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La preparazione della “rivoluzione fascista”: l’adunata di Napoli e la mobilitazione per la marcia su Roma

Dal 24 al 26 ottobre 1922, decine di migliaia di camicie nere si riunirono a Napoli per dare mostra della propria forza. In una riunione segreta nel capoluogo campano, Mussolini e i suoi preparavano intanto la presa della capitale. Era la messa a punto di un piano congegnato già nell’estate. Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”

Di Davide Leveghi - 17 ottobre 2021 - 17:33

Sua Eccellenza Onorevole Facta, viene qui da varie parti notizia di qualche maggiore attività che si starebbe svolgendo da parte fascista, e che avrebbe di mira la capitale. Ricordando i nostri colloqui di Roma, La pregherei di farmi sapere se e che cosa Le risulti. Non volendo credere a possibilità di eccessi che nuocerebbero a quegli stessi che li compissero. Grazie fin d’ora della risposta e cordiali saluti. Affezionatissimo Vittorio Emanuele” (telegramma del re al presidente del Consiglio, 29 agosto 1922)

 

Mussolini: ‘Mobilitazione o colpo prima? – Si debbono attaccare prima della mobilitazione gli istituti governativi? – E’ del parere di fare mobilitazione e attacco contemporaneamente – Gli obiettivi: o ministero con 6 nostri o se no gli armati alla Camera” (dal verbale stilato da Italo Balbo nella riunione del 24 ottobre 1922 all’Hotel Vesuvio di Napoli)

 

TRENTO. E’ il 29 di settembre del 1922 quando Benito Mussolini convoca a Roma una decina di dirigenti fascisti per preparare l’imminente presa del potere. Nell’estate le violenze si sono intensificate, con il fallimento dello sciopero legalitario proclamato dalla sinistra (QUI l’articolo) e l’abbattimento di numerose amministrazioni avverse ai fascisti (QUI la cronaca delle violenze nel mese di agosto, QUI di settembre, QUI di ottobre, QUI la marcia su Bolzano e Trento). Per conquistare il potere, però, si fissano dei paletti: nessuna violenza contro l’esercito, appoggio al sistema monarchico, sostituzione dell’ordinamento liberale e parlamentare con un regime innovativo e rinnovatore.

 

Alla riunione di fine settembre, ne seguirà un’altra a metà ottobre, il giorno 16, questa volta a Milano. Alla presenza di due generali dell’esercito, simpatizzanti del fascismo (Sante Ceccherini e Gustavo Fara), si decide di affidare a un quadrumvirato il compito di guidare la marcia, la cui sede viene fissata a Perugia. Le schiere di camicie nere sarebbero state guidate dunque dal ras Italo Balbo, protagonista assoluto dello squadrismo in Emilia-Romagna, da Michele Bianchi, segretario del Pnf, da Emilio De Bono, generale di salda fede monarchica, e da Cesare Maria De Vecchi. Quest’ultimo, pluridecorato nella Grande Guerra, s’era distinto nella direzione delle spedizioni squadristiche nel Novarese del luglio ’22 e nella repressione dello sciopero legalitario di agosto.

 

Le fila delle trame eversive, dunque, cominciavano ad essere tirate. Divisa l’Italia in 12 zone, venivano fissate le direttrici della confluenza fascista su Roma. Mentana, a 20 chilometri dalla capitale, sarebbe stata raggiunta attraverso la valle dell’Aniene. Monterotondo, invece, lungo il Tevere mentre Tivoli-Santa Marinella sarebbero dovuti essere gli obiettivi delle squadre confluite nella valle Tirrena. La mobilitazione generale veniva stabilita per la notte fra il 26 e il 27, scopo l’occupazione dei gangli del potere. Da quella posizione di forza si sarebbe potuto così procedere all’ultimatum lanciato al governo e alla successiva entrata nella capitale. Ogni operazione militare si sarebbe dovuta concludere per il mezzogiorno del 28.

