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"Il 25 aprile è e deve rimanere una data divisiva: separa fascismo e democrazia". Lo storico Filippi dopo l'elezione di La Russa: "La pacificazione è in realtà parificazione"

Lo storico trentino Francesco Filippi dice la sua dopo il discorso al Senato di Ignazio La Russa, il neo eletto presidente a Palazzo Madama: “Da domani ci sarà chi discuterà del passato del nostro Paese su piani di uguaglianza non più contestabili, in nome di una cosa che si vorrà ‘memoria comune’ ma che sarà molto, molto altro”

Di Filippo Schwachtje - 15 October 2022 - 19:01

TRENTO. “Continuerò a pensare che il 25 aprile è e deve rimanere una data divisiva, perché separa il fascismo dalla democrazia”. Sono queste le parole con le quali lo storico trentino Francesco Filippi (autore di una fortunata serie di libri sul Ventennio, Qui, Qui e Qui Articolo) chiude la sua analisi dopo l’elezione a Palazzo Madama di Ignazio La Russa ed il suo primo discorso da neo-eletto presidente del Senato. Discorso che ha seguito quello introduttivo affidato alla senatrice a vita Liliana Segre, accolta da una standing ovation (Qui Articolo) dell’aula. Nelle parole di La Russa Filippi vede in definitiva un evidente tentativo di “equiparazione amalgama”, di una “pacificazione” storica che sembra però avere “tutte le caratteristiche di una ‘parificazione’, di una abluzione che ridona verginità”.

 

“Molti – dice lo storico a il Dolomiti – si sono focalizzati sul discorso di Segre. Un discorso bello, costituzionale, anti-fascista, con radici che vengono da lontano, che ha però fatto passare quasi in sordina le parole scelte da La Russa per presentarsi al Senato. Parole che fanno il paio con il famigerato discorso di Luciano Violante, che dallo scranno della presidenza della Camera nel ’96 aprì la porta ai ‘ragazzi di Salò, gente’ si disse ‘con degli ideali’. Fu quello il primo colpo ai valori basati sulla resistenza e sull’anti-fascismo, nel nome di una pacificazione sul passato della guerra civile italiana. Il discorso di La Russa, a mio avviso, è stato l’ultimo di questi colpi”.

 

Sono due in particolare i momenti dell’intervento del neo eletto presidente del Senato che hanno colpito Filippi: “Il primo è stato quando La Russa ha voluto mettere nel calderone della memoria l’esperienza ancora dolorosa degli anni70, equiparando in sostanza i due campi’ nei quali il popolo italiano si è diviso prima e dopo la guerra civile, in una landa informe in cui sembra che tutti, pur che siano morti, abbiano o abbiano avuto ragione, in cui nel nome di un tentativo di comprendere le ragioni degli uni e degli altri non si fa altro che cancellare prese di posizioni e torti”. Proprio la mancanza di grandi clamori seguiti al discorso di La Russa, dice Filippi, sarebbe la testimonianza della ‘pietra tombale’ sul processo nato nel ’96 con le parole di Violante. “Quella dell’altro ieri – continua lo storico – è stata un’equiparazione di idee contrapposte, idee che hanno però portato nel nostro Paese a due diverse costruzioni: una fascista ed una anti-fascista”.

 

Il secondo passaggio evidenziato da Filippi è la “risposta all’invito lanciato da Liliana Segre per ricordare alcune delle tappe fondamentali del calendario civile italiano: il 25 aprile, il 1° maggio ed il 2 giugno. “Si tratta di una rispostafurba’ – precisa lo storico –. La Russa ha infatti tirato in ballo il 17 marzo, la fondazione del Regno d’Italia, mettendo quindi ancora una volta un’altra data nel calderone dei ricordi civili italiani. Una data che tra l’altro pochi cittadini conoscono, per ragioni molto chiare (visto che si collega, nelle parole di molti storici, ad un’Italia che è ‘morta’ come patria nel ’43 e risorta con la guerra di resistenza) diluendo quindi il valore di questo calendario civile. Da un lato dunque si equipara, dall’altro si diluisce. Segre invita a celebrare il 25 aprile? La Russa risponde parlando degli anni ’70, della fondazione del Regno d’Italia. È una forma di benaltrismo, una manovra dissuasiva”.

 

A colpire lo storico è stata però anche l’elezione del leghista Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera: “Con la sua elezione – dice infatti Filippi – la seconda e la terza carica dello stato sono state affidate a due esponenti delle estreme destre del nostro Paese. Parliamo di due cariche che fino a qualche decennio fa erano considerate di garanzia. Temo che questa situazione possa portare all’estremizzazione dei temi, anche se ovviamente le persone vanno giudicate dai fatti”.

 

Ecco l’analisi integrale di Filippi dopo l’elezione di La Russa alla presidenza del Senato:

 

“Oggi, probabilmente, abbiamo assistito alla fine di uno dei grandi cicli della memoria storica del paese.

 

Un ciclo iniziato nel 1996, quando dallo scranno della presidenza della Camera Violante aprì la porta ai “ragazzi di Salò”: “gente”, si disse, "con degli ideali”.

 

La sospensione del giudizio pubblico su quegli “ideali” facilitò il lavoro di equiparazione e parificazione dei combattenti dei due campi della nostra guerra civile.

 

A destra la rivincita e l’orgoglio di essere “sopravvissuti” a decenni di arco costituzionale stimolarono la produzione di una memoria di parte, incentrata sugli episodi e non sui fenomeni di insieme, che culminò con la legge che istituiva la giornata del ricordo. Momento di memoria selettiva che si insinuò, depotenziandoli, tra tutti gli altri punti simbolici del calendario civile italiano.

 

A sinistra la critica del passato prossimo e remoto gettò il bambino dei valori resistenziali antifascisti con l’acqua sporca della partitocrazia di Tangentopoli, portando al disarmo ideale e al logoramento nella stucchevole polemica quotidiana sul valore implicito ed esplicito di un antifascismo post ’45, mentre il fascismo post ’45 si riorganizzava.

 

Oggi alla presidenza del Senato si è concluso questo viaggio equiparativo con una sovrapposizione di nomi, simboli e date in una macedonia di passato utile all’oblio più che al ricordo. I monti di valori dalle cui pendici è scaturita la nostra democrazia sono ormai spianati in una landa informe in cui sembra che tutti, pur che siano morti, abbiano o abbiano avuto ragione, complice un giudizio storico incapace di farsi pubblicamente strada. Questa distesa, a cui qualcuno vuol dare il nome di "pacificazione", sembra in realtà avere tutte le caratteristiche di una "parificazione", di una abluzione che ridona verginità.

 

Da domani ci sarà chi discuterà del passato del nostro paese su piani di uguaglianza non più contestabili, in nome di una cosa che si vorrà "memoria comune” ma che sarà molto, molto altro.

 

Personalmente continuerò, un po’ cocciuto, a pensare che non si possa idealmente paragonare chi lavorava per riempire i treni verso Auschwitz con chi rischiava la vita per fermare quegli stessi treni. E continuerò a pensare che il 25 aprile è e deve rimanere una data divisiva, perché separa il fascismo dalla democrazia”.

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