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I volontari di Strada, quelli che piazza Dante la conoscono più di tutti: "Non è come ve la descrivono"
In questi giorni in piazza Dante c'è il deserto. “Ci sono camionette ovunque, polizia dappertutto. Non ci vivono i migranti ma non ci vivono nemmeno le tanto invocate famigliole trentine con i bambini: spaventa anche loro questo stato di assedio”

TRENTO. Loro in piazza Dante ci vanno da più di vent'anni, “erano gli anni '90 quando è stato fondato il primo gruppo di Volontari di Strada”. Due volte alla settimana per incontrare la marginalità sociale.“Noi incontriamo tutti, senza distinzioni, il nostro obiettivo è quello di entrare in relazione con tutti”.
Forse, assieme alle Forze dell'ordine, sono quelli che maggiormente conoscono la piazza. Spiegano che i contatti con i nuovi arrivati, con i centrafricani, con coloro che sono accusati di aver destabilizzato gli equilibri della piazza, sono difficili.
“Tendono a fare 'ghetto' a fare gruppo a sé. Ma il nostro obiettivo è raggiungere anche loro”. I volontari spiegano che funziona così, che le persone straniere, quelle in fuga, che arrivano a Trento da chissà dove, tendono a costruire legami con i connazionali, “ci vuole tempo per instaurare rapporti di fiducia e conoscenza, per integrarsi”.
“La percezione -dicono – è che nessuno li abbia mai avvicinati se non per chiedere i documenti. Sono al di fuori di tutte le realtà di accoglienza, anche di quelle di bassa soglia come il Punto d'Incontro o la mensa dei Cappuccini”.
Sconosciuti anche alle politiche sociali, anonimi migranti che non si sa nemmeno se da Trento transitano, se qui hanno eletto la loro dimora in qualche casa abbandonata. Perché sono a Trento? Da che città arrivano, in quale centro di accoglienza erano? Nessuno lo sa.
“Ci siamo interrogati tanto per capire come interagire – dicono i volontari – ma è il nostro obiettivo, ad ogni uscita cercheremo di avvicinarci di più, anche spostandoci dalla nostra solita panchina. Se non vengono loro da noi, andremo noi da loro”.
I Volontari di Strada la piazza la conoscono bene, e le parti che non conoscono vogliono conoscerle ancora di più. Raccontano aneddoti, storie di vita e situazioni che pochi conoscono.
Che pochi conoscono perché pochi si fermano ad osservare piazza Dante andando oltre il pregiudizio alimentato dalla cronaca e dalla politica che la dipinge solo come luogo di delinquenza e di violenza.
“Piazza Dante non è come viene descritta – affermano convinti - non è un posto pericoloso. A noi non è mai successo niente, se litigano, litigano tra loro”.
Ammettono che “nell'ultimo periodo è cresciuto il nervosismo, si è avvertita una certa esasperazione”. Ma ripetono che mai, “non è mai successo che si temesse per la nostra incolumità, per i nostri volontari".
I volontari di strada conoscono piazza Dante ma conoscono anche la città in cui vivono, studiano e lavorano. “La piazza è vissuta come un problema per tutta Trento – dicono – ma si estremizza troppo, si attacca la piazza e tutti i sui abitanti senza fare distinzioni".
“E poi – spiegano – ci si lamenta perché c'è lo spaccio. Ma chi sono i clienti di questi spacciatori? Sono i figli dei trentini, non sono certo gli stessi stranieri. Fino a quando ci sarà chi chiede droga ci saranno gli spacciatori, questa è la legge di mercato. E se la polizia ne arresta dieci, ci saranno sempre altri dieci che accettano di spacciare per poter guadagnare qualcosa”.
“Ma crediamo veramente che queste persone siano partite dal loro paese con l'intenzione di venire in Italia a delinquere, a spacciare dieci euro di 'fumo'?”, chiedono i volontari.
E si rispondono: “Sono ventenni partiti da soli nella speranza di una vita migliore. Se finiscono in questa situazione è per colpa delle condizioni che hanno trovato, degli spacciatori che li hanno offerto protezione. Del fallimento dell'accoglienza”.
I Volontari, come dicevamo, conoscono la piazza da anni, forse sono quelli che la conoscono meglio. “Ma le istituzioni non ci hanno mai incontrato – dicono – nemmeno il Servizio di Politiche sociali".
"Solo una volta ci hanno telefonato: ci volevano dare una casetta da mettere in piazza da cui distribuire i panini. Questi – osservano – non hanno nemmeno capito la nostra filosofia: noi stiamo con loro, tra loro, alla loro stessa altezza, seduti sulla loro stessa panchina".
In questi giorni in piazza Dante c'è il deserto. “Ci sono camionette ovunque, polizia dappertutto. Non ci vivono i migranti ma non ci vivono nemmeno le tanto invocate famigliole trentine con i bambini: spaventa anche loro questo stato di assedio”.
Ma serve tutto questo? “A nulla, così si sposta solo il problema. Perché i problemi si affrontano, così si scansano soltanto, buttandoli in un altro angolo di città”.
Ma se il sindaco vi chiamasse per un consiglio? “Sarebbe bello che ad occuparsi di piazza Dante fossero le associazioni che trattano il tema della marginalità, che non si chiudono a riccio ma invece interagiscono con il mondo che le circonda".
La polizia serve. “E ci mancherebbe – dicono – deve intervenire quando ci sono illegalità, quando i comportamenti sono violenti. Ma per tutto il resto sono altri gli strumenti, sono quelli che come obiettivo hanno l'integrazione, il recupero delle persone ai margini della società”.
Costerebbe tanto affidare a operatori e ad associazioni la gestione del parco di piazza Dante? “Costerebbe sicuramente meno che il dispiegamento di polizia e carabinieri chiamati anche da fuori regione”.
Poliziotti e carabinieri che nemmeno conoscono il territorio: “Succede che durante le nostre uscite veniamo fermati, ci chiedono i documenti. Una volta, sotto il palazzo della Regione, siamo stati addirittura accerchiati dalle volanti. Per intervenire in una piazza bisogna conoscerla”.
E loro la conoscono, forse più di tutti quelli che negli ultimi giorni hanno detto tutto e il contrario di tutto, che hanno invocato l'esercito o proposto di blindare il parco senza mai chiedersi: 'Ma chi conosce veramente piazza Dante?'.