
In Italia sono arrivati in 31, altri sono atterrati o atterreranno presto anche a Parigi, in Belgio, anche ad Andorra, nel piccolo Stato sui Pirenei che seppur piccolo ha deciso di accogliere chi ha bisogno di aiuto. Il modello dei corridoi umanitari funziona ed è 'copiato' anche da altri Paesi europei.
Nel novembre scorso il Governo ha rinnovato il protocollo d'intesa con le associazioni umanitarie. Il primo era scaduto, era stato siglato nel 2015 e ha portato in Italia mille profughi siriani. La famiglia ospitata a Trento faceva parte di questo primo gruppo.
A questa ora se ne aggiungerà un'altra, un'altra famiglia siriana a Trento. Saranno accolti due adulti e cinque bambini, tra i primi arrivati in Italia in seguito a questo nuovo accordo che porterà nel nostro Paese altre mille persone.
Persone che hanno visto la guerra, che hanno conosciuto la prigionia, che hanno provato sui loro corpi la violenza e la tortura. Tra loro molti bambini segnati dal conflitto che non ha risparmiato niente e nessuno, che ha obbligato migliaia di uomini e donne a lasciare le loro abitazioni.
Bambini che ora hanno bisogno di cure mediche, e due di loro - appena sbarcati a Fiumicino - sono stati ricoverati all'ospedale Bambino Gesù. Tra questi uno dei piccoli che arriveranno con la famiglia, con gli altri quattro fratelli e con i due genitori.
I corridoi umanitari permettono a queste persone di arrivare qui in piena sicurezza, di sbarcare sul territorio italiano con un titolo di soggiorno in mano: richiedente protezione umanitaria. La trafila dell'identificazione, dell'istruttoria dei singoli casi è già stata fatta in Libano.
Il visto è dato dall'ambasciata italiana in Libano e la pratica per l'ottenimento dell'asilo politico è già avviata. A queste famiglie, a questi bambini, si cercherà di dare un futuro in Italia, una speranza di vita migliore che altrimenti non avrebbero mai potuto nemmeno immaginare.
Ma anche i corridoi umanitari producono i trauma della separazione. Si salvano vite, è vero, si dà speranza: ma qui non inizia una vita nuova, non da zero. E l'errore più grande che si possa fare è quello di sentirci, ancora una vota, gli europei che hanno in mano i destini degli altri.
Ma c'è anche un altro errore imperdonabile, quello di festeggiare gli arrivi in pompa magna e poi lasciare queste persone al duro percorso di adattamento. Sono persone che hanno lasciato la casa, gli affetti, la loro cultura e la loro lingua.
Anche Mattia Civico era tra i trentini che si sono recati in Libano per accompagnare nel viaggio verso l'Italia i 31 profughi siriani. Il consigliere provinciale ha spiegato con parole semplici la validità di questo progetto: "Queste persone si sentono accolte ancora prima di partire".
Ad aspettarle, ad andare loro incontro, non sono burocrati sconosciuti ma operatori e volontari che hanno già predisposto l'accoglienza, che con queste famiglie stipulano un'alleanza. Che incontrano i profughi in Libano, che con loro costruiscono il percorso e il progetto, che accolgono e raccolgono le vite difficili di chi è obbligato alla fuga.
"Questo è il presupposto della buona integrazione", spiega il consigliere provinciale. Ma non sarà facile dimenticare la guerra, lasciare il luogo in cui si è nati e cresciuti. Toccherà a tutta la comunità accogliere queste persone. Il presupposto all'integrazione siamo tutti noi.
