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Chiude il Trentino (prima Alto Adige) che negli anni ’70 è stato non solo un ‘laboratorio giornalistico’ ma una fede politica oltre che culturale

Il ricordo del Trentino, chiuso nella giornata di oggi, da parte di chi ha fatto parte di quello storico gruppo, quando ancora era solo l'Alto Adige. La storia di una redazione giovane e dinamica, che negli anni '70 ha raccontato senza filtri gli avvenimenti della regione 

Di Nereo Pederzolli - 15 gennaio 2021 - 18:16

TRENTO. Trento perde una testata che negli anni ’70 è stata non solo un ‘laboratorio giornalistico’, pure una fede politica oltre che culturale. Per i giovani che tentavano di entrare nel settore della carta stampata, l’allora Alto Adige – come si chiamava anche l’edizione trentina della testata edita in quel di Bolzano – era una scelta di campo precisa. Collaborare quasi come forma di militanza politica, sull’onda del clima che circondava la Facoltà di Sociologia, la contestazione studentesca, i primi consigli di fabbrica unitari. E la voglia di schierarsi contro l’iter del giornale della Balena Bianca stampato in via Rosmini, con Flaminio Piccoli alla direzione.

 

Era l’Alto Adige che documentava ogni sussulto. Senza filtro. Merito di una redazione trentina decisamente autonoma quanto preparata. Con Luigi ‘Gigi’ Mattei come caporedattore di una ciurma di professionisti trentini che avrebbero scandito l’evoluzione stessa del giornalismo locale. Impossibile citarli tutti. 

 

Sul filo dei ricordi – ho iniziato a collaborare come fotografo a metà febbraio 1970; immagini di studenti incazzati, qualche scatto di calcio e tante stampe in bianconero su Trento e il cambiamento urbanistico – ecco che la messa a fuoco mette in risalto cronisti come Luigi Sardi detto ‘il Sire’, cantore e censore di tutto quanto succedeva a Palazzo di Giustizia e negli ambienti più oscuri – trame nere comprese – di una Trento coinvolta suo malgrado nella ‘strategia della tensione’.

 

Poi una solida pattuglia di cronisti. Da Roberto Gerola a Enrico Bortolamedi, senza tralasciare Carlo Guardini, giovanissimo quanto indomito cronista di nera, perennemente in movimento con una Mini giallo e nera appositamente ‘truccata’ nel motore, per viaggiare più veloce possibile. E battere la concorrenza nei tempi d’andata e ritorno dal luogo dove il ‘fattaccio’ chiamava. Cronaca con un fotografo che ha documentato ogni cosa di quegli anni: Giorgio Salomon, reporter poi passato alla Rai, la telecamera impugnata al posto della reflex.

 

Uno staff redazionale con Franco de Battaglia, Mauro Lando, Alberto Tafner, Giuseppe Speccher e alcuni collaboratori preziosi sempre vigili su quanto accadeva nelle valli limitrofe Trento

 

Redazione dinamica, che dava spazio alla contestazione e ai giovani che intendevano ‘provare a fare il giornalista’. Ecco allora Roberto Colletti, Rinaldo Cao, pure – qualche stagione dopo - Carlo Martinelli e una pattuglia esclusivamente maschile. 

 

Il giornale aveva la testa a Bolzano – con il ragionier Rolando Boesso ‘tutor’ amministrativo – dove giornalisti come Franco Filippini, Paolo Pagliaro e Franco Barbieri coordinavano quanto il ‘cuore trentino’ produceva.

 

La redazione era al primo piano di un grande appartamento che dava su piazzetta Pasi, all’angolo con piazza Lodron. Nessun collegamento speciale con Bolzano e la tipografia. Tutto era manuale, articoli scritti su cartelle che dovevano essere spedite con ‘fuori sacco’ – si consegnavano buste al capotreno in transito verso nord, prelevate da solerti fattorini - tranne quando succedeva qualcosa di grave dopo le 8 di sera: allora bisognava correre – nel vero senso della parola – in via Druso sul lungo Talvera di Bolzano. Dove veniva redatto l’articolo ‘in extremis” e sviluppata l’eventuale foto della cronaca.

 

Ho orgogliosamente collaborato al giornale per quasi 10 anni, fotocronaca e tantissime emozioni. Tutto questo senza badare mai né alla remunerazione, nemmeno alle ore d’impegno, tra pedinamenti, soste davanti le carceri, fughe dalle cariche della polizia, superando anche l’inevitabile dolore che suscitava la ‘presa diretta’, la vista di tragici episodi di cronaca. Compensati dal solido quanto conviviale ‘spirito di squadra’ che animava quell’indimenticabile staff dell’Alto Adige.

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