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Pestaggio al Prati, condannati due militanti del gruppo di estrema destra Blocco Studentesco
Sei mesi a Maurizio Zatelli e Mattia Molle per i fatti del novembre 2016. La difesa ha cercato di ribaltare tutto e far passare da vittime gli aggressori ma il giudice Serao li ha condannati e in più dovranno risarcire le vittime

TRENTO. E' finito con la condanna a 6 mesi la vicenda del pestaggio davanti al Liceo Prati avvenuto nel novembre del 2016. I due militanti del gruppo di estrema destra, Maurizio Zatelli e Mattia Molle, sono stati giudicati colpevoli per l'aggressione ai danni di alcuni studenti trentini.
Sei mesi con la non menzione, il risarcimento da definire separatamente in sede civile e una provvisionale di 1.500 euro con la rifusione delle spese di costituzione da liquidare in circa 3.700 euro. Così ha deciso il giudice Giuseppe Serao che dopo aver ascoltato requisitoria e arringhe si è ritirato in camera di consiglio per poi uscire leggendo questa sentenza.
Le parti civili, rappresentate da Nicola Canestrini e da Francesco Scifo, hanno parlato di "aggressione gratuita che alla forza del pensiero ha sostituito il pensiero della forza". Un'aggressione di matrice politica da cui le vittime si sono difese soprattutto con la querela, per far valere le loro ragioni contro chi ha preferito argomentare con calci e pugni.
La difesa ha cercato di dimostrare che le parti erano invertite, che ad essere aggrediti furono i militanti del Blocco Studentesco. Ma evidentemente il giudice non gli ha dato ascolto perché la sentenza ha confermato l'impianto del'accusa: la condanna per lesioni aggravate.
La Pm aveva chiesto 10 mesi e 20 giorni, riconoscendo l'equivalenza delle attenuanti sulle aggravanti. Serao ha invece riconosciuto la prevalenza delle prime, scontando di un poco il totale della pena comminata.
Che quella avvenuta al Prati sia stata una aggressione politica è emerso nel corso delle scorse udienze. In una di queste l'avvocato Nicola Canestrini aveva chiesto al teste se fosse suo il profilo Instagram contenente una foto che lo ritrae con la scritta "Noi vogliamo un altro Buchenwald".
Il testimone non ricordava. "Può essere", ma non lo dava per certo. "Non sono mica lì a guardare Instagram ogni momento", affermava il teste. Ma poco prima di entrare, sullo stesso profilo, postava un selfie di lui e un altro testimone scattato nel corridoio del Tribunale.
Un profilo in cui si sprecavano i riferimenti al fascismo. Oltre alla foto che inneggiava a uno dei più terribili campi di concentramento e sterminio della Germania nazista, si trovavano orgogliosi saluti romani e giovani che indossano magliette con scritto 'Fascist Love'.
E il nome utente diceva già tutto: "ZONA88", e i due numeri che nella simbologia neonazista stanno a indicare le due lettere acca, Heil Hitler. Il profilo, per la cronaca, è stato prontamente reso privato.
"E' sempre difficile far uscire il background politico all'interno dei processi - spiegava poi l'avvocato Canestrini - il giudice non ha ammesso molte domande". Però le continue insistenze della parte civile sulla natura delle idee del gruppo politico che quel giorno era davanti al Prati, un obiettivo l'aveva raggiunto.
La Pm aveva condiviso il rilievo di Canestrini e aveva di conseguenza modificato il capo di accusa: lesioni con l'aggravante di aver agito per motivi abietti. "Il fascismo è abietto - spiegava Canestrini - su questo non c'è dubbio".