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Messi, Ronaldo, Ibra e gli altri non giocano a calcio, lo usano: ecco perché non saranno mai Maradona. Ricordo di quel 16 settembre 1984 a Verona
Il più grande giocatore di tutti i tempi è morto all'età di 60 anni. Il ricordo del giornalista Raffaele Crocco: "Con lui il calcio tornava ad essere quello che è: un gioco. Maradona si divertiva, stupiva, rendeva forti tutti i compagni di squadra facendoli partecipare alla festa, alla sua festa, condividendola. Per lui le partite – tutte, chiunque fosse l'avversario – erano uguali: puro divertimento, suo, prima di tutto"

TRENTO. Addio a Diego Armando Maradona, il mondo piange il Pibe de oro. La leggenda argentina è morta a 60 anni per un arresto cardiocircolatorio a Tigre, dove stava trascorrendo la convalescenza dopo l'operazione alla testa.
Leggenda di Napoli e del Napoli, un'icona e un eroe in Argentina. E' partito dalla periferia di Buenos Aires per salire in cima al mondo. Un giocatore immenso e una vita oltre i limiti.
Raffaele Crocco, giornalista Rai, reporter di guerra nonché presidente dell'associazione 46 Parallelo di Trento e coordinatore del progetto “Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo”, ha voluto ricordare così il più grande di sempre.
Lo so, sembra la solita storia. Però le solite storie sono le nostre storie. Io Maradona l’ho proprio amato. Io – veronese – il giorno del suo debutto in Italia c’ero. Ero lì al Bentegodi quel 16 settembre del 1984. Eravamo curiosi di vedere giocare dal vivo quella specie di marziano. Non sapevamo che quella prima giornata di campionato sarebbe stata la prima di una stagione storica, culminata con lo scudetto al Verona di Osvaldo Bagnoli.
Quel giorno eravamo lì solo perché pensavamo che di storico ci fosse il debutto di Maradona con la maglia del Napoli, nel campionato italiano. Era la certificazione che il meglio del calcio mondiale era in casa nostra, in Italia. Per Maradona non andò bene. Finì 3 a 1 per il Verona e lui, marcato dal tedesco Briegel, non vide molti palloni.
Ma Maradona era Maradona per il fatto stesso di esistere ed essere in campo. Con lui il calcio tornava ad essere quello che è: un gioco. Maradona si divertiva, stupiva, rendeva forti tutti i compagni di squadra facendoli partecipare alla festa, alla sua festa, condividendola. Per lui le partite – tutte, chiunque fosse l'avversario – erano uguali: puro divertimento, suo, prima di tutto. Non c’erano tensioni, furori agonistici, cause da difendere, machismi da affermare. Era un gioco e lui voleva giocare al meglio, da migliore.
La grandezza di Maradona era nella sua semplicità. Nel suo non aver mai voluto dimostrare nulla in campo. Era il più grande e lo è stato, non a caso, fino a quando è riuscito a giocare. Messi, Ronaldo, Ibra, gli altri, non me ne vogliano e non si pensi, per favore, che sono ricordi da reduce. I nuovi campioni sono solo macchine da soldi. Sono esseri lontani, che vivono per affermare interessi aziendali. Loro non giocano a calcio: lo usano. Per questo non saranno mai Maradona.