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Mattarella, il gioco al massacro di Salvini e la frase di Fraccaro: "Se ne pentirà, non finisce qui''

Saltato il rispetto anche per la massima carica dello Stato, che ha agito come doveva e poteva, la violenza verbale anche dei nostri politici ci consegna a una campagna elettorale dal potenziale devastante. C'è chi parla di impeachment (a vanvera) chi insulta, chi vuole ''la marcia su Roma''. Salvini si sta muovendo con spregiudicatezza (troppa) sulla pelle del Paese

Di Luca Pianesi - 28 maggio 2018 - 16:39

TRENTO. "Mattarella se ne pentirà, non finisce qui", firmato Riccardo Fraccaro (Twitter). Quello che sarebbe dovuto essere uno dei ministri del nascente governo Conte si rivolge così alla più alta carica dello Stato. Ormai la rottura è totale. Movimento 5 Stelle e Lega sono lanciate a velocità stratosferiche dentro un tunnel buio, senza luce, senza possibilità di ritorno. Deve ancora ricominciare la campagna elettorale (è mai finita?) e già i toni sono i più violenti di sempre, ai limiti dello squadrismo, si semina paura e si spargono minacce.

 


 

Un consigliere comunale della Lega, Devid Moranduzzo, grida su Facebook: "Marciamo verso la capitale, uniti si vince". Parlamentari appena eletti come Zanotelli e Binelli scrivono "non ci piegheremo al diktat" "dovremo fare un ulteriore sforzo per tutelare tutti noi da poteri che, spesso, non sono nemmeno nazionali. Noi ci siamo, io ci sono, voi amici ci aiuterete?". Chiamate alle armi. Battaglieri inviti a marciare su Roma. "Impeachment" sbraita Meloni (quella che la scorsa settimana era a un passo dal definire "Salvini un traditore") e con lei il ''nostro'' parlamentare De Bertoldi trasformandosi, entrambi, in improvvisati costituzionalisti, quando si dimentica che Mattarella costituzionalista lo è davvero, ed è stato anche giudice della Corte Costituzionale, quell'organo che in caso di messa in "Stato d'accusa" della massima carica dello Stato (che si può chiedere solo per ''alto tradimento'' e ''attentato alla Costituzione'') per il mancato ok al nome di Savona, non potrebbe che assolverlo.

 

Il presidente della Repubblica, infatti, non è un passacarte e in passato è già successo altre volte che si sia opposto a proposte di ministri. Lo ha fatto Scalfaro nel 1994 alla proposta di Berlusconi di Previti a ministro di Grazia e Giustizia ("Vinceremo le elezioni e poi non faremo prigionieri" aveva detto Previti in campagna elettorale riferendosi proprio alla magistratura), lo ha fatto Carlo Azeglio Ciampi ancora con Berlusconi nel 2001 quando propose Maroni alla Giustizia e ancora Napolitano nel 2014 con Renzi che voleva Gratteri alla Giustizia. La vera novità è che, per la prima volta nella storia repubblicana, è stata la politica a dire ''no'' al presidente della Repubblica. La rottura non è di Mattarella è di Salvini, in primis, e di Di Maio, di riflesso. "I ministri non può sceglierli il presidente della repubblica'' tuonano leghisti e penta stellati, oggi. Quando era lo stesso Di Maio a ribadire cinque giorni fa, invece, che "i ministri li decide il presidente della Repubblica".

 

Perché non è stato cambiato il nome di Savona, quando era da giorni che Mattarella chiedeva di farne un altro? Il Presidente della Repubblica aveva dato l'ok a Giorgetti (il braccio destro di Salvini) ma sarebbe stato bocciato perché "poco conosciuto in Europa" (già perché Conte, invece, come presidente del consiglio era una figura autorevole all'estero? Un im-perfetto sconosciuto, a noi e al mondo). Savona, invece, in Europa era fin troppo conosciuto. Nel 2014, infatti, nel work shop 'Oltre l'Europa', organizzato da Raffaele Fitto, paragonava la Germania attuale a quella di Hitler e il piano di Funk, il ministro nazista dell'Economia, a quello dei giorni nostri (un progetto egemonico anche sul piano economico). Da sempre critico verso l'Ue e in cerca di un piano B rispetto all'Euro, Salvini ha trovato in Savona il perfetto spauracchio da agitare all'Europa. 

 

E molti italiani e trentini sono con lui. Su Facebook in queste ore si moltiplicano gli insulti al presidente della Repubblica (d'altronde se un potenziale ministro lo ''avverte'' dicendogli che ''se ne pentirà'') e a chi prova a difendere il suo operato. Come sono continui gli attacchi all'Europa e alla Germania. Come se poi, i tedeschi non fossero proprio il nostro principale partner economico a livello industriale, come se poi i tedeschi non fossero i primi ad affollare le coste del Garda, le spiagge del Veneto. La Lega di Salvini non è più la Lega di Bossi che parlava agli imprenditori e ai lavoratori del nord Italia, che con la Germania e l'Europa lavorano e collaborano. E' una Lega dello sfascio che va poco d'accordo anche con Berlusconi il quale deve pur sempre difendere le sue imprese e sa bene che senza Europa non ci sono guadagni. 

 

Il progetto, se esisteva, di questo asse di governo pareva, al contrario, di pura autarchia. Si prospettava di far saltare parte del debito, di dare il reddito di cittadinanza e far partire una sorta di flat tax. Si è costruito un programma di governo irrealizzabile (perché le proposte erano irrealizzabili soprattutto se combinate) apposta per farsi fermare. L'Italia non è la Grecia. L'Europa e i mercati dovevano opporsi perché nessuno può permettersi di far finire gambe all'aria il terzo paese più popoloso del continente. Se caschiamo noi cascano tutti, tedeschi compresi. Non siamo una monade. Facciamo parte di un sistema più complesso che va ben oltre il ''vabbé ciao, qui comando io e voi mi avete stufato''.

 

Eppure il messaggio, ormai, è passato. Si invoca il "potere del popolo", il "diritto della maggioranza di decidere" e si dimentica che la qualità di una democrazia la si misura, al contrario, nel come si tutelano le minoranze. E il presidente della Repubblica sta lì anche per quello. E' un contropotere, una figura terza, la massima espressione della nostra repubblica. Salvini si è servito di tutti in un gioco al massacro solo pro domo sua ma molto pericoloso per la tenuta del Paese. Si è servito di Berlusconi e Meloni per poter dire ''ho vinto le elezioni'', tradirli, e allearsi con i 5 Stelle. Si è servito dei grillini per poter dire ''noi ci abbiamo provato, abbiamo fatto il possibile per fare il governo del cambiamento'', salvo poi impuntarsi su un suo nome facendo fallire anche la spedizione di Di Maio & co. Si è servito di Mattarella scaricando ogni responsabilità su di lui.

 

Si sta comportando in maniera molto abile e spregiudicata. La locomotiva è lanciata e non si potrà più fermare. La campagna elettorale che parte da questo livello rischia di essere molto violenta. I rischi, anche di conflitto sociale, sono enormi e non è con frasi del tipo "Mattarella se ne pentirà, non finisce qui'' che si riuscirà a costruire qualcosa. Anzi, in questo modo, si butta solo benzina sul fuoco accendendo gli istinti e sfidando le istituzioni. Montanelli citava spesso una frase del suo maestro Ojetti: "L’Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria". Il nostro non è stato un passato sempre glorioso. Serviamocene per non commettere gli stessi errori ricordandoci, parafrasando De André, che ''siamo tutti coinvolti''.

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