Storia del Panaton (diventato tradizione grazie ad Angelo Motta) e del Pandoro (nato dall'Offella) per arrivare a Bruno Barbieri, Niko Romito e i prodotti dolomitici
Viaggio attraverso la storia di due (anzi tre) dei prodotti diventati simboli del Natale e delle festività ma ormai punti fermi della tradizione culinaria italiana tanto da essere prodotti anche dai grandi chef stellati: ecco tutto quel che c'è da sapere per sedersi a tavola ben informati

TRENTO. Natale e Capodanno, due ricorrenze buone per antonomasia. Attese per la golosità, per la gioia di festeggiare in famiglia, tra buoni pensieri, doni e altrettante leccornie. A partire dalle specialità dolciarie. Una sequenza decisamente invitante: dal panettone al pandoro, poi l’immancabile zelten dolomitico. Ma andiamo per ordine.
Il panettone è un simbolo inconfondibilmente natalizio. Non si sa chi l’abbia inventato e, a tal proposito, ci sono diverse leggende: la più accreditata ci porta alla corte degli Sforza, ai tempi di Ludovico il Moro. Tuttavia, la tradizione di servire una fetta di pane fatto con farina di frumento, detto Pan de Sciori o Pan de Ton, durante la Vigilia era già stata documentata nel 1470, mentre il termine Panaton ha fatto capolino tra le pagine del dizionario meneghino per la prima volta nel 1606.
A quei tempi, era ancora solo un grande pane, per rubare la definizione del ‘600. Sarà forse qualcosa di più a partire dall’Ottocento, quando è diventato un dono di riconoscenza diffondendosi da nord a sud. Ma è stato il pasticciere Angelo Motta, nel 1919, l’artefice di una vera e propria rivoluzione nella preparazione del panettone, così potente da diventare tradizione. Fu proprio lui a rivisitare il tipico dolce natalizio che, ispirandosi al kulìč di origine russa, aggiunse più burro e uvetta e ritornò alla lievitazione naturale.
Al giorno d’oggi, il consumo del panettone non riguarda più solo il giorno di Natale ma si estende all’intero periodo delle feste, dando così l’opportunità ai buongustai di assaggiare diverse proposte artigianali e non. Il mercato infatti propone oramai numerose alternative, che vanno dal panettone tradizionale a quello glassato, farcito di gelato, salato e chi più ne ha più ne metta. Coinvolgendo non solo pasticcerie o panificatori, ma pure i cuochi più impegnati, chef stellati oltre che stellari.
Panettone d’autore dunque, anche se molti amano anche il pandoro. Che ha origini altrettanto intriganti. Legate alla preparazione del dolce veronese chiamato Nadalin, pane di questa festa a forma di stella e poco lievitato. Origine leggendaria che lo fa risalire al 1283 per merito dei nobili Scala. Preparazione evoluta negli anni, fino a sfornare un pandolce chiamato Offella e successivamente uno a forma a stella più strutturata, quasi verticale: il Pandoro. Due prodotti scaturiti dal Nadalin, evoluti grazie ad una lunga e plurima lievitazione, a differenza del padre rimasto di bassa statura e di consistenza biscottata, si sono sviluppati in altezza acquisendo una deliziosa morbidezza. Poi una lenta evoluzione che nell’Ottocento consentirà di gustare prima l’Offella e successivamente il Pandoro.
In documenti conventuali della fine del Settecento si parla di un pane dolce, diverso dal Nadalìn, impastato con farina, burro, uova e zucchero e prodotto in numerosi esemplari dalle monache di un convento veronese per regalarlo ai benefattori che, date le quantità impiegate di uova, burro, zucchero e farina, non dovevano essere pochi. Nel XIX secolo, grazie anche all'influenza dei maestri pasticcieri austriaci arrivati a Verona con l'esercito asburgico, specialisti in linzertorte, kipferl viennesi, gugelhupf (somiglia nella forma al pandoro) e altri burrosi impasti ricchi d'uova e più volte lievitati, il pane di Natale si evolvette dal Nadalìn all'Offella e al pandoro, catturando i palati dei veronesi e quelli degli italiani.
Offella, perché?
