Ottant'anni fa cominciava la Seconda guerra mondiale. L'invasione della Polonia come apice di un processo già iniziato decenni prima
Si celebra in questa giornata l'ottantesimo anniversario dell'inizio della Seconda guerra mondiale. Ma fu quell'1 settembre 1939 l'inizio della fine? O forse fu solo una conseguenza logica di un processo già in atto?

TRENTO. Gli eventi in storia sono solo l'eruzione di un vulcano la cui lava cova nelle viscere della montagna. Quell'1 settembre 1939, quando le truppe tedesche passarono il confine polacco accompagnate dal fuoco degli Stukas, la guerra aveva già bagnato di sangue l'Europa, in quella che negli ultimi secoli non era che una punta periferica della sua storia, la Spagna, come d'altro canto la smania di territori tedesca aveva già messo le mani su Cecoslovacchia ed Austria.
Fu sì l'inizio della fine, quella famosa palla di neve che rotolando e rotolando si trasforma in valanga, ma una fine già preannunciata dalla montante aggressività degli stati fascisti come dall'inerzia delle deboli ed egoiste nazioni democratiche, incapaci di opporsi con una strategia unica ed efficace. Durò quattro settimane la resistenza polacca, prima di capitolare completamente di fronte alla superiorità militare tedesca.
L'invasione tedesca della Polonia determinò da principio l'entrata in guerra a fianco dello Stato slavo di Francia e Inghilterra. L'Urss, dal canto suo, isolata dalle forze democratiche nella Guerra civile spagnola, impreparata militarmente ed economicamente ad affrontare la macchina da guerra nazista, scandalizzava i comunisti di mezzo mondo invadendo la parte orientale della Polonia e palesando un'intesa per la non-aggressione con il Reich.
Il famoso patto Molotov-von Ribbentrop, dal nome dei due ministri degli esteri di Unione Sovietica e Germania, ebbe come maggior vittima la Nazione polacca, la cui giovane vita veniva nuovamente stroncata dai due scomodi e storici vicini. Il suo territorio veniva così smembrato, mentre milioni di cittadini polacchi venivano sottoposti a enormi scambi e trasferimenti di popolazione.
Se nelle città polacche si addensavano le oscure nubi della ghettizzazione degli ebrei e della deportazione degli oppositori politici, sociali e razziali del nazismo, nella parte orientale l'esercito – nei suoi ranghi più alti, dove stavano i “nemici di classe” sovietici - veniva annientato nei campi di prigionia e nei boschi alle attuali frontiere con Bielorussia ed Ucraina.
L'1 settembre 1939 l'impalcatura di Versailles, che già cadeva a pezzi da qualche anno, crollava definitivamente. Mentre in Italia il revanscismo fascista si era già manifestato negli anni '20 con la questione fiumana e gli accordi col neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, la Germania aveva rialzato prepotentemente la testa grazie all'ascesa di Hitler, che mano a mano strappava al debole consesso internazionale territori e libertà d'azione, per il riarmo e per il pagamento delle odiose riparazioni di guerra.
A Polonia invasa la Germania aveva già recuperato Ruhr (1925) e Saar (1935), occupate militarmente dagli alleati dell'Intesa, annesso l'Austria dopo averne abbattuto le resistenze clericofasciste (marzo 1938) e sottomesso indiscriminatamente l'intera Cecoslovacchia, dopo che nella conferenza di Monaco Francia, Italia a Inghilterra avevano acconsentito all'occupazione della regione a maggioranza tedesca dei Sudeti (settembre 1938).
Se la Germania da una parte rialzava pericolosamente la testa, sollevando sempre più l'asticella delle sue rivendicazioni – grazie anche alla debolezza della Società delle Nazioni e delle potenze liberali e democratiche -, dall'altra le fratture nel comparto europeo si dimostravano sempre più profonde. La Guerra civile spagnola e l'invasione italiana dell'Etiopia spingevano il Regno d'Italia verso le braccia tedesche, in un fatal abbraccio sancito formalmente dalla firma del “Patto d'acciaio” (maggio 1939).
Gli Usa, intanto, proseguivano nella loro politica isolazionista, specie dopo il mal digerito intervento nella Grande Guerra, che costò loro più di 117mila vittime in appena un anno di conflitto. Svizzera e Paesi scandinavi, fiutando l'aria di guerra, dichiararono la loro neutralità ancor prima che scoppiasse.
L'Italia, a invasione della Polonia cominciata, fu informata solo a cose fatte e decise. La stizza di Mussolini, che già si era manifestata di fronte alla scarsa attitudine tedesca ad agire di concerto con l'alleato nel caso cecoslovacco – l'Italia “in risposta” invase ed occupò l'Albania -, si manifestò con la scelta di dichiarare la “non belligeranza”, una sorta di ambiguo eufemismo teso a nascondere l'impreparazione dell'esercito. Tutto ciò mentre in Alto Adige le autorità fasciste cercavano di velocizzare il deflusso degli Optanti verso il Reich, preoccupati della sempre più pesante interferenza tedesca.
La fine era già iniziata, pertanto, e in quel primo settembre di 80 anni fa non si decideva altro che di assecondarla.