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Sulle rotte dei migranti, a Pozzallo dove per uscire dalla tratta bisogna prima liberarsi dai riti vudù
Prima siamo stati alla "Casa di Alice" poi arriviamo al Circolo Arci “Thomas Sankara”. Qui accolgono le donne vittime della tratta della prostituzione e scopriamo che molte si sentono vincolate attraverso un rito vudù ai loro aguzzini che le tengono in pugno a distanza

POZZALLO. Terza puntata del diario di On The road - Sulle rotte dei migranti tenuto da 20 ragazzi e ragazze che si sono divisi in tre gruppi per percorrere le rotte dei migranti: una verso la Francia e Calais, una verso il Sud Italia e un'altra verso la rotta balcanica e la Bosnia (QUI IL SECONDO DIARIO).

Al posto del sole (in cui speravamo), ci cade in testa qualche goccia da cielo. Entriamo a “Casa di Alice”, un bene confiscato ad una camorrista napoletana e trasformato in una sartoria sociale. Alessandro Buffardi, referente di Libera di Castel Volturno ci accoglie e ci racconta di una realtà in cui mafia ed immigrazione si intersecano, dando vita ad un fenomeno tentacolare. Sono migliaia le persone che vivono ai margini, donne e uomini, invisibili e vulnerabili, facili prede per la camorra, che offre loro un’alternativa lavorativa, rendendoli, però, vittime di un ingiusto sfruttamento. Tra i lavori ai quali, per necessità, si devono prestare c’è quello della prostituzione, ed è proprio per togliere le donne africane dalle mani della tratta sessuale che nasce la “Casa di Alice”, un’iniziativa fonte di lavoro e riscatto sociale. All’interno della Casa ci si occupa della creazione e della produzione di capi di abbigliamento etnici, un mix di tessuti africani e occidentali.
Martedì, dopo altre lunghe ore di viaggio, interrotte soltanto dallo scroscio delle onde sul battello che ci traghetta a Messina, arriviamo al Circolo Arci “Thomas Sankara”. Veniamo accolti da Carmen e Patrizia. Sono amare le parole con cui descrivono la situazione dell'immigrazione e dell'accoglienza in Italia. Oltre a ciò approfondiamo ulteriormente il tema riguardante le donne vittime di tratta. Ci rimane impresso l’episodio che ci raccontano: donne, vincolate attraverso un rito vudù ai loro aguzzini che le tengono in pugno a distanza, costrette a subire una perenne minaccia, legate da pesanti quanto invisibili catene.
“Nonostante molte di loro avessero seguito un percorso di integrazione con il nostro circolo – ci dice Patrizia – fino al momento dello scioglimento della “stregoneria”, confermato dal capo tribù, esse non si sentivano libere di potersi esprimere e di fare ciò che volevano”. In linea generale, ciò di cui si occupa il Circolo è di fornire assistenza giuridica ai migranti nelle lunghe fasi della burocrazia italiana per quanto riguarda le pratiche di accoglienza e di richiesta di asilo. L’incontro ci lascia grande rabbia e amarezza. Una rabbia, tipicamente siciliana, che accompagna le due militanti, ma che non fa perdere loro la determinazione in ciò in cui credono.

Una volta giunti a Pozzallo, ci aspettiamo di trovare la realtà presentata dai media: caos, sbarchi ed una grande emergenza umanitaria. Ci accorgiamo presto che così non è. In una soleggiata mattina di maggio scopriamo una tranquilla cittadina turistica. Dopo aver osservato dall’esterno l’hotspot, decidiamo di farci raccontare da alcuni locali la loro quotidianità. “Quasi immediatamente i migranti che approdano a Pozzallo vengono smistati in Italia”, per usare le parole di Salvo, un giovane operatore attivo in uno degli SPRAR. In questo centro ascoltiamo la toccante testimonianza di Sarr, un migrante senegalese, riuscito a diventare mediatore culturale: un esempio virtuoso per molti ragazzi del centro.
Infine, dopo un incontro col sindaco Roberto Ammatuna, abbiamo la fortuna di conoscere Emilia, direttrice dell’hotspot, che ci ha profondamente colpiti per le storie che i suoi occhi hanno visto e per la passione con cui svolge il suo impegno, ricordandoci che Pozzallo è una realtà di primo contatto di decine di impauriti esseri umani con la calda terra siciliana.
