La questione di Trieste vista da Belgrado. Lo storico Tenca Montini: "La sua perdita fu un trauma che avrebbe cambiato la storia della Jugoslavia"
Lo storico Federico Tenca Montini affronta la questione di Trieste tra il 1945 e il 1954 in una prospettiva poco battuta in Italia. Scavando tra gli archivi jugoslavi, mostra quanto questa abbia influito sulla politica estera di Belgrado. "La divisione del Tlt fu un trauma che ri-orientò la collocazione mondiale della Jugoslavia"

TRENTO. Come dimostrato dal Giorno del Ricordo, la storia dell'Alto Adriatico è fortemente caratterizzata da strabismo e parzialità, che impediscono di considerare le “complesse vicende del confine orientale” in una prospettiva storica e completa. Discorso analogo può essere fatto per la questione di Trieste, su cui da parte italiana si tende a presentare un quadro in cui aspettative, acquisizioni e rivendicazioni si riconoscono solamente al nostro Paese.
Decisiva, sotto questo aspetto, è la tradizione risorgimentale prima e irredentista poi, che individua in Trieste un luogo eletto di italianità da recuperare alla patria. Eppure, in quello che fu il principale porto dell'Impero asburgico e tra i principali dell'Adriatico, per secoli convissero popolazioni miste per lingua e cultura, il cui equilibrio fu rotto dai nazionalismi e definitivamente compromesso dal fascismo, che lì trovò uno dei suoi centri più attivi – nel 1920, gli squadristi guidati da Giunta, diedero fuoco al Narodni Dom, il centro culturale sloveno della città.
Epicentro novecentesco dei traumi nazionali di italiani e sloveni, la questione di Trieste nel secondo dopoguerra è spesso raccontata – anche dagli storici – in una prospettiva che ignora la controparte jugoslava. Da parte sua, invece, Federico Tenca Montini ha scavato in svariati archivi in quello che ormai è un territorio spaccato in piccoli stati nazionali, producendo un volume che illustra gli obiettivi della diplomazia jugoslava così come le conseguenze, per i popoli che formavano la federazione jugoslava, della questione triestina (La Jugoslavia e la questione di Trieste, 1945-1954, edito da il Mulino).
“Il mio lavoro d'archivio si concentra quasi esclusivamente sulle fonti jugoslave, corredate da bibliografia italiana, jugoslava e internazionale – spiega lo storico udinese – la particolarità però deriva dal fatto che mi sono sforzato di rispondere agli interrogativi posti dalla storiografia italiana. Per fare questo ho utilizzato l'archivio personale di Tito, quello del ministero degli Esteri e l'Archivio di Jugoslavia a Belgrado, l'archivio personale del numero 2 del Partito Kardelj, di cui c'è copia solo a Lubiana, e il fondo personale del capo dei comunisti croati a Zagabria. Qui, inoltre, sono conservate anche le carte della delegazione jugoslava alle trattative di pace a Parigi, che faceva rapporto alla capitale croata"
“La finalità è dunque quella di capire cosa avessero in mente gli jugoslavi rispetto alla questione di Trieste – continua – se lo chiedessimo a uno storico italiano ti risponderebbe per lo più che la questione si limitava a individuare i termini per spartire il mai realizzato Territorio libero di Trieste. Ciò che emerge dall'analisi della documentazione jugoslava, di contro, è che nel '52/'53 Belgrado si convince che il Tlt potesse funzionare in co-gestione con l'Italia".
Ma facciamo un passo indietro. Trieste, italiana dal 1918, dal settembre 1943 è parte di un territorio cuscinetto sotto controllo tedesco (il corrispettivo trentino è la Zona d'operazione delle Prealpi). Man mano che procede l'avanzata degli Alleati da Sud-Ovest e dell'Esercito di liberazione jugoslavo da Sud-Est si crea una vera e propria corsa per raggiungere per primi la città. La vinceranno quest'ultimi, ottenendo così la possibilità di partecipare alle trattative sul futuro della zona. Dopo una prima fase di tensione, si arriva all'accordo di Belgrado. In sede di trattative di pace, attorno alla Linea Morgan, nasce il Territorio libero di Trieste, diviso tra una Zona A sottoposta al controllo anglo-americano e una Zona B sottoposta al controllo jugoslavo.
