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Era il CR7 degli anni '20, che incantò l'Italia a suon di gol ed è sepolto a Trento. Ecco la storia di Ferenc Hirzer, il "bomber dimenticato"

Tra i migliori marcatori della storia della Juventus, il magiaro Ferenc Hirzer incantò per due anni segnando a raffica, prima di doversi trasferire a causa di una legge fascista sugli stranieri nel calcio. Passato ad allenare, girerà l'Italia fino a raggiungere nel 1956 la panchina del Trento. Qui morì l'anno successivo, ma sulle sue spoglie cadde l'oblio

Di Daniele Loss e Davide Leveghi - 28 febbraio 2021 - 10:06

TRENTO. Oggi Ferenc Hirzer sarebbe uno da Pallone d'Oro. Un attaccante con una valutazione di mercato straordinaria e un ingaggio fantascientifico, alla portata di pochi grandi Club europei. Insomma, per rendere l'idea, uno alla Lewandoski o alla Suarez.

 

Nei 124 anni della storia della Juventus, Hirzer è stato uno degli otto attaccanti capaci di segnare 25 reti in una sola stagione. Come lui solamente Bona, Felice Borel, Boniperti, Hansen, Charles, Sivori e Ronaldo. Non ci sono riusciti, in epoca modernissima, centravanti del calibro di Inzaghi, Trezeguet e Higuain. Ma Hirzer sì, anche se dopo il suo biennio in bianconero quello che poteva diventare uno dei migliori attaccanti di tutti tempi si è perso e il seguito, il percorso d'allenatore, è stato anonimo, se si eccettua un successo nel campionato di serie B con la Salernitana nel 1938.

 

Un campione del quale si è perso totalmente il ricordo, lui che è morto a Trento nel 1957. Sì, proprio qui, perché la sua ultima avventura in panchina è stata all'ombra del Bondone. Terminata anzitempo e in maniera tragica. E di lui non resta, oggi, nemmeno una lapide.

 

Quando Hirzer comincia a impressionare sui campi, alla guida dell'Ungheria, ridimensionata notevolmente nei territori ma non nelle aspirazioni dal Trattato del Trianon, c'è l'ammiraglio Miklos Horthy. Autoritario, revanscista, antisemita, cercherà di rompere l'isolamento internazionale avvicinandosi al regime di Mussolini, che nel turbolento dopoguerra italiano riuscì a modellare il movimento fascista adattandolo alle esigenze delle classi dirigenti, vestendo la reazione di un'aura di rivoluzione. 

 

Con Arpad Weisz, il calciatore e allenatore che dalla panchina vinse quattro scudetti - 1 con l'Ambrosiana e 2 con il Bologna - prima di essere deportato e morire ad Auschwitz, Hirzer componeva una vera e propria "coppia delle meraviglie" nel Torekves (traduzione dal magiaro: "sogno ad occhi aperti"), squadra che all'epoca militava nella Nemzeti Bajnoksàg I, la serie A dell'Ungheria. Weisz disegnava assist con il suo mancino prelibato e Hirzer, soprannominato "La Gazzella" per la sua velocità, segnava. Valanghe di reti.

 

Nel 1923 il Torekves disputa un'amichevole contro la Juventus: il presidente bianconero Edoardo Agnelli se ne innamora e come lui anche il figlio Giovanni, per tutti Gianni o L'Avvocato, che decidono che sarà lui l'acquisto per rinforzare l'attacco. Diventerà il primo grande straniero nella storia della Juventus della famiglia Agnelli.

