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I 60 anni dell'Unione Europea: dai grandi successi (la pace e lo sviluppo) alla mancata integrazione (politica e sociale)

Il 25 marzo 2017 è stata la ricorrenza dei 60 anni dalla firma del Trattato di Roma attraverso il quale è stata istituita la Cee poi diventata Ue. Un ente rimasto a metà fra l'apparato statale e l'organizzazione internazionale
DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 03 April 2017

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

Il 25 marzo 2017 è stata la ricorrenza dei 60 dalla firma del Trattato di Roma, attraverso cui è stata istituita la Comunità economica europea (CEE, a cui si è affiancata la Comunità europea dell’energia atomica, CEEA, e la Comunità del carbone e dell’acciaio, sorta nel 1951), la cui evoluzione ha portato all’odierna Unione europea. Il momento fondativo si collocava in un contesto drammatico, al termine della seconda guerra mondiale, che aveva lasciato un’Europa distrutta e dilaniata dai conflitti e dai nazionalismi. La gravità della situazione convinse sei paesi europei (Francia e Germania in primis, cui si aggiunsero Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo) ad intraprendere una strada di forte integrazione economica, che nelle intenzioni degli ideatori avrebbe dovuto gradualmente portare ad un’integrazione anche politica.

 

La visione dei “padri fondatori”, sintetizzata nella celeberrima dichiarazione di Robert Schumann del 9 maggio 1950, si è dimostrata alla prova dei fatti ad un tempo lungimirante ed errata: è certamente vero che l’integrazione graduale ha portato ad una notevolissima espansione delle competenze comunitarie e all’allargamento dei paesi partecipanti (oggi 28, che diventeranno 27 dopo la Brexit), contribuendo in modo decisivo allo sviluppo e alla pace, ma al tempo stesso ciò non ha condotto all’integrazione politica, che anzi nel corso del tempo pare essersi allontanata dall’orizzonte delle possibilità. Il bilancio di questi sessant’anni mostra quindi uno sviluppo notevolissimo e complesso dell’integrazione europea: l’Unione europea è sicuramente l’esperimento di integrazione regionale più importante al mondo per intensità e risultati conseguiti, tanto che oggi per molti aspetti l’Unione europea viene paragonata ad uno Stato, sebbene da un punto di vista istituzionale continui ad essere una organizzazione internazionale, regolata dai Trattati istitutivi.

 

Questa natura ibrida, a cavallo fra un’entità statale e un’organizzazione internazionale, è il segno del successo ma anche della crisi del modello: l’integrazione in campo economico, e in parte anche sociale, ha indubbiamente creato molti benefici per i paesi partecipanti, ma al tempo stesso la cessione del potere decisionale degli Stati membri ha creato una pericolosa situazione di deficit democratico: l’Unione europea spesso non riesce a rispondere ai bisogni e agli interessi dei cittadini europei, e al tempo stesso gli Stati non sono più in grado di prendere autonomamente delle decisioni.

 

La dimensione strutturale della crisi in cui si dibatte l’Europa di oggi è sotto gli occhi di tutti: dopo la crisi economica e finanziaria è arrivata quella migratoria e della sicurezza, e tutte insieme si sono trasformate in una crisi democratica che mette a repentaglio non solo la tenuta dell’Unione europea, ma anche quella dei suoi paesi, entrambi messi in crisi da un vento populista e nazionalista che spazza l’intero continente. Una crisi di simili dimensioni richiede riforme strutturali e scelte coraggiose, che non si limitino ad operazioni cosmetiche di aggiustamento. L’ipotesi da più parti ventilata di utilizzare le cooperazioni rafforzate, cioè azioni che coinvolgerebbero solo alcuni paesi disposti a muoversi verso una maggiore integrazione, lasciando aperta la possibilità per gli altri paesi di aggiungersi successivamente, è una strada complessa e impervia, ma dimostra la consapevolezza della necessità di uscire dalle secche di un immobilismo che nell’attuale situazione di crisi sarebbe suicida.

 

La ricorrenza dei sessant’anni non deve quindi essere considerata come un mesto e nostalgico esercizio di amarcord, ma piuttosto come un momento importante in cui fare il punto sugli innegabili successi di questi decenni, ed anche riflettere con lucidità e se necessario con durezza sulle criticità attuali e soprattutto sugli obiettivi futuri dell’integrazione europea, che è ben lungi dall’essere completa.

 

(di Luisa Antoniolli)

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