“Il funzionamento della diplomazia jugoslava è molto verticistico. Non è molto rilevante ciò che fanno i diplomatici ma tutto fa capo a Tito, a Kardelj e a un manipolo di alti dirigenti, che già nell'Esercito di liberazione svolgevano un ruolo di tramite con i comandi alleati – spiega Tenca Montini – per sbloccare la situazione, molte volte gli americani o gli inglesi devono rivolgersi direttamente a Tito”.
L'importanza delle date e dei grandi eventi internazionali fissa dei paletti decisivi per potersi muovere nelle difficili trattative diplomatiche che si giocano attorno al futuro del Tlt. “Ciò che emerge dallo studio e che i colleghi italiani non mettono sempre a fuoco è che per la Jugoslavia l'assegnazione della Zona A all'Italia e della Zona B alla Jugoslavia, decisa con il Memorandum di Londra, rappresenta un trauma tale da riorientare completamente la sua politica estera. Da parte loro gli jugoslavi credevano di avere abbastanza potere da ottenere la co-gestione del Tlt, ma la nota bipartita dell'8 ottobre 1953, con cui gli anglo-americani impongono senza preavviso la divisione, è così dura e dolorosa da essere presentata come una sorta di 'secondo invito a Bucarest'. Il primo, nel giungo '48, segnò la cacciata di Belgrado dal Cominform”.
Tra il giugno del 1948, mese in cui la rottura tra Tito e Stalin viene sancita definitivamente con l'espulsione delle Jugoslavia dal Cominform, e l'ottobre del 1953, quando venne di fatto imposta la divisione della Tlt in corrispondenza delle due zone – passando per l'avvicendamento, nel gennaio del '53, tra Truman e Eisenhower alla presidenza degli Usa – la politica estera jugoslava subisce una serie di trasformazioni, con dapprima l'avvicinamento all'Occidente e, dopo Londra, con il definitivo sganciamento dalla logica dei blocchi contrapposti, con l'approdo al Movimento dei non allineati, riuniti per la prima volta a Bandung, in Indonesia, nel 1955. La morte di Stalin, nel marzo del '53, aveva portato ad una distensione con Mosca e i suoi satelliti, e questo costituì certamente una premessa essenziale alla svolta 'terzomondista'".
“A partire dal 1949 la Jugoslavia ricevette consistenti aiuti economici dagli anglo-americani, parallelamente ad un legame militare che si rafforza notevolmente con l'Occidente – spiega Tenca Montini – è di fatto l'alleato comunista degli americani. La rottura con Stalin era stata del tutto inaspettata per gli occidentali e si dice che la Cia abbia letto la notizia sui giornali. L'idea era di aiutare economicamente la Jugoslavia, senza che raggiungesse il benessere. Perché comunque il sistema politico rimaneva sostanzialmente comunista. Ciò che si cerca, in quell'area, è la stabilità”.
Tra flussi e riflussi, i rapporti con l'Occidente e con l'Italia vivono di tensioni e distensioni. “Si pensa che Trieste fosse importante solo per l'Italia ma lo era altrettanto per la Jugoslavia. È vero che la maggioranza della popolazione è italiana, ma dal punto di vista economico lasciare all'Italia Trieste, Monfalcone e Gorizia era un problema. Prima del Memorandum di Londra i rapporti tra Roma e Belgrado sono cattivi, la tensione cresce ulteriormente per poi calare. Dal miglioramento dei rapporti nasce il mito di Trieste come luogo di shopping, in cui si possono comprare beni che non ci sono in Jugoslavia e cambiare aria. Il commercio al dettaglio diventa così un settore molto proficuo. La questione territoriale riemerge poi con il Trattato di Osimo, che ratifica il Memorandum. Poco prima della sua stipula una polemica sulla cartellonistica montata dal giornale il Piccolo era però degenerata fino alla concentrazione di truppe al confine".
Le rivendicazioni sull'area rimangono però una prerogativa italiana. “Con la guerra in Jugoslavia quella di Trieste è una questione che non si pone più – continua – il conflitto semmai risveglia degli appetiti territoriale da parte italiana, per rimettere piede in Istria. L'opportunità è però valutata solo in ambiti neofascisti, vicini all'Msi. L'allora segretario Fini ebbe degli incontri ufficiosi con la nuova leadership serba a Belgrado”, conclude.