 

Ma non subito, perché nella stagione 1923-1924 Hirzer, assieme a Weisz, si trasferisce al Maccabi Brno, la squadra della comunità ebraica della città di Brno. Segna ancora tanto, tantissimo e nel 1925, a 23 anni, sbarca a Torino nella squadra allenata dal suo connazionale Jenö Kàroly. Ah, nel mentre, aveva vestito anche la maglia della nazionale ungherese, che avrebbe dovuto arrivare almeno in finale alle Olimpiadi di Parigi del 1924 e, invece, uscirà dopo una clamorosa sconfitta per 3 a 0 contro l'Egitto. Weisz non giocherà alcuna partita  in quel torneo, Hirzer sì, in una squadra in cui Bela Gutmann, sì quello dell'ormai celebre "maledizione" del Benfica, era il leader carismatico, ma anche una squadra nella quale erano più gli "infiltrati", messi lì dal reggente ultranazionalista Horthy, rispetto ai calciatori.

 

In Italia esordisce segnando tre reti al Parma, poi ne fa due al Milan: alla fine saranno 35 in 26 partite disputate. Poi le cose cambiano: le prime restrizioni imposte dal Fascismo riducono a due il numero massimo di stranieri in rosa, con un'ulteriore limitazione. Due sì, ma in campo ne può andare solamente uno alla volta. Hirzer, complici anche alcuni infortuni, gioca solamente 17 partite realizzando comunque 15 reti. Alla fine della sua avventura in bianconero i gol saranno 43 in 50 partite con la certezza, si legge dalle cronache dell'epoca - che avrebbero potuto essere tantissimi di più se "La Gazzella" di Budapest avesse potuto giocare con regolarità. Deve tornare in patria e, da quel momento, la sua carriera cambierà. In peggio.

 

 

E' il 1926 quando il regime fascista riorganizza il mondo del pallone, segnando la svolta verso il professionismo. A determinare la trasformazione è la Carta di Viareggio, redatta tra gli altri da quell'Italo Foschi che fu poi prefetto di Trento tra il 1939 e il 1943 e che di tutto fece pur di mantenersi al potere - arrivò anche a denunciare le figure sospette di antifascismo, tra cui quell'avvocato De Bertolini a cui i tedeschi stessi diedero la carica di prefetto nella neocostituita Zone d'Operazione delle Prealpi

 

Improntata all'aggressiva xenofobia fascista, la regola che sbarrava le porte del campionato italiano agli stranieri stabiliva che nel giro di due anni le rose venissero ripulite da ogni giocatore estero. Una norma transitoria permise per la stagione 1926-1927 di mantenere due calciatori stranieri, a patto che solo uno scendesse sul campo da gioco. Dal '28, invece, nessuna deroga sarebbe stata concessa e così tutti gli stranieri, compresi quelli austriaci e ungheresi – figli della gloriosa "Scuola danubiana" – dovettero fare le valige.

 

Dopo aver vissuto gli ultimi anni della sua carriera da calciatore nelle serie minori del calcio francese con il Saint-Servan, nel 1935 fa rientro in Italia e intraprende immediatamente la carriera d'allenatore. La prima panchina su cui siede è quella del Mantova in serie C, che guida ad un onorevole ottavo posto nel girone A alle spalle di Venezia, Vicenza, Udinese, Padova, Treviso, Anconitana-Bianchi e Rovigo, con il Trento che, curiosità, chiuse in ultima piazza, retrocedendo nella categoria inferiore. E, altra curiosità, in quel girone militavano - tra le altre - anche la Fiumana, massima espressione calcistica della città di Fiume e il Grion Pola, fondato nel 1918 che dopo il Secondo conflitto mondiale interruppe ogni attività.

 

Dopo l'esperienza in Lombardia, Hirzer si trasferisce in Campania, alla Salernitana, dove resterà per due stagioni, raccogliendo grandi risultati alla guida dei granata. Al termine del campionato 1936/1937 la squadra è seconda alle spalle del Taranto, dominatore del torneo, mentre nel 1938 porta i campani in serie B, vincendo il girone E con due punti di margine su L'Aquila. Nonostante la promozione, a fine stagione Hirzer si trasferisce all'Anconitana - Bianchi (poi diventata Ancona), militando sempre nella serie cadetta visto che, nel frattempo, il sodalizio marchigiano aveva anch'esso conquistato il passaggio di categoria. Conclude la stagione al 12esimo posto, ma nel 1939 arriva la grande occasione della carriera.

