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Un anno in Tanzania per aiutare le donne sfruttate e vittime di violenza, la storia di Silvia Girardi: ''A volte l'acqua scarseggia e l'elettricità va a intermittenza''

Dopo la laurea magistrale, la 26enne di Fornace è stata selezionata in un progetto di servizio civile con un'associazione marchigiana. Girardi: "In un periodo così difficile per la cooperazione internazionale in Italia ascoltare e capire la storia che dietro a queste persone che arrivano da lontano potrebbe, forse, cambiare la testa di alcuni"

Gruppo di giovani a Morogoro
Di Luca Andreazza - 14 luglio 2019 - 18:58

TRENTO. "C'è grande povertà, i bambini non frequentano la scuola e nelle zone più rurali l'acqua a volte scarseggia e l'elettricità va a intermittenza", queste le parole di Silvia Girardi, 26enne di Fornace, da tre mesi e mezzo in Tanzania nell'ambito di un progetto di servizio civile di cooperazione internazionale con un'organizzazione non governativa marchigiana Cvm-Comunità volontari per il mondo.

 

La trentina, laureata a luglio scorso in Human rights and multi-level governace all'università di Padova, si trova da fine marzo in Tanzania e dopo aver superato una dura selezione è partita alla volta dell'Africa con altri tre volontari, Laura, Francesco e Enerlida, che svolgono in supporto allo staff locale due progetti tra Bagamoyo e Morogoro.

 

"Diversi motivi mi hanno spinto a intraprendere questa strada - prosegue Silvia - quando ho iniziato l'università mai avrei pensato di lavorare nella cooperazione internazionale. Non conoscevo molto bene questo ambito e non avevo le idee chiare sul futuro. Poi ho cominciato a interessarmi a questo settore, fino a svolgere un tirocinio nell'ambito del no profit. Dopo la laurea magistrale ho deciso di candidarmi per questo progetto all'estero dalla durata di un anno. Il servizio civile può essere un’esperienza professionale, ma anche di vita e crescita personale. E’ un’occasione per capire il mondo con tutte le sue sfumature e contraddizioni".


(Gruppo di giovani a Bagamoyo)

Cooperazione e solidarietà internazionale che in Trentino attraversa un momento complicato tra il taglio da 5 milione e l'intenzione di abolire lo 0,25% del bilancio provinciale a questo settore. "In un periodo così difficile per la cooperazione internazionale in Italia - dice Silvia - ascoltare e capire la storia che dietro a queste persone che arrivano da lontano potrebbe, forse, cambiare la testa di alcuni. Per questo motivo consiglio il servizio civile: ai giovani che vogliono scoprire e conoscere, ma soprattutto per chi vuole intraprendere un percorso di consapevolezza".

 

La scelta di Silvia è ricaduto su Cvm, associazione che opera da oltre 40 anni sui temi quali educazione, salute e sviluppo socio-economico dei gruppi più vulnerabili e fragili tra Etiopia e Tanzania. "Inizialmente non è stato facile - aggiunge la 26enne -prima della partenza i sentimenti erano contrastanti. Se da un lato ero felicissima perché ho sempre sognato di partire per l'Africa e conoscere la cultura, dall'altra ero intimorita: sarei mai stata in grado di legare con le persone locali? Adattarmi al loro stile di vita? Sarei mai stata all’altezza del progetto?".

 

Quindi la partenza. Sono due i progetti di intervento tra "Youth for the future", che coinvolge un gruppo di giovani in corsi di formazione in agricoltura e allevamento per dare l’opportunità di cambiare la vita e avviare attività in proprio, e "Domestic workers", il cui scopo è quello di migliorare la situazione socio-economica delle lavoratrici, giovani ragazze spesso costrette a lavorare in condizioni non dignitose, senza contratto e salario, subendo anche violenza.


(Attività di training con il gruppo di Bogomoyo)

"La Tanzania - evidenzia Silvia - è un Paese relativamente tranquillo, ma nei campi di diritti, educazione e salute c'è ancora tanto da fare. Si cerca di sviluppare soprattutto i diritti della donne, costrette già a lavorare a 15 anni tutto il giorno, senza risposi e molto spesso non pagate e subiscono violenze. L'obiettivo è quello di implementare competenze lavorative, ma anche di promuovere i diritti nella comunità". 

 

E' la storia di Deborah, oggi leader di un gruppo di "domestic workers", che è riuscita a trovare il coraggio di affrontare il suo datore di lavoro per ottenere un contratto scritto. "Ma non può fermarsi - prosegue la trentina - sono tante altre le giovanissime ragazze in lotta per farsi riconoscere i diritti. Il cambiamento non può essere immediato, ma ogni giorno persone locali, gruppi di giovani e donne, organizzazioni, come Cvm, operano in Africa e in altri Paesi attraverso collaborazione e unione delle forze".

 

Dopo tre mesi ci sono però maggiori consapevolezze e si può già tracciare un bilancio. "I timori di non inserirmi nella realtà sono stati spazzati via - conclude Silvia - ora ho cambiato opinione. Ovviamente ho trovato delle difficoltà all’inizio: adattarsi richiede del tempo, bisogna osservare e spesso chiedere spiegazioni. I primi giorni sono stati complicati in quanto se non si parla la lingua del posto è difficile anche comunicare i pensieri più semplici, ma fin da subito noi quattro volontari abbiamo formato un bel gruppo e ci supportiamo a vicenda per portare avanti la nostra voglia di portare un aiuto. Qui le persone, però, sono profondamente accoglienti, curiose e gentili. Fin dal primo giorno abbiamo ricevuto calore e sorrisi. Possono vivere in una piccola casa con il tetto di lamiera e possedere pochi oggetti, ma per la famiglia e la comunità riservano sempre tantissimo altruismo".


(I volontari di Cvm con Deborah e altre lavoratrici del progetto "Domestic workers")

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