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Dal naufragio di Lampedusa alla giornata per le vittime dell’immigrazione: conta più un migrante morto di uno vivo?
A cosa serve la giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione, istituita dal Parlamento italiano dopo i tragici naufragi di Lampedusa dell’ottobre 2013? Qual è la sua funzione, se in mare e nelle rotte migratorie si continua a soffrire e a morire?

TRENTO. Il 3 ottobre 2013 di fronte all’isola di Lampedusa un peschereccio con a bordo oltre 500 persone rimane fermo in panne. Sono circa le 3 di mattina e i ripetuti segnali di SOS non hanno ancora ricevuto una pronta risposta. Per attirare l’attenzione, si decide di dare fuoco ad una coperta. Ma la scelta è destinata a ripercuotersi pesantemente su dei passeggeri esausti e spaventati. Il fumo spinge parte di loro a concentrarsi su un lato dell’imbarcazione, causandone il ribaltamento. Il peschereccio gira più volte su sé stesso, poi cola a picco.
Degli oltre 500 passeggeri, ne moriranno 368. Ci sono molti bambini e donne, in gran parte le vittime sono eritree. È ormai passata l’alba quando sul posto si dirigono imbarcazioni di pescatori, poi la guardia costiera. Il soccorso riesce a mettere in salvo diversi naufraghi ma le vittime sono numerosissime. Per recuperare i corpi, tra le acque oleose a causa delle perdite di carburante, ci vorrà una settimana.
Lo shock, grazie anche alle immagini circolate presto in tutto il mondo, è fortissimo. I conflitti di giurisdizione fra Italia e Malta, la latitanza delle istituzioni europee, le politiche migratorie dei Paesi dell’Unione salgono colpevolmente agli onori della cronaca solamente di fronte all’immane dramma. Il presidente della Commissione europea Manuel Barroso e l’allora primo ministro italiano Enrico Letta si recano a Lampedusa, vengono accolti da una folla indignata e contestati, i volti attoniti di fronte a decine di bare messe in fila nell’hangar dell’aeroporto.
È il 2015, d’estate, quando il Parlamento italiano istituisce una giornata nazionale di ricordo delle vittime dell’immigrazione. Promulgata nel marzo successivo, la legge individua la data adatta proprio nel 3 ottobre.
Sul fronte dei naufragi, però, la situazione sarà destinata ad alterne fortune. A pochi giorni dalla tragedia di Lampedusa, l’11 ottobre 2013 un’altra imbarcazione colerà a picco a 60 miglia a sud dell’isola. A bordo vi sono circa 160 persone, per lo più siriani fuggiti dal proprio Paese in guerra. Un’altra volta i conflitti di giurisdizione fra Italia e Malta portano a ritardi nei soccorsi.
Qualche giorno dopo, il governo Letta dà avvio all’operazione Mare Nostrum, con un notevole dispiegamento di mezzi, tra elicotteri, aerei da ricognizione, droni e navi per evitare episodi simili a quanto avvenuto in quel tragico inizio d’ottobre del 2013. Solo un Paese europeo, seppur piccolo e non interessato dagli sbarchi, la Slovenia, decide di aiutare l’Italia, inviando un’imbarcazione. Mare Nostrum salverà 150mila persone, 3000 saranno invece le vittime (Alessandro Triulzi). Un anno dopo, a fronte dei costi proibitivi e della mancanza di sostegno da parte dei Paesi dell’Unione, l’operazione verrà sostituita da Triton, missione gestita dall’agenzia europea per i confini Frontex. Le vittime – in un’operazione che prevede il contributo volontario dei singoli Stati – aumentano.
In un contesto del genere, viene automatico chiedersi quanto abbia inciso l’istituzione di una giornata commemorativa. Se è vero che il suo scopo risiede nell’alimentare la riflessione sui propri valori, il bilancio successivo all’entrata in vigore della legge 45/2016 appare impietoso. Dagli accordi con la Libia alle politiche proibitive verso le navi delle Ong, l’Italia ha più volte indurito il suo volto di fronte alle partenze dalle coste meridionali del Mediterraneo, opponendo sempre più ostacoli non solo ai migranti ma perfino alle organizzazioni deputate a soccorrerli.
In un Paese caratterizzato per decenni da un saldo migratorio negativo, dove tuttora, in diverse parti, l’emigrazione appare la soluzione migliore per fuggire da disoccupazione e mancanza d’opportunità, la discussione continua a gravitare attorno alla demonizzazione dell’immigrazione economica - oltre che dell'accoglienza, come dimostra il caso di Mimmo Lucano. Ed il migrante, dunque, finisce per essere degno della nostra attenzione più quando si trasforma in vittima innocente degli scafisti che non quando langue in un lager libico.
L’accento vittimistico, dunque, sposta il focus dalle responsabilità dei Paesi ricchi e dalle falle del sistema d’accoglienza, concentrandosi sulle vittime, per definizione prive di colpe. Gli sbarchi intanto proseguono e la ruota continua a girare.