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Doppia preferenza, lotta dura ma per finta. La maggioranza pronta a trattare, vince l'ostruzionismo
Le consigliere incontrano i comitati di donne e mettono sul tavolo la proposta di mediazione. Non più due preferenze ma tre, e niente 50 e 50, alle donne solo il 40% delle liste

TRENTO. Le consigliere provinciali c’erano tutte, mancava solo Chiara Avanzo, giustificata perché a Bruxelles. C’erano quelle del Pd, Donata Borgonovo Re, Violetta Plotegher, l’assessora Sara Ferrari e la proponente della legge sulla doppia preferenza Lucia Maestri e l’esponente della minoranza che sostiene la legge Manuela Bottamedi.
In platea un sacco di donne, tutte convocate per discutere assieme il “Che fare”: che fare di fronte al muro di emendamenti presentati dalle opposizioni impossibile da scavalcare? Come si procede sapendo che la legge, così com’è, con la doppia preferenza e con il 50 e 50 di uomini e donne in lista non passerà mai?
La riunione è cominciata con un lungo intervento di Lucia Maestri, che parlava accompagnandosi addirittura con le slide. Slide che difendevano la bontà di una legge che non istituisce riserve indiane ma punta al principio sacrosanto della parità. Slide che evidenziavano la bassezza degli argomenti ostruzionistici, emendamenti-provocazione di Rodolfo Borga e dei 5 Stelle: “Le liste saranno formate da un terzo di candidati di gente maschile, da un terzo di genere femminile e da un terzo di genere Lgbt”.
Sembrava, da parte dei presenti, una chiamata alla mobilitazione: “Ecco come ci trattano, ecco in che situazione siamo, con un Consiglio che non permette nessun avanzamento sul tema dei diritti”, argomentava Maestri. E Donata Borgonovo Re: “Dovete starci vicine, dovete essere presenti durante la discussione, spesso ci sentiamo sole”.
“Ci saremo - hanno risposto in molte - ma perché non fate pressione per andare a oltranza e sfidare l’ostruzionismo con la presenza in aula h24”? Questo, alle consigliere, l’ha chiesto anche Paolo Zanella dell’Arcigay, che l’ostruzionismo lo conosce perché l’ha vissuto sulla sua pelle, quando ha portato all’attenzione del Consiglio il ddl contro l’omofobia, poi trasformato in mozione perché impossibile da portare a casa per colpa delle migliaia di emendamenti.
La risposta, su questo punto, è stata candida e sincera: “E’ la maggioranza che non vuole - hanno spiegato - noi l’abbiamo chiesto alla riunione della coalizione ma non c’è stato verso. Hanno detto che no, che si va in Aula senza fare forzature sui tempi”. E allora, per la terza volta, si andrà in Aula per un giorno solo, per poche ore, e anche stavolta nemmeno si entrerà nel merito, nemmeno si arriverà alla discussione del primo articolo.
Ma allora, che si fa? “Si tiene sul principio, non si arretra nemmeno di un millimetro”. Questo il pensiero delle donne in sala. Perché sembrava fosse lo stesso sentimento delle consigliere lì presenti: in fondo l’hanno sempre detto che non si fanno mediazioni, che non si prende nemmeno in considerazione una soluzione che non contempli il 50 e 50 e la doppia preferenza.
Tutte le proposte di compromesso andrebbero a svilire il principio della parità e a compromettere l’efficacia della legge. Se nella composizione delle liste ci fosse il 40% di donne, questa sarebbe la riserva indiana. Se le preferenze fossero tre con l’obbligo di alternare i generi pena l’annullamento delle ultime due, non servirebbe a nulla, perché è stato detto e ridetto che la seconda e la terza preferenza non la usa mai nessuno.
Le consigliere annuivano a tutti gli interventi: “Giusto, brave, non fa una piega”. Ma c’è l’ostruzionismo, ci vorrebbero ore e ore di consiglio, impossibile, impensabile. “Ma allora, veramente, consigliere, che si fa?” Ed ecco che alla fine, dopo i discorsi sui principi, su quanto il maschilismo della politica umilia e ferisce, le carte vengono scoperte. La mediazione, quella brutta cosa che mai sarebbe stata presa in considerazione, inizia ad aleggiare sopra le teste incredule delle donne presenti in sala.
Le consigliere del Pd (Manuela Bottamedi sembra estranea, anche perché il gioco sembra essere tutto interno alla maggioranza), smettono di annuire e la testa inizia a scuotere in senso orizzontale. Quando le donne dicono: “Col piffero che si cede, si va avanti a costo di perdere la partita”, le teste fanno no, non è la giusta strategia. “Non usciamo sconfitte se cediamo soltanto un poco”, dicono le elette.
“Ma come, e il principio?”. Il principio, ora, non è la parità. Il principio è quello di realtà. Tre preferenze e non più il 50% della lista al femminile. Alle donne soltanto il 40, agli uomini il 60.
Ma la contrarietà del Comitato che ha raccolto firme e adesioni, delle donne che da una vita lottano per i dritti, impedisce che alle consigliere sia dato il via libera a trattare. “Vogliamo incontrare anche il resto della maggioranza - dicono arrabbiate - dove sono gli uomini della coalizione? Dov’è il presidente Rossi che questa legge l’ha messa dentro il suo programma?”
“Piuttosto perdiamo la battaglia e ripresentiamo la stessa legge nella prossima legislatura. Se si cede - affermano - si cede sul principio della parità, sarà impossibile tornare indietro, sarebbe ingiusto, sbagliato, un’umiliazione, una sconfitta”. I principi non sono negoziabili.
Questa la linea della maggioranza delle donne presenti all’assemblea. Ora le consigliere dovranno capire cosa fare, in Aula ci saranno loro. Potranno acconsentire alla mediazione (che farà Rossi, questo già si sa, con o senza il loro assenso, con o senza l’assenso delle donne che questa legge l’hanno voluta e sostenuta, dei comitati e delle associazioni), o potranno dire No, vale il principio, questa legge noi la ritiriamo.
Perché a volte è meglio perdere con onore che vincere a metà, è meglio fare un passo indietro, per prendere la rincorsa, per saltare più lontano alla prossima occasione.