 

L'allenatore ungherese viene chiamato in serie A dal Liguria (la "fu" Sampierdarena: la società dovette cambiare la propria denominazione e assorbì Rivarolese e Corniglianese per imposizione del regime fascista. Il sostegno economico era garantito dall'Ansaldo, confluita nel '93 in Finmeccanica), ma l'esperienza alla guida della formazione genovese durò pochi mesi, perché alla nona giornata Hirzer venne esonerato.

 

Il regolamento dell'epoca consentiva agli allenatori esonerati di guidare un'altra formazione nella medesima stagione con Hirzer che venne chiamato alla guida del Vigevano, ma non riuscì a salvare la squadra pavese dalla retrocessione dalla serie B alla C. Il ritorno alla Salernitana, in serie C, non è troppo felice con Hirzer che subisce un altro esonero e nella stagione successiva guida la Battipagliese (1941-1942). 

 

Poi trascorre due anni Perugia e, dopo la ripresa dei campionati al termine del Secondo conflitto bellico, si sposta da Nord a Sud della Penisola, allenando squadre di serie C e di Quarta Serie quali Lecce, Sestrese, Benevento, Palmese e Aosta. Nell'estate del 1956 approda al Trento. Lui ha 54 anni, la società gialloblù 35 e milita nel torneo di Quarta Serie. L'avventura di Hirzer non è troppo felice: la squadra va male (alla fine dell'anno retrocederà nel Campionato Interregionale - Seconda Categoria, l'odierna Eccellenza) e lui viene esonerato. Poco prima di essere sollevato dal suo incarico, il tecnico magiaro si ammala di una grave malattia, che lo porterà alla morte - da solo e senza nessuno al suo fianco - all'Ospedale Santa Chiara di Trento il 28 aprile 1957.

 

Quel giorno il Trento scende allo stadio Briamasco con il lutto al braccio. Di fronte gioca la squadra triestina della Ponziana, con cui gli aquilotti pareggeranno 0-0. Prima del fischio d'inizio un minuto di silenzio ricorda gli appena scomparsi Fraccaro, storico portiere gialloblù e Hirzer. E il silenzio, dopo quelle ore di vivo cordoglio, segnerà per sempre le sorti del corpo della “Gazzella”.

 

Nel cimitero monumentale del capoluogo, il giorno dopo, lunedì 29 aprile 1957, alle 14 Francesco (questa l'italianizzazione di Ferenc) fu Carlo Hirzer viene sepolto nel campo comune. Il feretro sfila per le strade della città, dall'ospedale Santa Chiara – dove, scriveva l'Adige, “stava lottando con la morte in una bianca cameretta” - al campo santo, seguito da un corteo formato dalle glorie calcistiche cittadine, dalle società sportive, dai collaboratori e dall'onorevole Renzo Helfer, al tempo presidente del Club. L'Unione sportiva Merano, avversaria degli “aquilotti”, invia una corona di fiori rispondendo tempestiva ad un appello lanciato dal giornale Alto Adige, dispiaciuto di non aver potuto dare notizia prima delle condizioni sempre più gravi del campione magiaro. 

 

“Soffrì terribilmente nell'allontanarsi dai suoi atleti, ma non discusse, non reagì – scriveva sempre l'Adige nel trafiletto dedicato alla sua morte – con la signorilità che sempre lo aveva contraddistinto, accettò la decisione a lui sfavorevole e si mise in disparte. Ora Francesco Hirzer non è più. Quietamente come aveva vissuto ci ha voluto lasciare. Ma il ricordo della sua gentilezza, della sua bontà e del suo buon animo rimarrà impresso nei nostri cuori”.

 

Sepolto, i suoi resti non vennero reclamati, e dopo due rotazioni delle tombe, come d'uso al cimitero, vennero esumati e gettati in un ossario comune. Sulle spoglie di Ferenc Hirzer, la “Gazzella ungherese” che impressionò il mondo con la sua agilità e i suoi formidabili tiri, cadde così l'oblio.

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