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Uno scrigno tra le Alpi. Bressanone festeggia l'anno nuovo, tra spazzacamini e la storia d'uno sfortunato elefante indiano
La città vescovile, importante centro medievale, celebra in questi giorni a cavallo dell'anno nuovo le sue tradizioni. Nella giornata di Capodanno gli spazzacamini distribuiranno dolcetti ai bambini, con i volti dipinti dalla fuliggine e la nomea di essere dei portafortuna. Una facciata di un noto albergo, invece racconta un'incredibile storia di un lontano gennaio del 1552

BRESSANONE. Incastonata a metà della Valle d'Isarco, laddove l'impetuoso torrente s'ingrossa con le acque della Rienza, la città di Bressanone è luogo dove si respira storia. Importante centro religioso d'epoca medievale, sede episcopale che diede alla Chiesa un papa (Damaso II), Brixen assomiglia a uno scrigno contenente preziosi tesori.
Tra gli austeri palazzi vescovili e seminariali, racchiusi tra la cinta muraria del secolo X, la città concentra in sé secoli di splendore come di progressiva marginalizzazione. Più di un millennio di storia, tra tradizioni e racconti al limite del leggendario.
Tra le prime si ricorda quella degli spazzacamini, popolarmente indicati come portafortuna per il loro fondamentale ruolo nell'evitare gli incendi. Impegnati nella pulizia dei camini sin dal Medioevo, essi svolgevano l'arduo compito di pulire i camini rendendo minore il rischio di incendi, particolarmente deleteri in un'epoca in cui ancora non esistevano i vigili del fuoco e soprattutto i mezzi per impedire che si propagassero all'intera città.
Radicata nella storia, la tradizione degli spazzacamini vuole dunque che in occasione dell'ultimo dell'anno, gli “spazzacamini” girino per il Mercatino di Natale augurando buona fortuna per il 2020 e regalando dolcetti. Il tutto a partire dalla mattina alle 10, mentre la notte sarà dedicata ai più grandi grazie alla trasformazione della piazza del Duomo in una pista da ballo con le esibizioni live dalle 21 della band Lads e dei dj Sany e DoubleDee – fino alle 2, poi la festa continua al Club Max con possibilità di prendere la navetta gratuita da Sonnentor/Porta del Sole.
Nell'ambito dei racconti mitici, invece, c'è un dipinto che testimonia un fatto piuttosto curioso avvenuto a metà '500 nella città vescovile dove la Rienza, sgorgata dalle viscere delle Tre Cime di Lavaredo, si getta nell'Isarco lanciato verso l'Adige. Raffigurato su l'albergo che l'ospitò, la sagoma d'un elefante testimonia il suo sensazionale passaggio, diretto a Vienna come dono del re del Portogallo Giovanni III all'arciduca Massimiliano d'Austria.
Chiamato Soliman come l'autorevole e temuto sultano ottomano, l'elefante compì uno straordinario viaggio dalle colonie indiane della corona portoghese alla capitale lusitana, “spedito” poi per nave a Genova e da lì attraverso la Valle dell'Adige e le Alpi fino a Vienna, dove giunse – presumiamo infreddolito e disorientato – nel maggio 1552.
Accolto con stupore e gioia dalle popolazioni e dagli ecclesiastici della valle, venne ospitato per 14 giorni in un albergo brissinese, determinandone le successive fortune. Dal 2 gennaio 1552, infatti, l'oste Andrä Posch se ne prese cura, lasciando poi a malincuore che il pachiderma proseguisse il suo viaggio verso nord.
Le sorti di quel potente e imponente animale, però, non furono certo tra le più felici. La sua permanenza dall'arciduca sarà difatti piuttosto breve, compromessa dalla sbagliata nutrizione e, come dice la tradizione, “divorato” dalla nostalgia di casa. Morto nel dicembre 1553, non finirà di viaggiare; tanto è vero che il suo scheletro passerà in Baviera, mentre le ossa di una zampa anteriore vennero usate per creare una seduta esposta tuttora nel monastero benedettino di Kremsmünster.
Tra i portici e le viuzze del centro medievale, rimane vive la storia d'uno sfortunato elefante catapultato dall'India alle Alpi.