 

Forti del terrore seminato in due anni di squadrismo, i fascisti contavano di arrivare al governo senza spargimenti di sangue. L’idea della “marcia su Roma", d’altronde, era nata non solo dopo l’annichilimento delle forze antifasciste ma anche di fronte all’impotenza dimostrata dallo Stato liberale nel contrastare la brutale violenza squadristica. I partiti antifascisti si erano mostrati incapaci di opporre unità, il governo di imporre la propria autorità. La sottovalutazione del movimento fascista e della sua forza – come specifica Emilio Gentile - convinse così “la classe dirigente, il mondo economico e le istituzioni tradizionali” a “coinvolgere il Pnf nelle responsabilità di governo, non cedendogli il potere, ma inserendolo in una coalizione presieduta da un esponente del vecchio ceto politico”.

 

Come vedremo nelle prossime puntate, però, Mussolini si dimostrerà tutt’altro che disponibile ad una soluzione compromissoria, rifiutando ogni proposta di partecipare ad un governo ed opponendo la volontà di guidarlo. Nell’eventualità di una reazione delle autorità di fronte all’ombra montante della conquista militare della capitale, la dirigenza riunita a metà ottobre a Milano disponeva una ritirata strategica momentanea verso l’Italia centrale ed in particolare l’Umbria. “Radunata rapida delle camicie nere della Vallata Padana e ripresa dell’azione su Roma fino alla vittoria ed al possesso”, si legge nelle disposizioni impartite da Mussolini.

 

Prova di forza decisiva, in vista dell’imminente assalto al potere, fu l’adunata napoletana del 24, 25 e 26 ottobre. Decine di migliaia di camicie nere confluirono nel capoluogo partenopeo per saggiare le eventuali reazioni dei contendenti. Paradossalmente, quella stessa dimostrazione di potenza fu accolta dal presidente della Camera Enrico De Nicola con un “personale, cordiale ed affettuoso saluto”.

 

Nell’arco della giornata, Mussolini terrà due celebri discorsi. “Siamo venuti a Napoli da ogni parte d’Italia a compiere un rito di fraternità e amore - disse in quello tenuto al teatro San Carlo, davanti a una platea piena di figure dell’alta società e dell’esercito, tra cui l’intellettuale Benedetto Croce – sono qui con noi i fratelli della sponda dalmatica tradita, sono qui i fascisti di Trieste, dell’Istria, della Venezia tridentina, di tutta l’Italia settentrionale; sono qui anche i fascisti delle isole, della Sicilia e della Sardegna. Tutti qui ad affermare serenamente, categoricamente la nostra indistruttibile fede unitaria”. E ancora: “Allora, o signori, il problema nei suoi termini storici diventa un problema di forza. Ecco perché abbiamo raccolte e potentemente inquadrate e ferreamente disciplinate le nostre legioni, perché se l’urto dovesse decidersi sul terreno della forza, la vittoria tocchi a noi. Noi ne siamo degni”.

 

Camicie nere di Napoli e di tutta Italia! – disse invece nel pomeriggio, nel comizio organizzato in Piazza Plebiscitooggi, senza colpo ferire, abbiamo conquistato l’anima vibrante di Napoli, l’anima ardente di tutto il Mezzogiorno d’Italia. Ma io vi dico, con tutta la solennità che il momento impone: o ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma. E io vi dico e vi giuro che gli ordini, se sarà necessario, verranno!”. La giornata di sfilate, infine, si concludeva con la devastazione della sede de Il Mondo, quotidiano fondato dal liberale Giovanni Amendola. Ma per il prefetto Pesce, che telegrafò a Roma, non v’era “nulla da segnalare”.

 

Nell’incontro del 24 sera, Mussolini, i quadrumviri ed altri tre dirigenti (Giuseppe Bastianini, Achille Starace e Attilio Teruzzi) fissarono il piano d’attacco, mettendo sul tavolo due diverse ipotesi. La prima consisteva nella mobilitazione e nell’incolonnamento verso i tre punti suddetti, la seconda, invece, stabiliva la previa espugnazione degli uffici pubblici e la neutralizzazione dei nemici interni. Le due opzioni, alla fine, vennero accorpate, anche se solo la seconda verrà limitatamente messa in atto. Dal canto suo, mentre la macchina del golpe si metteva in moto, Mussolini prese la strada per Milano. Da lì, nel caso di un fallimento, la Svizzera sarebbe stata a un passo.

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