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"Se le pallavoliste togliessero il velo non potrebbero più giocare". Da Mori a Teheran, la coach della Nazionale iraniana: "Ai Giochi islamici eravamo le uniche con lo hijab"
Campedelli da febbraio scorso sta allenando la prima squadra di pallavolo femminile dell'Iran, dove ancora oggi si svolgono le proteste per chiedere diritti e libertà. L'intervista a Il Dolomiti: "Le giocatrici 'veterane' della squadra hanno avuto il coraggio di abbassarsi il velo postando le foto sui social. Qui tolgono internet tutti i giorni"

TRENTO. "Le giocatrici 'veterane', quelle che avrebbero lasciato la Nazionale, hanno avuto il coraggio di abbassarsi il velo postando le foto sui social. Se le pallavoliste se lo togliessero pubblicamente? Non potrebbero continuare a giocare, rischiano tutta la loro carriera". Parla così la moriana Alessandra Campedelli, commissaria tecnica della prima squadra di pallavolo femminile dell'Iran.
"La situazione è complicata e complessa qui - spiega Campedelli - io in prima persona sto sperimentando cosa significhi per una donna occidentale vivere in questo paese. La cultura e i regolamenti del governo sulle donne è determinante e incide molto anche sul mondo dello sport".
Dopo aver portato la Nazionale italiana femminile sorde ad altissimi livelli (conquistando un argento alle Olimpiadi, un oro agli Europei e un argento ai Mondiali) lo scorso anno arriva la nomina dalla Federazione mondiale di pallavolo che le affida un progetto di sviluppo dello sport femminile in Iran, paese in cui praticare uno sport per una donna non è scontato (Qui l'articolo).
Negli ultimi mesi Teheran diventa però anche il cuore delle proteste di donne e giovani che con coraggio sono scesi nelle strade e nelle piazze per chiedere
diritti e libertà. La scia delle contestazioni, partite con la morte della 22enne curda Masha Amini, avvenuta mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale, si è poi estesa in tutto il mondo, portando molte storie e testimonianze anche al di fuori dei confini del paese (Qui la storia raccolta da Il Dolomiti).
"La protesta partita contro l'obbligo di indossare lo hijab si è trasformata in qualcosa di molto più grande. Se fosse una libera scelta qui tantissime donne continuerebbero a portarlo, così come lo chador. Ma qui la religione viene mischiata con imposizioni politiche".
Tutte le giocatrici, e la stessa allenatrice, hanno l'obbligo infatti di tenere lo hijab. "Lo dobbiamo portare anche quando siamo in trasferta fuori dall'Iran. Ai Giochi islamici a cui abbiamo partecipato eravamo le uniche ad avere il velo. Le ragazze della Nazionale rispettano questa regola altrimenti non potrebbero più far parte della squadra. Certo, oltre a una questione ideologica non è agevole, sia a livello fisico che per il caldo, perché le divise coprono gambe e braccia".
Anche le giocatrici però, le più "vecchie" della Nazionale, hanno deciso di prendere posizione riguardo le proteste: "Attraverso i social hanno sostenuto le manifestazioni, anche abbassando il velo. Ricordiamoci che qui è tutto più difficile, ci tolgono internet tutti i giorni anche per ore, per evitare che vengano diffuse informazioni, video o foto ma soprattutto che le persone si aggreghino". Secondo Campedelli ora per le strade di Teheran "ci sono molte più donne che girano senza velo o con una parte di capo scoperto".
Lo sport in questo contesto tra restrizioni del governo e lotte per la libertà gioca sicuramente un ruolo fondamentale: "Il mio scopo - conclude Campedelli - è essere qui per lo sport, questa è la mia missione che porto avanti con la Federazione iraniana che mi ha chiesto di migliorare la posizione della squadra in Asia per avvicinarla sempre di più alle Nazionali maggiori. Questo significa anche trasmettere una cultura sportiva importante, quindi valori quali emancipazione e consapevolezza attraverso questo strumento potentissimo, di inclusione e socialità".