Specie aliene nelle acque trentine, la Provincia prova ad aggirare il Ministero dell’Ambiente ma la legge potrebbe essere impugnata dal Governo
L’entrata in vigore del decreto nazionale che prevede il divieto di reintrodurre specie non autoctone pare imminente ma i pescatori e la Provincia non ci stanno: in ballo ci sono interessi economici importanti ma la legge ad hoc varata dalla Giunta Fugatti potrebbe non bastare

TRENTO. Ormai l’entrata in vigore del decreto nazionale che prevede il divieto di “immissione e qualsiasi azione di introduzione, reintroduzione e ripopolamento di esemplari di specie non autoctone” pare imminente. Eppure, la decisione è contestata con forza da molte Regioni e dalle associazioni dei pescatori che il prossimo 13 novembre si riuniranno a Milano per chiedere al Governo di rivedere il provvedimento.
In ballo ci sono interessi economici importanti, a livello di indotto nazionale si parla di un giro di affari da 3 miliardi mentre, come sostiene Stefano Martini, presidente Unione dei pescatori del Trentino, la Provincia sborsa circa 600mila euro ogni anno per finanziare le attività delle associazioni di pesca. Soldi che vengono spesi anche per sostenere economicamente i 18 impianti ittiogenici dove vengono allevate le uova dei pesci che saranno poi seminati nei corsi d’acqua trentini: per l’esattezza 4,5 milioni di trota marmorata, 5 milioni di trota fario, 2,5 di trota lacustre e 1,5 di coregone. Inoltre, in ballo ci sono 22 associazioni, 10mila pescatori locali e 30mila giornate di pesca da fuori regione.
Da un lato ci sono i pescatori che temono le ripercussioni economiche e di veder cancellato nel giro di pochi mesi l’intero mondo della pesca dilettantistica, dall’altro il provvedimento si è reso necessario per tentare di salvaguardare le specie autoctone che rischiano di essere soppiantate da quelle aliene o di dar vita a ibridi che prima non esistevano. Nel mirino del decreto governativo ci sono in particolare trota fario, trota iridea, trota lacustre e coregone, che pur essendo presenti da molto tempo non sono considerate autoctone in quanto frutto di precedenti immissioni.
Rispondendo a un’interrogazione presentata dal consigliere del Patt Michele Dallapiccola, l’assessora competente Giulia Zanotelli ha fatto sapere che la Provincia, “una volta informata del fatto che la trota fario è stata inserita tra le specie non autoctone, si è mossa sul piano normativo”. Con un provvedimento ad hoc è stata modificata la legge provinciale sulla pesca, prevedendo che: l’autorizzazione all’immissione di specie non autoctone, compresa quindi la trota fario, sia rilasciata dalla struttura competente e non più dal Ministero, previa acquisizione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Il “trucchetto” però potrebbe non essere sufficiente. In primo luogo, visto che comunque servirà un parere dell’Ispra, è difficile ipotizzare che l’istituto per la protezione ambientale si discosti dalla volontà del Ministero, inoltre non è da escludere che il Governo arrivi a impugnare il provvedimento trentino. Ad ogni modo, Zanotelli afferma di aver individuato “nuove strategie per consentire alla Associazioni pescatori di proseguire nelle loro attività di gestione delle acque, degli impianti ittiogenici e della pesca sportiva e ricevere i necessari contributi”. Quali siano queste soluzioni però non è stato specificato.
Come spiega il presidente Unione dei pescatori del Trentino, dalla Provincia è stato fatto capire che al momento non sono previste deroghe al decreto nazionale, almeno fino a quando non si capiranno meglio i margini di manovra di ciascun territorio. “L’obiettivo delle nostre associazioni, comunque, non è quello di vivere sulle deroghe perché altrimenti sarebbe impossibile programmare le attività”.
Troppe le incognite per pianificare le complesse attività di riproduzione. “La realtà è che la Provincia non ha le competenze in materia, che appartengono allo Stato. Attualmente ci troviamo con gli impianti pieni di materiale, ma il percorso di vita di questi pesci dura degli anni e richiede degli investimenti importanti, al momento non sappiamo quale sarà il nostro futuro. Una deroga temporanea può anche andar bene ma è impossibile lavorare sul lungo periodo, per questo chiediamo che vengano riconosciute come ‘para autoctone’ le specie presenti negli ambienti acquatici da almeno 200 anni. Questo – conclude Martini – potrebbe risolvere molti problemi”.