La parola ‘offella’ nasce latina. L'offa presso gli antichi Romani era una rotonda focaccia di farina o di farro. Gli àuguri nutrivano con piccole offe i polli sacri che usavano per i loro vaticini. Virgilio nel canto VI dell'Eneide racconta di un' offam soporatam, soporifera, fatta con miele e farina data in pasto a Cerbero, il cagnaccio infernale con tre fauci, per addormentarlo. Tante altre citazioni gastronomiche. Tra Torquato Tasso e i Maestro Martino da Como, nel XV secolo, tra i primi scrittori di cibo, Pure Pellegrino Artusi elenca ricette per elaborare ‘offelle’ con marmellata o di marzapane. Tempi e modi di cottura subito applicati da alcuni pasticceri veronesi, gli Scarpato a Villa Borromea e la maestria dei Perbellini, a Bovolone, dove dal 1891 si sfornano tipiche Offella d’autore.
Passato e presente s’incontrano però sul panettone. Al punto che una miriade di cuochi lo sfornano anche tutto l’anno. Cimentandosi in minuziose variazioni. A livello italiano sono scesi in campo chef iper blasonati. Che propongono panettoni davvero esclusivi. Come Niko Romito, che per 150 euro ne offre uno all’interno di una scatola rossa telata, avvolto da un sacchetto di lino. La consistenza è soffice – merito del lievito madre ottenuto dalla fermentazione delle uve del vigneto di Casadonna – e gli ingredienti sono selezionati con rigore e attenzione al biologico, dalla farina di grano tenero alle uova, dalle bacche di vaniglia Bourbon alle scorze d’arancia, passando per il burro da panna fresca, il miele di agrumi e l’uvetta sultanina.
Più economici (55 euro) ma non per questo meno buoni, il panettone classico realizzato eseguendo un lungo processo che prevede quattro lavorazioni dell’impasto, tre fasi di fermentazione e che sostituisce parte del burro con un’emulsione di mandorla biologica siciliana e la variante con cioccolato monorigine Tanzania. Molto interessanti le proposte di Viva, il ristorante con una stella Michelin in cui la chef Viviana Varese propone diverse chiccherie, a partire dal panettone con cristalli di gelatina d’acero e zollette di zucchero d’acero e proseguendo col classico in cui l’attenzione alle materie prime si spreca: canditi fatti in casa con arance e limoni bio, planifolia di vaniglia bio del Guadalupe e di Tahiti. Altra proposta molto allettante è il panettone Lampone-issimo, con cioccolato fondente e quello ispirato al Lampone della Valrhona. Completa le proposte il panettone Cappuccino, con caffè arabica e cioccolato biondo Dulcey. Il prezzo, in tutti i casi, è di 74 euro.
Bruno Barbieri, 7 stelle Michelin, propone un panettone tradizionale che, oltre a custodire un’inevitabile bontà, si fa anche portavoce di una buona azione. Parte del ricavato, infatti, sarà devoluto all’ANT (Associazione Nazionale Tumori). A renderlo speciale al palato, gli agrumi canditi e l’uva sultanina amalgamati in un impasto eseguito con pazienza, quella necessaria al lievito madre affinché faccia crescere il volume di questo dolce tradizionale che vede in un cappello di zucchero, nocciole e mandorle italiane l’estrema conclusione estetica di una prelibatezza tutta italiana. Il prezzo è di 45 euro.
Panettone anche dolomitico. Tra i primi a cimentarsi lo staff di cucina di Norbert Niederkofler e via via tutta una serie di cuochi della montagna. Singolare quello di Alessandro Gilmozzi, chef de ‘el Molin’ di Cavalese, massima cura nella scelta dei tradizionali ingredienti e precisa, maestri nella cottura e nell’offerta, per una produzione limitata e super richiesta dai bongustai. E ancora: sfruttare la genuinità dell’olio extravergine d’oliva del lago di Garda al posto del burro, per ottenere panettoni molto più digeribili e legati alla coltura territoriale. Doverosa attenzione anche tra i panificatori. E tra questi l’azienda diretta dai Piffer, i due fratelli del Panificio Moderno d’ Isera. Ben quattro le versioni del dolce di questo Natale 2022. Tutti basati sul ruolo del lievito madre, per una composizione che spazia tra ingredienti come arancia, cedro e canditi, ma anche con variazioni a base di mandarino e cioccolato fondente, pure una versione con il caffè e - davvero insolito - il panettone con caramello, noci e mou, che sarà proposto solo da tre sfornate.
Tutti gli ingredienti sono improntati alla sostenibilità, acquistati da associazioni che si battono per la tutela dei lavoratori. Di zelten, leggerete tra qualche giorno.