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Un bilancio a 265 milioni di euro per Cavit che punta a ingrandire la Casa dello spumante e potenziare le cantine controllate
Nonostante incertezze e difficoltà Cavit traccia un bilancio positivo: "Costi e ricavi in tensione ma siamo fiduciosi". Si guarda all'investimento da 35 milioni già avviato per la Casa dello spumante

TRENTO. Le bollicine in paradiso e il vino trentino controllato da Cavit che mantiene i vertici nella classifica nazionale tra riconoscibilità, consumi e specialmente valore. Con un bilancio di grande autorevolezza, quasi 265 milioni di euro, leggermente in calo rispetto al record dello scorso anno, ma un 30% in più se rapportato alle vendemmie del precedente biennio. L'Export rappresenta il 76% del fatturato. Cavit s’espande, ha già avviato il progetto che prevede 35 milioni di spesa per ampliare la sua Casa dello Spumante di Ravina. Potenziando le aziende da lei controllate, sempre con le bollicine in gran spolvero.
Oggi l’assemblea annuale - il Gruppo coinvolge Cesarini Sforza, Casa Girelli e la tedesca Kessler Sekt - ha presentato una sequenza dettagliata di numeri, dati raffronti. Bilancio che le 11 cantine associate a Cavit, 5.300 soci, il 60% dei vigneti trentini gestiti in sinergia con le "sociali", per offrire al mercato internazionale stimoli enoici sempre più "alla portata di bicchiere".
Lo hanno ribadito i vertici di questa potente struttura cooperativa, il presidente Lorenzo Libera e il direttore Enrico Zanoni. Entrambi sono convinti che l’aumento dei costi energetici e dei materiali d’imballaggio (vetro in primis) non freneranno più di tanto la loro competitività sul mercato. "Costi e ricavi in tensione - ha detto il manager - ma siamo fiduciosi".
Guardano al futuro scommettendo sullo spumante classico, con il nuovo stabilimento (pronto per il 2027) il "tiraggio" del TrentoDoc supererà complessivamente i 20 milioni di bottiglie annue, con oltre un centinaio di aziende coinvolte. Tutte decise a "tirare", senza troppo badare alle difficoltà, sia nelle pratiche di cantina che nei consumi più "pop". Uno scenario impensabile fino a qualche anno fa.
Crescita del vino brioso a scapito dei vini fermi? Che fine faranno i tradizionali Teroldego Rotaliano e specialmente il sempre più bistrattato Marzemino? Saranno sacrificati per lasciare spazio ai vitigni destinati alla spumantistica? Cavit dal canto suo risponde con pacatezza e altrettanta precisione: nulla verrà sacrificato. I vini rossi manterranno la loro indole, si cercherà di ampliare le zone per le varietà del Trento Doc recuperando l’alta collina e qualche enclave verso le valli delle mele, anche se i frutteti non saranno sradicati.
Bollicine dunque forever. "Perché riteniamo di non aver intrapreso il passo più lungo della gamba - ha ribadito Zanoni - in quanto siamo certi che per lo spumante classico ci sia ancora tanto spazio". Progetti e constatazioni che chiamano in causa le strategie di sviluppo complessivo del comparto vino trentino. Con i vini rossi in sofferenza, la ridefinizione delle rese per ettaro, la revisione delle Doc, i rafforzativi e i legami territoriali (a proposito: nulla si muove per introdurre anche in riva all’Adige le Unità Geografiche Aggiunte, già applicate in altre importantissime regioni vitivinicole) e dunque consolidare il fascino del "bere trentino". Con un rischio. Questo: se togliamo al Trentino il blasone delle sue indiscutibili e pregiate bollicine, cosa resta e come viene percepita la produzione del vino chiamiamolo "normale"? Tralasciato il brio dello spumante resta purtroppo poco.
Cavit comunque scommette sulla vivacità enologica. E Ravina presto diventerà davvero la "capitale italiana dello spumante classico". Perché oltre al nuovo stabilimento annunciato oggi, sarà potenziata pure la produzione dell’attigua cantina Cesarini Sforza (controllata da Cavit) senza dimenticare che a poche decine di metri è in fase di realizzazione anche la mega struttura dei Lunelli, per rafforzare un Ferrari che romba quanto mai.